Se il quadro, come oggetto, si è liberato dalla sua cornice molto tempo fa, lo spazio espositivo si è sempre più dilatato. Fuori dei consueti white cube teorizzati da O’Doherty e dalle architetture museali, per loro intrinseca natura (storica e architettonica) certificatori di valore, l’esperienza artistica trova posto in luoghi inconsueti. Antesignani quelli americani, gli Studi Legali, accomunati da una medesima sensibilità seppur declinata verso scelte estetiche diverse, rappresentano una sede, sempre più diffusa, per ospitare collezioni permanenti o temporanee. Attraverso programmi artistici periodici o eventi singoli specifici, diventano l’habitat ideale aprendo le porte delle città verso eleganti itinerari che rendono omaggio ai protagonisti della contemporaneità mostrandone le ricerche articolate e multiformi. Caso esemplare, il fiorire di prestigiose esposizioni che hanno arricchito l’offerta culturale del capouogo lombardo in occasione di miart 2018.
Per raccontare questa felice esplosione milanese, possiamo partire dalle mostre realizzate da due artisti che hanno operato in un arco temporale simile e si sono avvicinati alle sperimentazioni della loro epoca, Carol Rama e William Xerra. La prima, Carol Rama, capolavori per Milano 1938-2005, è ospitata da SIMMONS & SIMMONS e curata da Maria Cristina Mundici, persona che ha conosciuto l’artista frequentando i suoi luoghi più privati. La potenza formale delle opere selezionate dalla sua lunga carriera e prestate da collezionisti privati, ha fatto irruzione nel candore delle sale e dei corridoi luminosi. La vita, la storia personale e familiare, l’inquietudine e la “rabbia1” con la quale esprime la sua poetica hanno avvicinato Rama ai linguaggi più innovativi e a rappresentazioni che talvolta hanno scandalizzato per la loro rudezza, scabrosità o sensualità ostentata. Soluzioni stilistiche come risultato di esperienze figurative per giungere alle derivazioni più astratte con l’arte concreta piuttosto che incorporare gli oggetti rendendo il tutto più materico.

William Xerra con Visibile sapere ha presentato da ALBÈ & ASSOCIATI Studio Legale, in collaborazione con la Galleria Cristina Moregola, una serie di tele inchiodate che includono opere più recenti e degli anni Settanta. Lavori fragili e delicati, inseriti in un ambiente di ricerche verbo-visuali. Telai, chiodi, collage, pittura e neon sono materiali su cui scrive o applica parole (come VIVE o IO MENTO) che acquistano un’autonomia come segni/significanti assumendo uno statuto interpretativo nuovo. In perfetta sintonia con le istanze concettuali del suo tempo, la sua poetica trova nel testo una modalità per innescare un sistema di relazioni e di riflessioni profonde. Il linguaggio trasferito in quella nuova cornice, anche storica, diventa capace di creare nuovi legami e significati controcorrente, con garbo e una raffinata compostezza.
Se il testo ci parla con lingue e sottocodici da decifrare l’obiettivo della fotocamera blocca frammenti e scene della vita quotidiana in cui le possibilità della visione sono messe in discussione. SHUTTER allo studio CARNELUTTI Law Firm e Play in the garden con Michele Guido di LCA con il progetto LAW IS ART ci offrono interessanti punti di vista. La prima, curata da Carlo Prada, ha ospitato quattro artisti che attraverso l’obiettivo indagano le immagini e il ruolo del soggetto, della fragilità umana e dello scorrere del tempo. Personali e intime, le fotografie di Talia Chetrit ritraggono i genitori in momenti di vita colti lontano dalla loro attenzione o nelle più classiche pose familiari, alternando la consapevolezza (del soggetto) alla sua estraneità di fronte agli scatti rubati. Apparentemente riconoscibili, le opere di Elad Lassry fanno uso di un immaginario visivo e iconografico rintracciabile nella pubblicità o nella generazione bianca americana immortalata da Buck Ellison. Il disvelamento avviene nel successivo sguardo, più attento, capace di superare la superficie bidimensionale della carta fotografica rivelando aspetti della psicologia dell’uomo e della società. Il dispositivo formale adottato occulta un senso e concede allo spettatore una molteplice interpretazione che apre a nuovi contenuti. Un’estensione della visione, quella degli artisti, che trova una superficie concreta anche negli elementi oggettuali di Sam Falls. Il suo è un agire fisico sulla stampa con manipolazioni e impressioni sul foglio ottenute con mattoni verniciati (presenti in mostra) ma anche con le impressioni del tempo, mostrandone l’azione delle sue alterazioni sui tessuti delle bandiere.
Prospettive alterate e camuffate sono presenti nel lavoro di Michele Guido con la mostra realizzata per la camera “La raccolta della Frutta”, negli spazi di Antonini ospitato all’interno di Palazzo Borromeo. Gli affreschi della “Stanza dei Giochi” diventano studio di partenza insieme ai trattati di medicina del Trecento e del Quattrocento. Un’intelligente indagine avanza in un processo di stratificazione delle immagini attraverso la fotografia tra antinomie. Un susseguirsi, il suo, di rapporti che colgono gli elementi caratteristici di negativo-positivo e dell’elemento pixel della fotografia con la griglia del disegno. Se il pixel distoglie la forma ingigantendo e impedendo il riconoscimento, la griglia usata sul cartone preparatorio consente di riportare la scena sulla parete in un’operazione di identificazione. Il dialogo verte tra sottili ragionamenti, geometrie, intersezioni degli spazi bianchi delle pareti e della storia passata e presente.
Un presente che varca i confini geografici includendo la ricerca di artisti albanesi in un rapporto di pura casualità tra interessi e esplorazioni è ospitato dagli studi nctm e l’arte con Driant Zeneli e Studio Legale Giuseppe Iannacone con il quinto appuntamento del progetto IN PRATICA. Nessuna relazione e nessuna scelta operata in modo consapevole tra loro ma frutto di un’inclinazione verso le esperienze emotive e vivaci della nuova generazione di quest’area del mondo.

Zeneli tenta un approccio conoscitivo verso un altrove. La perdita dell’orizzonte e di punti stabili diventa possibilità e desiderio di scoperta e perlustrazione del mondo. Un percorso fisico, reale e spaziale che si muove tra vuoti apparenti (Who was the last to have the horizon?) contenitori di potenzialità non ancora disvelate e operazioni necessarie alla ricerca del superamento dei limiti. Il viaggio affronta anche connotazioni interiori e relazionali che ruotano intorno al ruolo di un padre e di un figlio, ai concetti di verità e tradimento della storia e delle illusioni. Sogni, utopiche fantasie e reali fallimenti dell’uomo sono rappresentati nei suoi video con azioni colte nel loro inesorabile movimento. Calibrato l’uso del mezzo che blocca quel susseguirsi di scene suggerendo un senso di straniamento in cui l’artista mostra le debolezze, le infinite opportunità e il bisogno connaturato nel genere umano di oltrepassare i confini geografici o temporali in un’azione di esplorazione costante.
In una sorta di dispiegamento delle forze e in una soluzione di continuità EX GRATIA, in dialogo con ART HOUSE SCHOOL, curata da Adrian Paci e Rischa Paterlini, con la collaborazione di Zef Paci, è la mostra presentata nello studio dell’avvocato Iannacone. I dieci artisti coinvolti colgono stranianti fotogrammi come quelli di Silvia Agostini in Mutual Red o nelle surreali atmosfere dei paesaggi reali di Lek M Gjeloshi. Alketa Ramaj realizza angeliche scene e sculture filiformi, scheletri apparentemente precari che trovano una solida stabilità nelle romantiche architetture di Idle, di Bora Baboçi, cinquantacinque pilastri dimenticati in un territorio.
Il fantasma della dimenticanza si annulla nei video e nelle immagini di Stefano Romano. Attraverso un processo di mappatura e documentazione sociale e architettonica stabilisce un legame, sempre più stringente, tra pubblico e artista. Diretto è anche il rapporto tra l’obiettivo di Jetmir Idrizi e la comunità gender brasiliana, lontano da ogni categorizzazione di genere. Fotogrammi in bianco e nero, densi e carichi di pigmento, da cui fa emergere corpi e i volti dei suoi personaggi, colpiti da luci come incarnazioni di fenici contemporanee.
La pittura è colma di pennellate generose e di colori pastosi che danno forma a soggetti visionari nella delicatezza del segno di Fatlum Doçi, nei paesaggi vibranti di Alket Frashëri che narrano storie a partire dal titolo o nelle figurazioni domestiche di Iva Lulashi e nelle tracce di memoria di Remijon Pronja secondo cui ogni luogo può essere casa.
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1. Renato Rizzo, Carol Rama: dipingo per rabbia mi hanno scoperto solo a 80 anni, La Stampa, Torino, 08 agosto 2012.
Elena Solito
Le mostre citate sono state realizzate da:
Albè e Associati Studio Legale, Carnelutti Law Firm, IN PRATICA – Collezione Giuseppe Iannacone, LAW IS ART di LCA Studio legale, nctm e l’arte, Simmons & Simmons.
Immagine di copertina: Carol Rama, Bricolage (detail), 1986 – Courtesy Archivo Carol Rama, Turin e SIMMONS & SIMMONS.