Off Topic è una conversazione che si focalizza su un’unica tematica, tralasciando le opere o le mostre. Lo scopo è quello di raccontare non solo un* artista ma anche l’apparato teorico e l’immaginario che soggiace alla sua produzione.
Il desiderio è il fulcro da cui parte la conversazione con -ness, duo artistico fondato a Venezia nel 2019 da Rooy Charlie Lana (Piazza Armerina, 1995) e Giulia Zulian (Pordenone, 1993). Attraverso performance, fotografie e installazioni, sviluppano pensieri e pratiche a partire dall’ideazione dell’identità Transghost – il cui manifesto è leggibile su Kabul Magazine – e dalla sua messa a sistema nelle discipline delle arti visive-performative e degli studi queer.
Il dialogo è stato, per volontà di -ness, tenuto e sviluppato solo con Rooy Charlie.
L’etimologia della parola desiderio (de-sidereus) significa, letteralmente, un allontanamento dalle stelle, ma il de in latino ha anche valore privativo, quindi se da una parte si denota una distanza dall’oggetto del desiderio e un movimento, dall’altra viene rimarcata una mancanza. In questo senso, nelle teorie di Sigmund Freud, il desiderio viene identificato come la necessità di un ri-equilibrio dallo stato di sofferenza derivato da una mancanza, per il raggiungimento del benessere.
Ancor prima di scrivere Transghost Manifesto, abbiamo iniziato a interrogarci sulle possibilità del corpo e dell’identità Transghost. Il desiderio è sempre stata una delle componenti principali della nostra ricerca, e non è mai stato inteso come misterico, o come risultato di un subconscio o di un lavoro di psicoanalisi (sappiamo bene cosa ha comportato la medicalizzazione del desiderio nella storia, portando alla definizione di corpi “anormali”, “isterici” e “perversi”). Per noi era situato sul corpo Transghost, materializzato sulla sua superficie: un desiderio di opacità senza invisibilizzazione; di stare fuori dai binari maschio/femmina, uomo/donna, etero/omo, bianco/nero; di essere in relazione senza la lettura del corpo in categorie e gerarchie predefinite. Soprattutto questi e altri desideri in Transghost parlano del tempo. Infatti, è determinante la riflessione su “trans”, poiché ci permette di raccontare la transitorietà, la transizione di corpi e desideri in spazi e tempi. Siamo state educate a pensare a corpi e identità come enti determinati e/o fissi, come se le verità del mio corpo e della mia identità di genere fossero immutabili o invariabili. Con Transghost volevamo dire che nulla è determinato, nemmeno le verità biologiche o biografiche sono permanenti. Transghost è la condizione di impermanenza dei nostri corpi che si abbandonano al piacere o al disagio di pensarsi e incarnarsi in corpi altri-minori.
Il tempo è una delle componenti principali per la (in)determinazione del desiderio, che per sua natura è transitorio e non sono fisso a causa della costante interazione che ogni soggetto ha con la natura, la cultura e le esperienze personali. Ogni relazione che intrecciamo, infatti, va a modificare i desideri facendoli evolvere, involvere o, semplicemente, variare. È questa la componente che vi lega di più al fantasma, quindi?
Così come tu intendi, non è solo una questione di tempo lineare, ma di attese, forse impossibili. L’attesa che si verifichi l’oggetto del desiderio.
Se il desiderio è l’ardente e altalenante tentativo di esistenza dell’irraggiungibile o dell’inattendibile (letteralmente ciò che non è possibile attendere), allora esso esiste in ciò che manca. È qui che il desiderio si lega al fantasma, e quindi alla sparizione, all’irrisolto e all’insoluto, o all’incapacità di manifestarsi pienamente. “Nei vostri letti albergheranno fantasmi spenti di sessualità” citando Alfredo Cohen per fare un esempio. C’è tutta una letteratura che ha unito sessualità (o più in generale desideri sessuali) non conformi e spettri.
Tuttavia con Transghost c’è un tentativo di riabilitare semanticamente e incarnare le interconnessioni tra transitorietà e fantasmaticità. Così come il desiderio è da noi inteso fuori dai termini freudiani, anche il fantasma non è più il fardello del padre defunto che chiede vendetta, e dunque non può più riguardare l’incapacità di accettare una sessualità non etero-normata. Forse il fantasma ha sempre parlato di obblighi sociali e culturali, ed è il soggetto per eccellenza di ogni questione sull’identità e sulla performance. Il fantasma è anche il luogo in cui i corpi ricordano di essere materia e trovano forma e collocamento. Il fantasma tiene insieme fisica e metafisica, teatro e filosofia, natura e cultura.
E mentre parliamo anche noi stiamo diventando fantasmi.
Divenire Transghost è un esercizio dell’identità alla sospensione o al rifiuto delle fissità, o meglio all’abbandono di garanzie. Forse significa farsi sparizione e comunque parlare. Perché i fantasmi non hanno lingua ma hanno un linguaggio. E forse ci parlano di come le forze e i poteri sociali e culturali agiscono sui nostri corpi e di come noi reagiamo a essi.
Per quanto riguarda gli altri tipi di desiderio come vi ponete? Perché il desiderio sessuale è solamente uno dei tratti concorrenti alla creazione di un’identità: penso ai desideri sociali ed economici. Nel vostro lavoro con Monella Vagabonda, ho visto molte di queste questioni caratterizzanti di un individuo, che vanno al di là del desiderio sessuale.
La proposta di Mara Russo – art director di Monella Vagabonda – ci ha permesso di continuare la nostra ricerca dentro le logiche di un brand che cerca di reinventarsi e raccontarsi in maniera differente rispetto al passato. Abbiamo così avuto accesso all’archivio di Monella Vagabonda con l’intento di trovare gli spunti che potessero meglio raccontare i valori queer condivisi con loro. La nostra attenzione è stata catturata fin da subito dalla mole di materiale editoriale: in Italia, nel primo decennio degli anni 2000, vip e volti meno noti dello spettacolo hanno fatto pubblicità per il brand. Il logo della rana è comparso in programmi televisivi e reality, passando poi per rotocalchi e giornali di gossip. Si trattava anche di pubblicità occulta. La paparazzata Transghost è la sintesi della nostra ricerca dentro l’archivio. La paparazzata gioca con il nascondimento, l’occultazione, la rivelazione e la pubblicazione di interiorità ed esteriorità, di pubblico e privato, creando un contrasto tra una presunta interiorità e l’immagine superficiale. La paparazzata inoltre racconta l’intrusione di uno sguardo altrui giudicante.
(Abbiamo voluto ricreare tre ambientazioni differenti. L’interno di un’automobile, la scalinata d’ingresso di un tribunale, i negozi di lusso nelle vie del centro. Sono state di forte ispirazione le paparazzate iconiche alle celebrità americane: Britney Spears, Paris Hilton, Madonna e Sean Pean. Nel panorama italiano, è il sistema mediatico berlusconiano che ha prodotto vip, starlette e paparazzi).
Per noi era interessante capire cosa accade quando il vip paparazzato è Transghost. Ci interessava giocare con i criteri di riconoscibilità e popolarità di una celebrità, anche quando questa possiede un’identità occulta. Chi vede quelle immagini riconosce i movimenti da star, reiterati in portamento, comportamento e azione. La percezione di celebrità diventa un un gioco di abiti, accessori e comparse. Gli abiti e il fashion servono anche a dare un’immagine coerente rispetto ad un’idea di sé. Ancora una volta si parla di rappresentazione e desiderio. Però sulla questione del fashion se ne occupa più Giulia.
Gli abiti, le posizioni e i gesti sono da sempre fonte principale per la creazione dell’immagine esteriore del singolo in un contesto al quale vuole appartenere. Mi vengono in mente sia i social network, sia le chat di incontri dove vengono mostrate cosce, addominali e sederi perfetti in palestra, a bordo piscina o con in mano cocktail. A tal proposito, mi sono imbattuto in un post in cui una persona diceva “Digital creators, aiutatemi a riempire questi desideri che avete contribuito a sviluppare”. Qui si denota come il sistema digitale nel quale siamo inserite porti a una spersonalizzazione completa, a favore di una massificazione di quelle che sono le dinamiche della propria individualità. Sento che intorno a me c’è questa necessità continua e costante di identificarsi in delle immagini che ci sono proposte dai digital creator, dalle app di incontri, dal fashion. In questo contesto la vostra operazione è utile per scardinare quell’idea, scardinare l’idea che bisogna raggiungere un determinato standard.
Il corpo è un costrutto, come a grandi linee stai evidenziando. Nella forma virtuale e/o digitale del corpo si possono riscontrare una serie di considerazioni più o meno problematiche inerenti alla rappresentazione del corpo e al suo statuto ontologico in aggiunta a tutte quelle che citavi poc’anzi. Tuttavia Transghost nasce dalla necessità di raccontare ed esplorare i limiti del corpo in rapporto ai concetti di verità e di finzione a partire dal piano della realtà. Fino ad adesso le foto di Transghost sulla nostra pagina Instagram hanno solo documentato le azioni e le performance realizzate.
Inoltre, ricollegandomi alle tue riflessioni, uno dei motivi elencati in Transghost Manifesto per cui riconoscersi in Transghost è quello di non dover rispettare falsi standard di bellezza. Il problema insiste ancora una volta su come apparire, su come dare un’immagine desiderabile di sé.
Il canone unico di bellezza è in effetti solo un mito.
A cura di Gianluca Gramolazzi
Instagram: ness_transghost
Caption
-ness, On a Solitary Beach – Performers Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian, styling Giulia Zulian, zentai designer Giulia Collesei and Ernesto Molin – Courtesy -ness, ph Furio Ganz
-ness, Rubattino – Performer Giulia Zulian, look Marni, styling Giulia Zulian, zentai designer Giulia Collesei and Ernesto Molin, art director Rooy Charlie Lana – Courtesy -ness, ph Roxy Ceron Vergani
-ness, On a Solitary Beach – Performer Rooy Charlie Lana, Look Giorgia Andreazza, styling Giulia Zulian, zentai designer Marc Benozzo – Courtesy -ness, ph Roxy Ceron Vergani
-ness, On a Solitary Beach – Performer Rooy Charlie Lana, Look Giorgia Andreazza, styling Giulia Zulian, zentai designer Marc Benozzo – Courtesy -ness, ph Roxy Ceron Vergani
-ness, Packing Feelings – Performers Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian, styling Giulia Zulian, zentai designer Giulia Collesei and Ernesto Molin – Courtesy -ness, ph Chiara Fantaccione
-ness, -ness x Monella Vagabonda – Performer Giulia Zulian, art director Rooy Charlie Lana,
styling Giulia Zulian, zentai designer Marc Benozzo – Courtesy -ness, ph Gianluca Normanno