Le mappe di memoria di Matilde Sambo: Dormiveglia, il primo capitolo della trilogia presentato all’Associazione Barriera

Matilde Sambo (Venezia, 1993) procede per atti, momenti e capitoli. Narrazioni che seppur sono rappresentate separatamente, tracciano una mappa dell’evoluzione umana. L’artista ha trascorso una settimana a Lanzarote nel mese di giugno. Nella nostra lunga conversazione telefonica racconta di come quel viaggio sia arrivato al momento giusto. In quel luogo ha ritrovato le forme che facevano già parte della sua produzione artistica. Anatomie di arcaica natura originate dalla pietra vulcanica con pertugi e aperture. Un richiamo al mondo animale e vegetale che si presentano nella loro imperfezione costitutiva per dare origine a Dormiveglia, presentata all’associazione Barriera di Torino in collaborazione con aA29 Project Room e curata da Yuliya Say.

La mostra nasce come trilogia, di cui questa è il primo capitolo: assopimento. Il momento prima dell’abbandono: “prima del tuffo nel sonno”, racconta Sambo, rappresentato formalmente dalla sequenza installativa di sculture sospese su basamenti metallici (realizzati su misura) a parete e sulle colonne dello spazio.

Durante lo stato ipnagogico (la fase tra la veglia e il sonno) l’uomo si trova in una condizione di coscienza preliminare. Si tratta di un luogo sospeso tra la coscienza e l’incoscienza che conduce alla fase REM, un momento di “assopimento”, in cui inizia una fase di rilassamento generale e l’attività cerebrale diminuisce. Non siamo ancora completamente addormentati, ma il corpo si prepara a varcare la soglia in cui l’interruttore neurale si spegne (anche se solo per brevi periodi). Da un punto di vista neurologico gli studi sul sonno dimostrano come i neuroni corticali in questa fase, non siano in grado di trattenere le informazioni. Questo è il motivo per cui spesso i sogni si dimenticano o si ricordano solo piccoli frammenti.

Dormiveglia è interprete di un mondo parallelo, costituito da consuetudini che definiscono l’esistenza di ciascuno. Come un rituale iniziatico quotidiano di memoria antropologica (descritto da Arnold Van Gennep in I rituali di passaggio), la fase di separazione dalla coscienza anticipa quella post-liminale. Ma è proprio lì nel mezzo, che si verifica la transizione da uno stato all’altro. “Riusciamo a vedere gli abitanti che non solo ricordi sbiaditi, ma riemergono forme e figure molto più astratte”. Gli abitanti di Sambo sono materici e imperfetti. Sono “forme meno funzionali rispetto alle armi e armature che sostituivano i corpi assenti in Saliente avidità. In questo caso le sculture sono accoglitori per via delle insenature e dei pertugi. Accolgono qualcosa, elementi e pensieri che si formano durante il dormiveglia” [M.S.].

Negli abitanti di Sambo alberga un substrato di conoscenza evolutiva trasferitasi nel tempo, attraverso la memoria. Archetipi di matrice junghiana [1] prelevati dall’inconscio collettivo presenti nei miti, nei riti e nei sogni presenti in ogni epoca e cultura.

Anche lo spettatore ospitato nello spazio è riportato a uno stato di perdita di conoscenza del reale (come nel dormiveglia), dove ciò che guarda potrebbe essere il frutto di una ricognizione archeologica su campo. Le sculture sospese evocano materiali e materie arcaiche. Le forme sono prelievi di natura come muschi marini, organismi informi che si alternano a maschere e a modelli umani appena abbozzati.

I drappi adagiati lungo le colonne nascondono e rivelano qualcosa di quello stato di incoscienza. Al di sotto sono poste piccoli modelli di argilla coperti da tessuti inamidati (con amido naturale). I teli di lino, seta e lana, sono ricamati artigianalmente (dalla mamma e dalla zia dell’artista) e tinti nel caffè, con un testo scritto dall’artista come ricordi e memorie della notte. Un testo poco leggibile che segue l’incomprensione della fase notturna.



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Il reale perde la sua funzione primigenia di restituire una parvenza di oggettiva identificazione di un tempo storico. Siamo in quella distanza tra il passato e il presente. Diventiamo quel tempo in divenire che accade mentre il corpo rallenta e la mente vagheggia. Siamo il vagheggiamento della notte che si ritrova nella stanza nella notte e in quella metaforica del pensiero, che entra in collisione con l’ambiente ricavato da un ex spazio industriale che ospita artista e spettatori.

Le sculture in bronzo, di argilla cruda e terracotta suggeriscono una tradizione scultorea antica, e una tecnica umana che ha saputo mantenersi intatta nel tempo. L’uso della terracotta è un voler ripristinare questa techne. Il ricamo diventa la presa di coscienza e di conoscenza che il tempo lascia inalterate alcune pratiche che hanno forgiato l’uomo. La fusione a cera persa è la stessa da sempre, che si ripete con fogge che interpretano i contesti culturali e storici, in cui viene adottata.

Sambo elabora un’indagine sull’uomo e il suo mondo, sulle relazioni e gli accadimenti che lo hanno accompagnato dalla notte dei tempi. Si avventura in un campo fantastico e misterioso come quello notturno. Lascia che le memorie offuscate trovino forme adeguate al loro divenire ricordo. La sua ricerca ha radici che attingono alla memoria di Lascaux. Una caverna scoperta a poca distanza da Montignac negli anni Quaranta del Novecento. George Bataille ne analizza il contenuto e il significato ne La nascita dell’arte identificando due aspetti fondamentali:

il primo è la comparsa degli utensili (e quindi del lavoro); il secondo è la nascita dell’arte (e quindi del gioco). La creazione di utensili è attribuita all’Homo Faber, a colui che, pur non essendo più un animale, non era diventato ancora un uomo a tutti gli effetti […] l’arte invece fece la sua comparsa con l’uomo attuale, l’Homo sapiens, che apparve all’inizio del Paleolitico superiore […]”.

L’artista segue in parallelo questi due filoni. In Vita come saliente avidità (progetto presentato alla Fondazione Battaglia nel 2021) ha realizzato delle armi e armature imperfette indossate da lottatori per proteggersi e difendersi, raffigurando così l’Homo Faber. Nella ricerca condotta per lo studio delle stesse, si è imbattuta in materiali che pur provenienti da geografie e epoche differenti, mostravano degli elementi comuni, come il drago. “La lotta del drago è presente in San Giorgio a Venezia, che è anche la mia città”, archetipo occidentale che incarna un’immagine negativa, maligna, pericolosa e da combattere, e con una valenza positiva raffigurante principi di saggezza, pace e giustizia in Oriente. L’artista si interroga sulla circolazione di immagini e simboli che si tramandano nel tempo e nelle epoche, tra mondi diversi e lontani. Si tratta di un processo in cui certi schemi, storie e immagini trovano consistenza e continuità, indipendentemente dal contesto culturale e dal momento storico. Elementi che sono sempre esistiti e che perdurano nella memoria individuale e collettiva proprio come archetipi.

Se Vita come saliente avidità affronta un concetto utilitaristico, in Dormiveglia la produzione scultorea indaga l’Homo Ludes. Nel 1939 lo studioso Johan Huizinga scrive “Homo ludens. Proeve eener bepaling van het spel-element der cultuur”, in cui analizza come il fenomeno del gioco sia una prerogativa delle specie (umane e animali). L’autore identifica nella categoria del gioco non tanto un istinto biologico o un fatto sociale e culturale, quanto piuttosto un fatto preculturale. Si tratta di uno scostamento dall’ordinarietà e dalla quotidianità, di uno strumento o un metodo per attivare una conoscenza di sé e del mondo, attraverso l’esperienza e la scoperta che il gioco consente. Un fenomeno con un senso e uno scopo che pone l’uomo in una condizione liminale. Per Johan Huizinga: “l’esistenza del gioco non è legata a nessun grado di civiltà, a nessuna concezione di vita. Ogni essere pensante può immediatamente rappresentarsi quella realtà: gioco, giocare, come qualcosa di specifico, di indipendente, anche se il suo idioma non avesse per esso un’espressione generale. Il gioco è innegabile. Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, persino Dio. Si può negare la serietà. Ma non il gioco”.

Nella sua ricerca l’artista seguendo il processo evolutivo della specie umana, traccia un solco nella materia attraverso il processo scultoreo e installativo, o utilizzando la performance e il video (come in lavori precedenti). Linguaggi che si fanno interpreti di un presente-materiale e che incorporano conoscenze senza tempo, destinate a essere trasmesse alle generazioni future.

Elena Solito


[1] C. G. Jung Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri 1977


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Caption

Matilde Sambo, DORMIVEGLIA (2022) – Installation view, Associazione Barriera, Torino – Courtesy l’artista e aA29 Project Room, ph Gabriele Abbruzzese