La collezione di Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), conservata presso il Museo di Palazzo Poggi a Bologna, intendeva documentare e catalogare i reperti di una natura che opera secondo processi necessari e graduali, concentrandosi sulle “generazioni regolari” a discapito delle anomalie, uniche o rare, che in altre raccolte erano considerate fonte di stupore e meraviglia. Un analogo interesse per la rilevazione e classificazione di ciò che i nostri sensi riescono a percepire dell’intricata struttura del mondo, è il fulcro dell’indagine di Mariateresa Sartori (1961), invitata da Angela Vettese a confrontarsi con le serie marsiliane attraverso un corpus di lavori recenti presentati in tre stanze del museo. L’assunto che l’artista cerca di verificare con tecniche diverse, dai frottages ai calchi, alla fotografia stenopeica e con microscopio ottico, è che in natura le variazioni possibili sono infinite ma non tutte le variazioni sono possibili. In linea con i principi costitutivi del settecentesco Istituto delle Scienze di Palazzo Poggi, fondato secondo i criteri metodologici dell’osservazione diretta e dell’esperimento, Sartori si trasforma in empirico strumento di registrazione delle specifiche emergenze del reale su cui decide di concentrare la sua attenzione.

Così, nella serie Calchi, applica agli scogli di pietra d’Istria, che formano una diga del Lido di Venezia, la quantità di pasta malleabile che può stare nell’incavo di una mano, stendendola in un velo sottile con pressione uniforme e costante per ottenere una raccolta di matrici che, una volta indurite e staccate, ricompongono una versione in negativo della catena rocciosa, riducendone al minimo la tridimensionalità. L’installazione è accompagnata da uno schema che associa ciascun calco allo scoglio che l’ha generato, in un esercizio di classificazione fine a se stesso che nel suo farsi trasmette la parzialità e la vanità dei criteri umani di fronte al mistero delle architetture naturali. Se la ricerca di impersonalità è alla base delle procedure operative dell’artista, la semplicità dei gesti che compie e i suoi mezzi letteralmente a misura d’uomo tradiscono l’intimità del suo rapporto solitario con la natura e la sua soggettiva emozione nell’esplorarne le logiche interne.
Mariateresa Sartori non inventa nulla e cerca di attenersi al dato reale come si presenta ai nostri sensi, per restituirlo nel modo più fedele concesso dalla loro costitutiva approssimazione senza dimenticare che le verità scientifiche sembrano spesso contraddire le sensazioni epidermiche. A questo modo la necessità di comprendere e ordinare tramite classi e categorie, semplificazioni e approssimazioni, rivela che l’unica certezza è l’impossibilità di un’acquisizione che trascenda l’incompletezza della sfera umana.
Il confronto tra metodo scientifico e prassi artistica sono al centro della serie Frottages, I Campioni in cui Sartori rileva la trama di superficie di alcuni sassi, provenienti da una cava del vicentino, sovrapponendo un foglio su cui poi passa la grafite cercando di esercitare una pressione il più possibile costante. Il disegno che ne risulta, oltre a mostrare l’incredibile diversità di tessitura di corpi a prima vista analoghi, sostituisce l’originale nell’indagine di alcuni geologi invitati a dedurre la tipologia di ciascun sasso sulla base di questo rilievo empirico. La loro descrizione, sempre confermata dal successivo esame visivo del prelievo reale, appare stampata con caratteri tipografici imprecisi accanto all’immagine per sottolineare come l’arrancante vocazione umana all’impeccabilità e la sua necessità di capisaldi generi fraintendimenti e inesattezze nonostante la convergenza dei risultati prodotti da strumenti di ambito diverso e complementare.

La ricerca di oggettività esercitata in modi rudimentali che sfocia in un’impersonale soggettività si concretizza nelle Fotografie Stenopeiche di alcune piantine di campagna raccolte dall’artista nel carso francese durante una residenza. Le immagini, realizzate con una semplice scatola di cartone forata in cui la luce riproduce direttamente l’impressione fisica dell’oggetto inquadrato sulla carta fotosensibile collocata all’interno, dimostrano come anche un soggetto inanimato possa risultare impermanente in un rilievo oggettivo. Nel corso del lungo tempo di esposizione richiesto dal medium, infatti, il vento, i cambiamenti luminosi e altre imprevedibili variabili ambientali condizionano la nitidezza e la posizione di ciò che viene inquadrato, stravolgendone la forma e decretandone l’indecidibilità.
La perdita di controllo sull’informazione e la tensione tra la caducità del fattore umano e il suo instancabile sforzo di arginare l’errore e sistematizzare la conoscenza hanno esiti ironici e surreali nel video Le Ragioni della scienza che conclude la mostra, in cui una voce narrante, tratta da una datata registrazione radiofonica che spiega in modo divulgativo alcuni fenomeni scientifici, accompagna la proiezione di stralci di vecchi film o documentari d’archivio. Le incongruenze semantiche tra i dati visivi e quelli sonori generano spiazzanti cortocircuiti logici che restituiscono la consapevolezza del mondo come aleatorio insieme di nozioni contrapposte e non verificabili.
Emanuela Zanon
MARIATERESA SARTORI
PER CASO E PER NECESSITÀ
a cura di Lucia Corrain
28 gennaio – 26 febbraio 2017
MUSEO DI PALAZZO POGGI – Via Zamboni, 33 – Bologna
www.museopalazzopoggi.unibo.it
Immagine di copertina: Calchi, 2016, (partic.) 223 calchi delle pietre d’Istria di una diga del Lido di Venezia – courtesy Mariateresa Sartori