Yelena Mitrjushkina, laureanda in Arti Visive all’Università di Bologna, è la direttrice della neonata galleria Narkissos che ha inaugurato in gennaio durante il week end di Arte Fiera con una personale dell’artista americano John Duncan. Lo spazio espositivo, ubicato in un grande appartamento al secondo piano di un antico palazzo del centro di Bologna, contrappone allo stereotipo del “cubo bianco” un approccio schietto e informale che favorisca l’interazione con un pubblico curioso e variegato.
Come nasce l’idea della galleria Narkissos? Che significato ha questo nome?
La galleria nasce per una serie di fortunate coincidenze: c’era l’idea di creare uno spazio espositivo e due amici proprietari di un appartamento sfitto da anni me ne hanno offerto la disponibilità. Prima o poi verrà ristrutturato e affittato di nuovo ma nel frattempo lo possiamo utilizzare per mostre ed eventi culturali. Narkissos è il nome di un mio animale domestico che purtroppo non c’è più: non volevo un nome generico o una sigla legata alla via o al numero civico come spesso si usa fare perché sapendo che questa non sarà la sede definitiva mi serviva qualcosa di più versatile.

Quale sarà l’indirizzo artistico della galleria? A quale pubblico si rivolge?
Per il momento non abbiamo un indirizzo prestabilito, sono aperta alla sperimentazione e disponibile a valutare diversi stili, artisti e background. Nelle mostre a Bologna vedo una certa conformità a causa della tendenza a riproporre stili e artisti, anche emergenti, che si sa già che piaceranno. Vedo quindi molto minimalismo, troppa pittura e tantissima arte povera; anche all’Accademia di Belle Arti molti professori indirizzano gli allievi a seguire tendenze consolidate. Vorrei portare un po’ di novità in quest’ambiente e proporre qualcosa che si distingua dalle strade già percorse.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Bologna tende a non riconoscere e valorizzare abbastanza ciò che ha e a dare maggiore rilievo ad artisti o personaggi del mondo culturale che provengono da fuori. Molti artisti che a Bologna non avevano ottenuto nessun riconoscimento si sono dovuti trasferire all’estero per avere attenzione e vincere premi. Non so se tale situazione dipenda da politiche interne alle istituzioni, ma mi chiedo se sia possibile immettersi da esterno in questo mondo fatto di conoscenze e raggiungere degli obiettivi partendo da zero come faccio io, non avendo alle spalle una famiglia di collezionisti o direttori museali. Lavorando tanto e facendo un buon lavoro è possibile a Bologna arrivare da qualche parte? È una domanda aperta perché sono ancora all’inizio, ma la risposta del pubblico è incoraggiante, la nostra prima mostra è stata molto visitata e i visitatori sono rimasti colpiti positivamente sia dallo spazio che dai lavori.
Cosa ne pensi del sistema dell’arte contemporanea?
La storia dell’arte del Novecento ha sistematicamente smontato dogmi preesistenti relativi al concetto di arte e di opera: ci siamo liberati dal figurativismo, dal quadro inteso come colore su tela e come oggetto verticale al muro, siamo passati all’installazione e alla performance. Questo processo di decostruzione è stato necessario ma ora fatichiamo a immaginare un concetto nuovo, quindi abbiamo avuto una sfilza di citazioni e riprese neo, post, new, trans. Penso che ora ci troviamo in una fase di limbo, ma ho molta fiducia nella nuova generazione di artisti nata e cresciuta con il digitale e mi aspetto una nuova ondata costruttiva. Fino ad allora considero il sistema dell’arte contemporanea come un qualcosa di necessario per mantenere vivo l’interesse per l’arte seppure tramite dinamiche non propriamente sane, come ad esempio la consuetudine di attribuire più valore a un’opera se il proprietario precedente era un collezionista importante, spostando di fatto l’attenzione dall’opera al suo possesso. Non dobbiamo mai smettere di chiederci cosa sia l’arte, è una domanda che ha risposte sempre diverse di generazione in generazione perché l’arte è lo specchio della società in cui viviamo e un modo per capire chi e come siamo.

Quale domanda vorresti che ti facessi?
Una domanda che mi sento spesso rivolgere riguarda la mia età: ho 25 anni e molti si meravigliano che una persona giovane si dedichi a un progetto così impegnativo. Io ho vissuto la mia adolescenza in Russia e lì tutto accade molto prima: la formazione scolastica è più breve, l’università inizia e finisce prima, ci si sposa, si fanno figli e si inizia a lavorare prima, quindi una persona di 25 anni è considerata già formata e capace di assumersi responsabilità. In Italia si dà più spazio all’esplorazione del mondo, ai viaggi, anche alla festa, ma spesso i giovani vengono abituati a non essere consapevoli dei propri doveri e delle proprie possibilità e forse proprio il loro sconforto potrebbe essere alla base della crisi economica che abbiamo vissuto. Se le loro iniziative venissero sostenute sia economicamente che moralmente ci sarebbe più scambio anche a livello economico. È un circolo che una volta avviato si nutre da solo ma bisogna innescarlo e io vorrei poter essere d’esempio per tanti altri giovani che non trovano il coraggio di buttarsi in ciò che credono. Magari non andrà a buon fine ma intanto sarà stata una bellissima esperienza! Fin dall’inizio mi sono data un budget e anche se non guadagnerò niente dalla galleria, sicuramente a livello pratico ho imparato più in questi pochi mesi di installazione, contatto con artisti, giornalisti e visitatori che non in due anni di specialistica all’Università. In molti si chiedono come si fa a diventare curatori. Io ho tagliato la testa al toro e curo le mostre nella mia galleria.
NARKISSOS CONTEMPORARY ART GALLERY – via San Vitale, 27 – Bologna
Intervista a cura di Emanuela Zanon per FormeUniche