Living in imagination – Intervista a Dobrosława Nowak

Vivere nell’immaginazione; la tua mostra propone una visione complessa e sfaccettata della contemporaneità. Autori differenti raccontano un panorama ampio, ricco di sottili differenze. Puoi indicarci le linee guida che hai seguito nella scelta degli artisti?

L’idea principale della mostra si concentra sulla relazione fra le circostanze fisiche in cui ci muoviamo quotidianamente – abbastanza ferme, osservabili ed esposte alla vista degli altri (per unificare il discorso, chiamiamola “realtà”) – e, dall’altro lato – tutta la ricchezza della vita interna – spesso più vivace, onesta, piena degli eventi desiderati e, a volte, anche più soddisfacente. Non volendo indovinare dove la cosiddetta realtà comincia e dove finisce, da dove in poi l’esperienza soggettiva oltrepassa il confine con la “vita vera”, ho invitato a partecipare alla mostra artisti che avevano realizzato lavori in cui il confine era il soggetto dell’osservazione, e tra loro, solo quelli che approcciavano il tema con una certa leggerezza, senza superflui giudizi e chiusure. Quando osservo le distorsioni di percezione, la mia laurea magistrale in Psicologia mi fa pensare a dei disturbi mentali, laddove l’istruzione dall’Accademia dell’Arte, avendo un campo dei potenziali mondi immaginativi molto più ampio e accogliente, mi invita a spalancare queste porte strette. Il mio obiettivo era un’osservazione curata, piuttosto che qualsiasi scoperta della frontiera tra questi due mondi.

Mentre maturava l’idea della mostra, il tema è diventato non solo questa ambiguità mentale, ma il confine, in generale, come soggetto – psicologico, emotivo, virtuale; il rapporto tra la natura e l’uomo, tra la videocamera e ciò che è stato registrato, e così via. Come indicato da uno dei principi teorici su cui si basa la mostra – il concetto di “modernità liquida” del filosofo e sociologo Zygmunt Bauman – i nostri tempi sono fluidi. L’idea sottolinea che adesso il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza. Enfatizzo la necessità di affinare la vista all’onnipresenza di questo fenomeno. Non solo per curiosità filosofica, ma anche per fare attenzione a chi può sfruttare la nostra distrazione, nei tempi della mancanza di confini ben descritti.

Nel tuo testo critico sono citati alcuni importanti autori che hanno descritto in maniera limpida e duratura il loro presente, che hanno analizzato i processi attraverso cui si è sviluppata la società. Quali sono oggi, a tuo parere, le correnti di pensiero che meglio descrivono il nostro tempo? Come le loro idee influenzano i lavori in mostra?

I creatori di qualsiasi genere: artisti, scrittori, curatori, registi, così come ciascuno di noi, le cui azioni manifestano la vita nella propria forma, in modo diverso a seconda dell’individualità e del livello di sensibilità, tutti, siamo come sismometri che riflettono ciò che ci circonda, rispondendone coscientemente o incoscientemente. Gli artisti, che lavorano spesso con l’intuito, che di base cercano di togliersi limitazioni di qualsiasi genere, sembrano farlo particolarmente bene. Percependo fortemente l’idea globale dei tempi in cui vivono, non hanno bisogno di descriverlo in maniera diretta. In più, il loro livello d’individualizzazione è sviluppato abbastanza bene da non permettergli di diventare “la massa”. Il mio desiderio era di riuscire a trovare una media dei pensieri, delle paure, delle esplorazioni sulla ricerca di modernità vista come la mancanza dei confini specifici.

Nel testo critico menziono la scoperta di Internet e dei trent’anni trascorsi dal suo arrivo. Il “Global village”, descritto nel 1962 in La Galassia Gutenberg di Herbert Marshall McLuhan, è il sogno di un futuro nel quale i mass media elettronici rovesciano le barriere del tempo e dello spazio consentendo alle persone la comunicazione di massa. Attualmente, sempre più comuni disturbi mentali, chiamati all’epoca “perdita dei sensi”, appaiono fortemente collegati con il fatto che abbiamo eliminato gran parte degli usi di apparati sensoriali del nostro corpo. Seduti davanti allo schermo, poco a poco scordiamo di sentire gli odori, stiamo diventando miopi e perdiamo elasticità del muscoli, ma soprattutto, ci priviamo del contatto con le vere circostanze nelle quali ci troviamo.

Da un altro punto di vista, mi permetto di dare un’occhiata alla politica. Tomasz Targański, nella rivista polacca Polityka, divaga: “Se la logica delle istituzioni che attualmente regolano la nostra realtà è oscurare la verità, il mondo dell’arte può essere il suo opposto?” A cui (adesso nella mia immaginazione che viaggia nel tempo) Michelangelo Buonarroti risponde: “Se un grande pittore crea un’opera che sembra falsa e artificiale, questa falsità è la verità”. Intendo valorizzare l’arte come l’unico mezzo di comunicare la verità affidabile nella quale personalmente credo.

Il concetto di modernità liquida in Bauman, i sentimenti sottocutanei e le scoperte degli artisti, che percepiscono la realtà e l’irrealtà nel “loro” vivo, sono le linee guida che ho seguito ideando la mostra. Argomenti come internet, i disturbi mentali e l’attuale situazione politica (la quale approfitta della confusione generale) sono i fili secondari, sebbene questi elementi combacino senza fine.



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Nel testo in catalogo parli di “post-verità”, della superiorità dell’immaginazione e dell’emotività, che riguarda un determinato fenomeno, rispetto alla sua forma oggettiva. Come le opere in mostra evidenziano questo processo. Siamo oggi in un’epoca dove i sentimenti dominano la “nuda realtà”?

La “post-verita”, parola più ricercata su dizionario di Oxford nell’anno 2016, diventa significativa nel discorso politico, rilevando che la vista sul mondo è creata dalle emozioni. Ciò sottolinea che non vediamo mai il nostro ambiente “accuratamente”, ma quasi interamente a seconda delle nostre emozioni personali. La “nuda realtà” a cui ci si riferisce descrivendo la comunicazione mediatica, soprattutto nel campo politico, non ha sopravvissuto al potenziale delle emozioni che affiancano qualsiasi storia: così era anche all’epoca in cui internet, radio e TV non esistevano. Ci stupisce che i media non riescano a essere obiettivi a riguardo, ma è l’essere umano che non riesce (e non vuole) esserlo, a prescindere da quale modalità di comunicazione utilizza.

Richiamo anche il concetto psicologico di Roy Baumeister, il quale indica che le illusioni positive di noi stessi spesso ottimizzano il funzionamento umano, quando la loro forza non è troppo grande. Tuttavia, diventano auto-distruttivi quando prendono la loro forma estrema. L’autore parla della gamma ottimale di tali illusioni. Una persona normale, mentalmente sana, sarà riconosciuta da una percezione “moderatamente non realistica” delle sue abilità e del suo potenziale. La scoperta è stata descritta nel libro con un titolo riconoscente Le illusioni che ci permettono di vivere degli scienziati polacchi Mirosław Kofta e Teresa Szustrowa.

Queste creazioni, sia del mondo esterno, sia di noi stessi, evidenziano la forte propensione a vedere ciò che vogliamo vedere, anziché ciò che è. Una tendenza umana esistente dagli albori della storia, che ci rende mentalmente sani e felici.

Living in imagination è realizzata in una delle più importanti gallerie d’arte della Polonia. Come definiresti l’attuale contesto artistico del tuo paese e come ha reagito il pubblico polacco all’offerta estetica proposta da i tanti artisti italiani presenti in mostra.

A marzo, a Toruń, c’erano due mostre nelle principali istituzioni pubbliche locali: la nostra nella Galeria Wozownia, uno spazio notevole, fondato nel 1950, che vedeva la partecipazione di artisti italiani, polacchi e un’artista coreana e, un’altra, di Marina Abramovic, The Cleaner, al Centro d’Arte Contemporanea. È significativo come noi, concentrandoci sullo spazio tra realtà e irrealtà, abbiamo fortemente descritto il problema attuale che si è palesato solo qualche giorno dopo, all’apertura della seconda mostra, dove un gruppo di persone ha manifestato contro l’artista “satana”. Purtroppo, le rivolte connesse alla religione sono molto attuali in Polonia.

Alla mostra, non solo abbiamo riunito qualche nome attuale dell’arte polacca ma anche uno dei “fondatori”, Józef Robakowski, autore che solo pochi mesi prima era stato presentato al pubblico italiano presso BASE a Milano e raccontato attraverso una grande personale al Centro Pecci di Prato. In questi giorni, nella città di Poznań, dove sono nata, Diego Marcon – artista presente in mostra – è stato invitato all’International Competition di Short Waves Film Festival. I rapporti tra i nostri paesi nel campo dell’arte sono apparentemente rispettosi e amichevoli.

In un’epoca di crisi anche l’arte risente della pesantezza del presente. Nel tuo testo critico ricordi il concetto di “Catastrofismo illuminato” facendo riferimento al filosofo francese Jean-Paul Dupuy. Secondo te, gli autori in mostra fanno i conti con un probabile destino apocalittico dell’umanità? Come reagiscono alle crisi globali del pianeta?

Cito il famoso libro di Jean-Paul Dupuy Pour un catastrophisme éclairé. Quand l’impossible est certain, che a sua volta riprende Jorge Luis Borges “il futuro è inevitabile, ma potrebbe non accadere”, per sottolineare il paradosso, ma apparentemente anche l’evidenza e la semplicità dei nostri tempi. Immagino che l’umanità possa prendere la strada sbagliata: dimostrando la mancanza di rispetto nei confronti della natura, la miopia riguardante le risorse naturali, le decisioni politiche fatte seguendo esclusivamente gli interessi economici piuttosto che il benessere della pianeta, etc. Gli artisti che ho invitato sono sensibili, riflessivi e non fanno i conti con il destino apocalittico che menzioni. L’atmosfera nella sala è piacevole e ci fa piuttosto sognare il meglio, ci porta in un altro mondo, mentre osserviamo le espressioni dei vari artisti. Durante l’apertura mi è stato detto: “Era da un pezzo che non ci divertivamo così tanto in galleria”. Mi hanno spezzato il cuore i bambini affascinati dagli oggetti come la scrivania coperta con il muschio di Bogusz Bogatko. In sottofondo, la canzone di Mina Il cielo in una stanza proveniente dall’opera di Gabriele de Santis. In un’altra parte dello spazio vediamo il lavoro di Claudia Sinigaglia, fotografie di un apparente cielo notturno pieno di costellazioni che, in realtà, rappresentano una cosa tutta diversa.

Alla fine, decidiamo di credere in ciò che può essere possibile, anziché concentrarsi su ciò che è certo.

a cura di Marco Roberto Marelli


Bogusz Bogatko, Piotr Bosacki, Marta Buczkowska, Lim Cha, Marco Giordano, Diego Marcon, Józef Robakowski, Rozdzielczość Chleba, Gabriele de Santis, Claudia Sinigaglia, Tytus Szabelski

Living in imagination

a cura di Dobrosława Nowak

01 Marzo – 28 Aprile 2019

Galeria Sztuki Wozownia – Rabiańska 20 87-100 Toruń

www.wozownia.pl

Instagram: galeria_wozowni


Caption

Living in imagination – Exhibition view, Galeria Sztuki Wozownia, 2019 – Ph
Tytus Szabelski