Lorem Ipsum. An exhibition without a title è una mostra collettiva realizzata a cura di Irene Sofia Comi presso Spazio In Situ a Roma nei mesi di ottobre e novembre 2022.
Il progetto presente le opere di Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini, Francesca Cornacchini, Marco De Rosa, Federica Di Pietrantonio, Chiara Fantaccione, Andrea Frosolini, Daniele Sciacca, Guendalina Urbani e deve il suo titolo all’omonimo testo campione usato generalmente per le bozze di grafica e di programmazione, estratto che si basa sulla storpiatura dello scritto De finibus bonorum et malorum di Cicerone del 45 a.C.
Franco (Lorem Ipsum) è un racconto immaginativo stampato in edizione di 100, parte integrante e costitutiva della mostra curata da Irene Sofia Comi Lorem Ipsum. An Exhibition without a theme.
Grazie alla disponibilità di Spazio In Situ e della curatrice abbiamo voluto presentare questo progetto attraverso una gallery panoramica di immagini e il racconto Franco (Lorem Ipsum).
FRANCO (LOREM IPSUM)
di Irene Sofia Comi
Certo, mantenere questa posizione non aiuta. Devo stare sempre diritto, non mi è concesso nessun movimento, devo rimanere asettico e rassicurante. Qualcuno mi definì persino sacrale nel 1976, soprannominandomi white cube. E poi, pochi anni fa, origliando chiacchiere di sconosciuti, ho scoperto che questo tizio mi ha persino paragonato a una cattedrale, forse era in preda a un’estasi interpretativa, ispirato da un bicchiere di rosso o da una di quelle birre scadenti che a volte dimenticano qui da me. Io, uno spazio adibito silenzio… ma ci pensi!? Quel signore si sbaglia: è vero, qui in alcuni periodi non si sente ronzare una mosca, ma in altri c’è un fagocitante via vai! E non credete che la cosa non vi riguardi. Per tanti di voi esperti d’arte io sono una realtà su cui proiettare desideri, una magia che porta altrove, un’illusione che sposta lo sguardo, un’astrazione degna del più bianco dei Malevič.
E pensare che c’erano tempi in cui nel grasso ci sguazzavo; ora non posso accogliere nemmeno il più piccolo granello di polvere senza far imbestialire qualche artista. Ma oggi, finalmente, voglio rivelarvi il mio passato. Nascondo in me storie taciute, ormai sepolte sotto tutti quegli strati di pittura che mi ricoprono. Fesso chi crede al Paradiso! Io mi reincarno di continuo, in una mutevolezza d’identità che tanto piace a voi contemporaneisti.
Eppure la prima volta che ho cambiato natura è stato orribile. In pochi minuti mi sono sentito violato. Ricordo bene che urlai con voce stridula: “la mia forma non si tocca! La mia anima è inviolabile”, ma quelli procedettero con i loro affari, in silenzio; spostarono quello e quell’altro, sopra e sotto; non riposero la minima attenzione alle mie necessità, avevano solo premura del mio bell’aspetto. C’era una scena di un film, adesso non ricordo quale, in cui una ragazza esclamava con sarcasmo: “Non si preoccupi, adoro essere ridotta a uno stereotipo culturale”. Ecco forse avrei dovuto andare avanti a parlare anche io così, a sbraitargli contro. E non giudicatemi per la mia scarsa memoria cinematografica: quel che apprendo qua e là dalle bocche di chi viene a farmi visita è tutto ciò che conosco. Lo stesso accade a quella macchinetta che è mia ospite da qualche settimana, quella ogni tanto prende vita e comincia a registrare i suoni che sente… che stranezza!
Al di là delle citazioni, io non sono nato per seguire qualsivoglia frenesia concettuale. Certo, di lavori strambi ne ho visti, penso ad esempio a quell’opera piazzata tra le pareti a mia insaputa. Le avevano inflitto atroci dolori. Ahi! Mi ricordo ancora la sensazione che avevo guardando quel lavoro, sembrava di stare nel bel mezzo di una battaglia: lance che volavano nell’aria come saette mentre esseri umani venivano disarcionati in groppa a quadrupedi – degli esseri curiosi mai visti prima, che per giunta nitrivano. Dopo quell’esperienza ho imparato a farmi furbo, ve lo garantisco. Ho trovato un personale equilibrio in risposta agli stimoli esterni e in certe occasioni riesco a fare anche dei sonnellini, pure quando qualcuno mi calpesta con la suola delle scarpe.
A ben vedere ricevevo più attenzione quando ero una rimessa, e pure qualche coccola in più. Non ci avrei mai scommesso ma quello da garage è stato uno dei periodi più piacevoli della mia esistenza. Nonostante mi fossi abituato a sopportare pesi oltre la tonnellata, abitavo un sogno: ogni settimana, di mercoledì, i proprietari arrivavano e si sdraiavano sul fianco per aggiustare qualcosa. I loro giubbotti in pelle morbida mi accarezzavano. Ricordo quel giorno in cui hanno montato le catene, non si è mai capito se volessero farne un sacco da boxe o usarle per appendere le biciclette. Sono ancora lì sul mio soffitto, inutilizzate forse a causa della loro insospettabile leggiadria. All’epoca, poi, mi prendevo cura delle motociclette e devo ammettere che ero un po’ geloso quando uscivano a tutta velocità dal mio antro. Forse ero condizionato dal mio desiderio di libertà, ma giurerei di averne vista una spiccare il volo una sera, nell’oscurità.
Ecco, hanno spento le luci, fine del mio turno! Sarà meglio dormire. Nel pomeriggio li ho sentiti parlare e si prospetta una giornata faticosa. Che lavoraccio il mio, disponibile ad ogni orario, e domani è pure domenica. Sigh, devo confessare che quando arrivo a sera così stanco penso a come sarebbe stato vivere più rilassato, magari rivestendo i panni di uno di quegli alberi con le foglie rosate e vellutate, che sembrano essere usciti da una fiaba. Nella mia precedente vita ero un negozio di articoli e cianfrusaglie per la casa e ho visto tanti di questi paesaggi, erano sicuramente gli sfondi più belli che si sono alternati sui desktop dei pc in cassa… ma ora basta fantasticare, entro in risparmio energetico. Un po’ di stand by gente!
Aspettate, fermi tutti. Sento dei rumori. Si muove qualcosa. Non sarà rimasto dentro qualcuno… ehi tu, creatura dalla pelle salmastra, che è successo? Non ti ho mai vista prima ma sembra ti manchi il respiro. Stai forse soffocando? Aiuto. Possibile che loro non ti abbiano sentita prima di andare via? Se ogni tanto puntassero le pupille verso il soffitto e cambiassero punto di vista… e io ora come faccio ad aiutarti? Aspetta un secondo giovane essere verde, tra poco torno da te. Non me ne volere ma poco più in là intravedo qualcosa che si muove e striscia sibillino… fammi vedere meglio, non sarà mica un ser… oh, speriamo di no. Io ho una fobia acuta dei serp… Non riesco nemmeno a pronunciarlo. Sono così scombussolato, ondeggio di qua e di là, ho le vertigini. Sto sognando o è tutto vero? Che sia un’allucinazione? Un attacco di panico?
Tac tac, tac tac. Alcuni passi si avvicinano, li sento, è rumore di tacchi… c’è qualcuno? Ti prego, dimmi di sì. Palesati e accendi la luce! È da un po’ che sono solo e sto morendo di paura. I tacchi si avvicinano sempre più. Ora sento anche delle voci. La maniglia della porta d’ingresso si apre, ecco che entrano in due: il primo, con abbigliamento sportivo, prende in mano lo smartphone, apre YouTube e schiaccia il tasto “play” mentre si dirige verso la finestra. Non riesco a vedere bene cosa accade sullo schermo ma sento una voce in sottofondo: “siete pronti? È ora del risveglio muscolare, per cominciare con il sorriso la vostra giornata. Parola di Matteo, il vostro personal trainer di fiducia!”. Ma non mi lascio distrarre, e riporto lo sguardo sull’altra persona, la quale avanza con fare concentrato, tenendo nella mano sinistra dei ganci e nella destra delle corde. Ehi, aspetta tu, che cos’hai intenzione di fare su questo muro? Guarda che che ci sono anche io! È irrispettoso. Sarò franco con voi che mi leggete: se solo avessero chiesto il permesso prima di entrare, forse li avrei anche accolti di buon grado. Ancora una volta cerco di ribellarmi ma nessuno mi sente, nemmeno quella macchinetta registra le mie grida. Sono stufo di tutti questi impedimenti. Devo ingegnarmi. Se potessi sollevare il pavimento o abbassare il soffitto, allora sì che gliela farei pagare…
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Lorem Ipsum. A collective exhibition without a theme – Installation view, curated by Irene Sofia Comi, Spazio In Situ, Roma, 2022 – Courtesy Spazio In Situ, ph Marco De Rosa