Spazi circoscritti da architetture già per loro natura non regolari. Ambienti che si definiscono con flash di colori o cedono il passo all’oscurità totale, interrotti da intermittenze visive e sonore che generano una condizione di smarrimento.
Non Linear Spatial Normalization è la prima personale europea di Ricardo Carioba (1976, San Paulo, Brasile), ospitata da Futurdome fino al 23 novembre. Lo spazio diretto da Atto Belloli Ardessi e Ginevra Bria è un luogo non convenzionale, dedicato alla ricerca e alla sperimentazione più contemporanea. Un museo abitato che si distingue da molte altre identità per la sintesi delle scelte curatoriali, che si apprestano a rappresentare una narrazione dell’attuale panorama internazionale, lontano da schemi precostituiti o da estetiche spesso omologate.
Installazioni immersive, visive e sonore, stampe digitali e disegni, sono le opere selezionate dai curatori, a seguito di un lungo lavoro con l’artista. Ad aprire il percorso è un progetto realizzato appositamente per il museo di Milano, Èter (2011), un campo luminoso che raffigura l’etere che per Carioba è “un fluido organico e elastico”1. Che rappresenti il quinto elemento nella cosmologia greca o ancora lo spazio in cui si propagano le onde elettromagnetiche, per noi, terreni (ma non troppo), anticipa l’accesso a un luogo altro. Un’alterità despazializzante in cui lo spettatore si trova a fluttuare in una dimensione atemporale.
Una ricerca, quella dell’artista, che attinge dal complesso universo delle neuroscienze e in particolare alla pratica delle normalizzazioni spaziali. Si tratta di un’attività che registra le immagini prodotte dal cervello, riproducendole per mezzo di grafici e evidenziandone i circuiti neurali complessi. In particolare, identifica con tecniche di neuro-visualizzazione, quelle aree comuni a tutti in cui sono memorizzate le capacità di connettività cerebrale o la presenza di eventuali anomalie.
Le opere di Carioba si insinuano così, con una forza dirompente negli ambienti. Costruiscono tessuti sonori e architetture fondate su vibrazioni prodotte e ripetute in loop, con lampi luminosi che danno forma allo spazio. Fenomeni responsabili di alterazioni che agiscono direttamente sulla sfera sensibile dell’uomo, che risponde agli stimoli esterni con reazioni fisiche e emotive. In questo contesto le opere acquisiscono il valore di un linguaggio con una semantica tutta nuova. Un linguaggio che utilizza codici complessi frutto di algoritmi, tecniche sofisticatissime, presupposti scientifici, che appare non codificabile con gli strumenti a nostra disposizione. Al contrario, impone e obbliga a uno sforzo ulteriore, ponendo il soggetto di fronte ai limiti cognitivi e percettivi e alle possibilità generate dall’astrazione. Carioba non è interessato alla riproduzione del reale ma agisce a un livello superiore della rappresentazione stessa, indagando fenomeni interiori e interni all’individuo stesso, forzandone le capacità immaginative e sfidando sensi e potenzialità. Opera e soggetto si trovano così in uno spazio liminale in cui la prima si completa senza mai essere la stessa, per via dell’interazione con lo spettatore e, quest’ultimo, ne è trasformato o, comunque, investito, suo malgrado, ogni volta in maniera differente.
Le stanze vuote e in divenire degli appartamenti del museo (in parte non ancora abitato), diventano luogo ideale, in cui collocare i lavori che agiscono come involontarie interferenze sensoriali e emotive, che disturbano il percorso del pubblico.
Rappresentazioni grafiche e visive stranianti, come la sensazione provata di fronte a Lapso (2014), un’installazione sonora in cui l’uso degli specchi amplifica e deforma l’ambiente. Molteplici righe orizzontali rompono i confini della stanza; inducono (inteso nel suo significato transitivo) a un comportamento che si concretizza in un avanzare verso un’apparente continuità spaziale che non esiste, conducono in un altrove fisico creando un infinito presente. Una linea solitaria, Horizonte Nigro (2013), segna un orizzonte in cui i paesaggi non sono visibili ma è proprio nella loro assenza che la separazione si fa netta. Una porzione di vuoto in cui è possibile ipotizzare nuove prospettive immaginarie e immaginate. Prospettive che nell’oscurità si animano con bagliori e i suoni di Nervo (2017), una traccia sulla parete “una nervatura”, avvolgente e violenta che provoca uno scollamento dalla realtà. La stessa prodotta dal reticolato mobile che rappresenta il modo in ciò che è astratto è utilizzato “per codificare, comprendere e controllare l’universo del vuoto”2 in Perspectiva Sobre Fundo Negro (2010). La sensazione di un’altra dimensione si amplificata con Fato oculto (2018) in cui la stanza si dilata in quel susseguirsi nervoso di luci e suoni, mentre in Sem título (2014) sculture geometriche oscillano nello spazio, si moltiplicano e appaiono sospese modificandosi al nostro passaggio all’interno dell’area di proiezione. Cerchi concentrici si alternano in un gioco di sovrapposizioni nell’alcova sotterranea in cui è collocato Bilateral (2019), il lavoro più recente, in cui l’artista mette in equilibrio la parte destra e sinistra del corpo e del cervello, che restano distanti e paralleli senza mai sovrapporsi. Allo stesso modo, in una stanza ai piani superiori, gli impulsi luminosi blu di Declinio organico (2018) non sono percepiti in maniera simultanea. Accanto alle installazioni Carioba presenta stampe digitali come Grisaille (2019), Diàfano (2019) e Sibilo Grave e disegni digitali come Cartas (2019), che mostrano da diversi punti di vista i volumi di una figura geometrica.
In un contesto quotidiano dominato dalla dissipazione sonora e da una sovraccarico visivo, soprattutto nelle città a alto grado di urbanizzazione, Carioba obbliga a rallentare il passo, un effetto reale come conseguenza delle sue opere travolgenti, ma anche una necessità essenziale alla maturazione di una riflessione. Attraverso l’estetica del suono e della visione, elabora una raffinata e complessa narrazione, in cui i media utilizzati si spogliano delle loro strutture conoscitive. Nel contatto con uno spazio circoscritto, come quello di un ambiente chiuso, la loro esperienza diretta e assoluta, si amplifica e tra stato di coscienza e sensazioni l’unica alternativa possibile è un’interpretazione del mondo infinita e indeterminata.
Elena Solito
1,2 Non Linear Spatial Normalization – Comunicato stampa e Testi in mostra – Futurdome
Ricardo Carioba
Non Linear Spatial Normalization
A cura di Atto Belloli Ardessi e Ginevra Bria
10 ottobre – 23 novembre 2019
FUTURDOME – Via Giovanni Paisiello, 6 – Milano
Instagram: futurdome
Caption
Ricardo Carioba. Non Linear Spatial Normalizations, 2019 – Installation view – Courtesy Futurdome, ph Cosimo Filippini