Off Topic è una conversazione che si focalizza su un’unica tematica, tralasciando le opere o le mostre. Lo scopo è quello di raccontare non solo un* artista ma anche l’apparato teorico e l’immaginario che soggiace alla sua produzione.
La ricerca artistica di Stefano Comensoli e Nicolò Colciago si focalizza sui luoghi abbandonati, scoprendo proprio lì i materiali per le loro opere. Lo scarto è la sostanza che li muove, e l’inizio della nostra conversazione.
A Leonia, una delle città invisibili di Italo Calvino, ogni giorno tutto è nuovo: nelle strade vengono ammassati gli scarti della Leonia di ieri che gli spazzaturai puliscono e spostano ai margini della città. La sua periferia, piena di spazzatura, si incontra con altre periferie piene dell’immondizia di altre città intonse e pulitissime. Gli oggetti di oggi hanno reso obsoleti le novità di ieri.
Nicolò: È come se la città di Calvino si fosse estesa a livello globale. Infatti, queste dinamiche sono evidenti ovunque: in ogni città gli scarti vengono spinti via dal centro verso le periferie e da queste scivolano nei territori più esterni. Lo scarto traccia delle mappe, delle rotte di potere in qualche modo. Ci sono dei luoghi che sono stati delegati a “pattumiere”, come le discariche di rifiuti tessili sulle coste del Cile di cui si è parlato molto ultimamente, e altri a zone di produzione, delineando globalmente una sorta di distribuzione periferica dello scarto. Credo che debbano essere accettate entrambe le realtà, e poi bisogna metterle in dialogo. Infatti, solo grazie alla relazione e all’osservazione ci si può interrogare sulle dinamiche dello scarto, che altrimenti daremmo per scontate. Credo siano meccanismi più complessi di quanto appaiano e in un qualche modo anche “naturali”, istintivi, quindi richiedono maggior attenzione.
Spesso non si riflette sul fatto che gli oggetti che si eliminano dalle nostre città vanno a finire in luoghi remoti del mondo dove altre persone dovranno convivere con questi scarti. Le nuove discariche hanno distrutto, oltre all’ecosistema, le economie preesistenti basate sull’allevamento e l’agricoltura: le alte concentrazioni di piombo nelle discariche di oggetti elettronici, sia in Africa sia in Asia, rendono insostenibile la vita, ad esempio. In queste situazioni le persone hanno creato nuove economie legate al riciclo e al fatto che ci sia necessità di rimuovere i cumuli di rifiuti. Come sosteneva Nicolò, gli scarti delineano non solo delle rotte del potere ma determinano anche i luoghi dell’egemonia.
Stefano: Voglio sfruttare a pieno il ruolo che ho scelto per me nella vita, quello di artista, perché mi permette di muovermi nel mondo in modo diverso, con margini di libertà, osservazione, esplorazione. Posso scegliere di attraversare i luoghi periferici, i luoghi dello scarto, senza un meccanismo di necessità, non come chi vi trova dimora o chi vive sfruttando i rifiuti (chi estrae il rame, o rimette in circolazione gli oggetti che si trovano lì). Io mi sento al confine, perché ho il “privilegio” di scegliere di entrare e di uscire dai posti abbandonati; posso permettermi di guardare senza un fine ma con consapevolezza e fascinazione. In questo risiede anche la mia, la nostra, responsabilità: tracciare una visione differente di queste zone, della materia che le attraversa. Queste zone sono permeate della sensazione di disagio con cui vengono marchiate, ma che per qualcuno possono rappresentare delle possibilità. Questo è quello che cerchiamo di portare fuori.
Il disagio di cui parli è molte volte creato da persone che chi vive questi luoghi non conoscerà mai e con le quali non condivide niente.
S: Nello scarto c’è sicuramente anche la memoria del disagio di altre persone. I luoghi abbandonati, soprattutto in ambito industriale, prevedono che qualcuno sia stato licenziato, diventando scarto: se io lascio a casa 100 persone, ad esempio, queste sono diventate uno scarto per l’attività, non servono più.
N: Sì, sono luoghi scartati dall’industria e da un’idea di progresso, però poi la gente ci va a vivere. È scartata ma non lo è: è tutto vivo. Non esiste un luogo fisico che smette totalmente di esistere e di funzionare per qualcuno.
Quando abbiamo esplorato insieme la fabbrica abbandonata di Saronno, abbiamo incontrato un uomo che viveva lì. Per il macrosistema economico, quella persona è uno scarto. In Vite di scarto di Zygmunt Bauman, le persone di scarto vengono definite in esubero, sottolineando lo scarto come differenza tra produzione e consumo. Sono persone che non riesco a essere incasellate nei parametri standard creati dall’occidente, senza possibilità di entrare a pieno titolo nel ciclo del consumo. Delle persone di scarto che vivono nello scarto, senza vedere lo scarto come scarto.
S: In qualche modo lo scarto è definito dall’essere umano. È l’essere umano che decide se una cosa va tenuta o buttata, o abbandonata: se taglio un pezzo di legno, una parte è quella che mi interessa, l’altra diventa uno scarto, non mi serve più. Ragionare su ciò che è inutile significa riflettere sul fatto che non tutto deve essere nuovo e perfetto. Abbiamo cominciato a domandarci perché siamo attratti dall’errore, dallo scarto, dall’inutile e dal brutto. Perché io mi specchio in quel glitch? Non abbiamo risposte precise ma troviamo il nostro senso facendo, esplorando, cercando il bello in luoghi in cui qualcuno ha deciso che il bello non c’era più.
N: Lo scarto è interessante nel momento in cui si guarda ciò che gli sta intorno, ciò che lo ha circondato nel corso degli anni. Il fattore dell’utilità ha sempre un’incidenza maggiore rispetto a quello che viviamo, nel senso di dover guadagnare qualcosa in qualsiasi aspetto. Può e non deve esserci solo questo. Non so se l’utilità possa rispecchiare una bellezza più ampia, però credo che la riflessione possa partire da questo: spesso si è portati a osservare le cose nell’ottica dell’utile e non del necessario.
Però lo scarto è ciò che non è necessario. È qualcosa che ha finito il suo utilizzo; un oggetto o un edificio perdono il potere di essere adoperati e di essere funzionali.
S: Lo scarto ha vissuto un tempo e uno spazio, ed essendo stato scartato, posso dimenticarmi della sua funzione: è lì per quello che è in quel momento. Ha addosso i segni del tempo, che sono una cosa che a me interessa perché è come una persona che dice la sua. Essendo una materia che ha vissuto, devi dialogarci, non puoi prenderla e progettare. Lo scarto ci ha insegnato a non pensare alla forma finale come prima cosa, emerge dopo la relazione con la materia. In realtà posso fare tutto con molto meno, non ricreando un’immagine ma trasformando e ponendo l’attenzione su un dettaglio che già c’è . Nei luoghi meno regolamentati, o meglio, dove il bisogno e il coraggio superano le regole creando gerarchie alternative, l’attenzione viene posta sul bisogno da soddisfare e vengono utilizzati oggetti in maniera indiscriminata: in campagna quando un contadino deve fare la vigna, non ordina il “kit vigna” per poterla fare, ma prende il tubo del gas, un pezzo di legno avanzato dalla costruzione del portico, filo di ferro e fa la vigna. Lo scopo è creare la vigna.
N: Parliamo di scarto in senso positivo: riutilizziamo degli oggetti che mettono in circolo energia, per una necessità o un’emergenza. Si parla di crisi ambientale, abitativa, e tutto è narrato in chiave distruttiva, di impossibilità di risolvere o fare, mentre se venisse invertita la dialettica, se si desse alla persone la visione di una possibilità, allora forse si manifesterebbero soluzioni alternative e attive: anziché chiudere un luogo, lo puoi dare in concessione per far nascere qualcos’altro, ad esempio. È relativo a come vedi le cose, come sei stato educato e abituato a farlo.
Come si può fare educazione in questo modo? Quali sono le possibilità educative?
S: Più che educare, parlerei piuttosto di porre domande e riflessioni: se tu provi a uscire dal torpore delle risposte già date, a vivere le emozioni positive e negative con la stessa bellezza, a esperire completamente un’emozione, a essere libero da quello che ci è stato imposto o insegnato, allora vuol dire sentire sé stessi e le proprie necessità. Smontare tutto ciò che mi è stato infilato nella testa mi ha portato a vivere queste esperienze, portandomi nelle fabbriche abbandonate per poi attingere da questi luoghi le riflessioni che conduco fuori. Queste, però, sono le mie. Io non posso educare ad andare in questi luoghi. La cosa importante è comunicare che è una libertà di sentire, per poi trovare il proprio.
A cura di Gianluca Gramolazzi
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Stefano Comensoli_Nicolò Colciago, Space in Mirror Is Closer Than It Appears (episode 02), 2021 – Courtesy the artists
Stefano Comensoli_Nicolò Colciago, Space in Mirror Is Closer Than It Appears (episode 03), 2021 – Courtesy the artists, ph Luca Vianello e Silvia Mangosio
Stefano Comensoli_Nicolò Colciago, Zauber und Paranoia, 2021, screen printing film collage, site-specific installation at Super bien! – Courtesy the artists, phAlice Pedroletti
Stefano Comensoli_Nicolò Colciago, Conformazioni, 2021 – Installation view at Atelier Chiffonnier – Courtesy the artists