Stelo, doppia personale di Rodrigo Hernández e Rita Ponce de León alla galleria P420 di Bologna. Due progetti paralleli site-specific realizzati dai due artisti sudamericani che, conosciutisi all’Accademia d’Arte di Città del Messico, desideravano da tempo vedere riuniti i loro lavori in un’unica mostra. Il titolo, che evoca una struttura portante duttile e predisposta a supportare diversi sviluppi, germinazioni e diramazioni, allude sia all’occasione da cui è scaturita la mostra (l’omaggio di ciascuno artista alla poetica dei rispettivi maestri), sia all’innegabile affinità linguistica ed estetica che fa convergere i loro percorsi individuali in un terreno creativo costellato da spontanee analogie, rimandi, assonanze e ricordi condivisi. Entrambi lavorano con le più tradizionali tecniche artistiche, come disegno, scultura e pittura, attraverso le quali elaborano materiali semplici per ottenere forme immediate e apparentemente naïve, che oscillano tra rappresentazione e astrazione, per amalgamare arte e vita in un’inscindibile sintesi visiva.

La produzione di Rodrigo Hernández (Città del Messico, 1983) si dipana alle pareti della galleria con una linea continua di formelle in terracotta posizionate ad altezza di sguardo che ripercorrono i principali motivi del suo repertorio tematico, come teste senza corpo, oggetti amorfi, strutture che si riferiscono all’architettura, animali e figure umane stilizzate. Amante della manualità, conduce la sua pratica artistica in una zona liminare tra pittura e scultura in cui determina e contraddice allo stesso tempo la loro reciproca distanza per interrogare la natura dell’arte e risalire alle sue componenti fondamentali in termini di relazione tra forma, contenuto e spazio. Le figure primitive che popolano il suo immaginario, emergono solitarie da spazi sfuggenti perpetuando all’infinito l’ineffabile stato di transizione tra memoria visiva e invenzione tramite il quale un’immagine interiore diventa creatura. La disarmante immediatezza delle elementari qualità del soggetto e dei materiali si basa, in realtà, su un raffinato vocabolario formale che presuppone referenze colte estrapolate dall’arte indigena del Centro America, dal modernismo europeo, dal futurismo e dal surrealismo, liberamente manipolate e trasformate senza la pretesa di attribuire un significato preciso agli enigmi generati dal loro incontro. Queste raffigurazioni, a prima vista estranee al dibattito della contemporaneità e dichiaratamente refrattarie alla sovrabbondanza di informazioni che contraddistingue i nostri tempi, ritraggono un mondo idealizzato ma profondamente umano attraverso configurazioni aperte che indagano l’essenza delle cose senza dare nulla per scontato. Così gli abbozzi di fisionomie e situazioni che affiorano dalla creta, come le sfuggenti percezioni oniriche di Silvia Bächli, sua tutor negli anni di studio, trascendono l’occasione che le ha ispirate per adattarsi naturalmente a qualunque retroterra esperienziale, ricordandoci come la realtà non offra mai verità oggettive ma solo frammenti e impressioni che plasmano provvisoriamente le nostre consapevolezze.
Anche il lavoro di Rita Ponce de León (Lima, Perù, 1982) insiste sulla costitutiva incertezza dell’essere al mondo, come affermano i titoli di una serie di disegni, presentati lo scorso anno ad Art Basel Miami Beach da Ignacio Liprandi Arte Contemporáneo, in cui l’artista dichiara di Non sapere, non ricordare e non essere sicura. Anche le sue opere grafiche intersecano forme astratte e figurative in composizioni di segni precisi e sottili che raccontano l’incontro tra cose straniere e familiari, in un’atmosfera sospesa tra concetto e metafora. Influenzata dalla filosofia della danza butoh, pratica fondata dal guru giapponese Kazuo Ohno che negli anni Settanta si esibì spesso in Argentina e che Ponce ha conosciuto attraverso i seminari condotti dal figlio Yoshito, concepisce l’arte come pratica protesa a trasformare il corpo «vissuto», ricettacolo di ricordi, nel canale d’accesso privilegiato a una sfera interiore capace di ricondurre le emozioni soggettive ai sussurrati palpiti della natura.

León crea installazioni coinvolgenti che invitano i visitatori a sperimentare diverse posture e modi di relazionarsi ai propri sensi e al collettivo. I suoi progetti artistici, altrimenti definibili come studi di interazione sociale in forma strutturale, raccolgono disegni, sculture e proposte di dialogo che stimolano l’appropriazione e la reinvenzione degli spazi attraverso il movimento dei corpi. Per la mostra Stelo, presenta cinque Caminatas ispirate ad altrettante danze bucoliche da lei praticate: il percorso di ciascuna è individuato da una lunga striscia di tessuto collocata a terra che funziona come strumento di raccordo tra le sculture e i disegni che vi si appoggiano a intervalli irregolari e le azioni dei visitatori che vengono sollecitati ad assumere diverse posizioni e punti di vista per comprendere l’insieme attraverso una somma di frammenti da cogliere in tempi successivi. L’opera, efficace nell’adempiere il suo intento primario di scardinare stati di coscienza e abitudini automatizzate, suggerisce un suggestivo paesaggio comune in cui pensieri e sentimenti privati si manifestano apertamente per essere condivisi e trasformati in un unico flusso partecipativo.
Emanuela Zanon
RODRIGO HERNÁNDEZ – RITA PONCE DE LEÓN
STELO
25 novembre 2017 – 20 gennaio 2018
P420 – via Azzo Gardino, 9 – Bologna
Immagine di copertina: Stelo – installation view, 2017 – courtesy P420 Bologna, ph. C.Favero