Alla scoperta di Walk-In Studio

Walk-In Studio è il progetto cardine dell’associazione Studi e Spazi Festival, esso si basa sulla partecipazione e considera anche le fasi di organizzazione dell’evento come parte di un processo collaborativo rilevante tanto quanto il risultato stesso del festival. Quanta coesione tra gli artisti milanesi ha portato la spinta partecipativa propria della vostra iniziativa?

Eric Hobsbawn e Terence Ranger in L’invenzione della tradizione spiegano che quando un’iniziativa si ripete tre volte con la stessa cadenza diventa tradizione. Evidentemente per noi questa invenzione – che è erede di Studi Festival, e quindi si potrebbe considerare ripetuta già sei volte – si riferisce alle “tradizioni” che stabilizzano la coesione sociale e il senso di appartenenza a gruppi o comunità, con lo scopo di portare avanti un sistema di valori; nel nostro caso: la condivisione, la sperimentazione, lo collaborazione, il rapporto con il territorio.
Ormai Walk-In Studio è una tradizione, artisti e curatori l’aspettano. Alcuni sanno che può essere un banco di prova per curare mostre, scrivere, iniziare a esporre i propri lavori; altri “usano” il festival come momento di verifica per la propria ricerca e per nuove relazioni. Per noi “tradizione” non significa “convenzione”; di fatto ogni anno Walk-In Studio è diverso; non solo per l’ovvia ragione che i protagonisti e le proposte sono sempre differenti e combinate in modi nuovi, ma anche perché le idee si moltiplicano: dalle contingenze, dal team di lavoro e dagli stessi artisti nascono sempre nuove esigenze e nuove potenzialità.
È difficile dire in termini generali quanta “coesione” il festival sia riuscito a generare nella frammentata realtà artistica milanese.
Per esempio, la seconda e la terza edizione sono state condizionate dalla pandemia, questo tuttavia è stato anche uno stimolo che ha portato ad uno spostamento verso un uso più “intenso” di strumenti digitali. Coloro che erano più preparati tecnicamente hanno condiviso i loro saperi con chi invece aveva minori competenze.
Inoltre, in seguito alla partecipazione al festival si sono anche create delle microcomunità che hanno continuato ad avere rapporti e a produrre indipendentemente da Walk-In Studio.
Indubbiamente, la regola cardine del festival, per cui è necessario invitare uno o più artisti nel proprio studio, genera un’importante tessitura di rapporti. È molto interessante intuire le motivazioni con cui si sceglie chi invitare nel proprio studio, si tratta di accoglienza, ma anche di combinazione di personalità e del desiderio di ampliare il senso del proprio lavoro.

Quali sono stati i cambiamenti e miglioramenti più sostanziali che avete rilevato nel corso delle tre edizioni del festival?

Per quanto riguarda quello che chiamiamo il comitato organizzatore del festival, dalla costituzione dell’associazione che lo promuove in poi, si sono verificati molti cambiamenti e rimescolamenti tra i partecipanti. La situazione è stata sempre piuttosto fluida e a volte anche difficile da gestire. Comunque la spinta e le motivazioni che presiedono la realizzazione del festival non sono mai venute a mancare. Paradossalmente si è creata una condizione di maggior tensione creativa durante il lockdown, quando sentivamo di avere delle grandi responsabilità, ma anche il desiderio di trovare soluzioni inedite per una situazione imprevista e sconosciuta.
Il primo anno è stato quello della nascita e rinascita del festival, tutto era nuovo!
Il secondo anno abbiamo definito il festival, “Walk-Out” (non solo Walk-In Studio), invitando gli artisti a proporre le proprie iniziative in modi nuovi e adatti alla situazione di rischio dovuta al Covid. La nostra volontà è stata quella di creare, nonostante tutto, “avvicinamento sociale” ripensando lo spazio che viviamo e attraversiamo.
Nella terza edizione, invece, abbiamo deciso di avviare varie opportunità di scambio tra il circuito del festival e alcune realtà culturali attive a Milano.
La cosa più bella è che ogni anno le “novità” si sommano, non si perdono e non restano limitate a una specifica edizione.
Ogni anno il festival migliora, ci siamo resi conto che chi partecipa aumenta il proprio impegno e la sua visione rispetto a esso.

Quali sono state per voi le maggiori soddisfazioni e sfide, e che cosa vi augurate per le successive edizioni?

La maggiore soddisfazione per noi sono le continue conferme. Vedere che di anno in anno ci sono studi e spazi, artisti e artiste, che non vedono l’ora di ri-partecipare. Perché Walk-In Studio attiva un circuito virtuoso che stimola scambi ed è motore di possibilità in modo del tutto orizzontale e non competitivo. Non esiste nient’altro a Milano che offra la stessa possibilità a un così ampio ventaglio di persone e luoghi di produzione.
Oggi Walk-In Studio è totalmente autofinanziato dall’associazione, per le successive edizioni speriamo che l’assetto economico migliori.



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Walk-In Studio ha creato, e continua a creare, contatti e scambi tra i numerosi spazi d’arte e studi a Milano. Per far crescere il progetto e chiarirne il senso è necessaria una comunicazione ben strutturata, cosa vi siete inventati finora?

Negli anni la comunicazione si è trasformata, ma ha continuato a far leva sui concetti cardine di Walk-In Studio con l’obiettivo di coinvolgere quante più persone possibili, ampliando le connessioni tra spazi, studi, artisti, addetti ai lavori e non. Inoltre abbiamo sempre cercato di amplificare la comunicazione di tutti i partecipanti: di dargli voce.
Nell’ideare modalità adatte alle diverse piattaforme social, ci siamo potuti avvalere di una grafica curatissima e di un sito web che a questo punto è un formidabile archivio di idee e immagini relative a tutte le edizioni. Inoltre negli anni abbiamo potuto contare su un importante ufficio stampa e su tutti quei “fans” che ci hanno fatto trovare gli stickers con il logo di Walk-In Studio appiccicati nei posti più improbabili della città.

Come si è evoluta la grafica dalla nascita di Walk-In Studio a oggi? A cosa avete pensato per definirne una appropriata all’evento?

La grafica di Walk-In Studio vuol richiamare un’identità viva, organica, quindi sempre in mutamento ma riconoscibile nel tempo.
L’utilizzo della tipografia gioca un ruolo centrale nella coerenza del progetto; nell’artwork invece l’evoluzione e il cambiamento richiamano visivamente il concetto di interazione e trasformazione. L’identità quindi è in continuo divenire.

Walk-In Studio conta su numerose collaborazioni esterne che comprendono, tra le altre, NABA, Accademia di Brera, Casa degli Artisti, etc.. L’edizione del 2021 si è arricchita ulteriormente grazie a nuove collaborazioni con That’s Contemporary, Art Nomade Milan, Viafarini e Forme Uniche. Avete già un’idea di quali saranno le nuove collaborazioni per la prossima edizione del festival?

Noi speriamo che il festival sia un momento di incontro anche intergenerazionale per artisti (e curatori) che permetta a tutti di crescere. Per esempio in quest’ultima edizione ci siamo inventati insieme ad altre realtà che operano nell’arte contemporanea nuovi dispositivi che hanno dato modo a tutti i coinvolti di avere visibilità e creare situazioni interessanti per le diverse componenti del festival (compreso il pubblico!).
Quindi, ancor prima di definire quali saranno le prossime collaborazioni, uno dei nostri scopi è fortificare quelle già esistenti.
Inoltre la nostra rete è fondata su collaborazioni finalizzate ma gratuite, perciò di alcune cose abbiamo conferma solo all’ultimo momento.
Peraltro alcune collaborazioni nascono in modo imprevisto, come piante spontanee, vanno accolte non solo preordinate.

Manuela Piccolo, Premiata Ditta (Anna Stuart Tovini, Vincenzo Chiarandà), Joykix (Fabrizio Longo), Francesca Greco, Federica Mirabella, Alberto Paganotto.

Intervista a cura di Eleonora Savorelli


Instagram: walkinstudiospazi

www.walkinstudio.it


Caption

Walk-In Studio 2022 – Courtesy Walk-In Studio