Alla Galleria Eduardo Secci Contemporary di Firenze è in corso, fino al 13 agosto, La forma della città, mostra collettiva, a cura di Pietro Gaglianò, che riunisce diversi artisti per riflettere sulla città e i suoi significati, a partire dal famoso monologo di Pier Paolo Pasolini che dà il nome all’esposizione.
Se si passeggia sui lungarni a Firenze e si volge lo sguardo alla riva opposta, si noterà una sfilata di finestre che riflettono il sole a seconda di come sono inclinati i vetri, componendo una figura ritmica che rimbalza tra le facciate chiuse e quelle a persiane completamente aperte allo sguardo esterno. Proprio a ritmi come questo si è ispirato Marco Neri, che per l’occasione ha esposto Centro abitato e Retaggio Italiano. La prima è un’installazione vicina al lavoro con cui, nel 2001, partecipò alla Biennale di Venezia curata da Harald Szeemann, e si compone di 35 acrilici su carta rappresentanti quel gioco di finestre, serrande, vetri, che fa anche del più antiestetico palazzo un elemento identificativo di chi vi abita evidenziando la presenza di persone con vissuti individuali al proprio interno. La casa è abitata, è viva.

Quelle di Michele Guido e di Elena El Asmar sono vere e proprie “città invisibili”. Nel primo caso viene indagato il concetto di città ideale attraverso la giustapposizione di schemi geometrici, immaginati funzionali a tal fine, e pattern simili, che invece sono effettivamente presenti in natura. El Asmar espone con La Reverie un’idea di saudade fittizia: due arazzi appesi, uno di fianco all’altro, mostrano paesaggi a metà fra il ricordo e l’immaginario, ma in realtà sono ricostruzioni realizzate con fotografie di comuni oggetti. Le fascinazioni ricevute dall’ambiente urbano hanno ispirato Luca Pancrazzi nella sua costante ricerca sul mezzo pittorico che, in Vedere, si traduce nell’utilizzo della superficie di alcuni specchi dai quali è stata abrasa la parte dell’argentatura. Il risultato è una sovrapposizione che rimanda ad alcune suggestioni urbane, come accade anche in Senza Rete e nelle fotografie di Andrea Galvani.

Tentativo fallito di una pittura utopistica, dell’artista Giuseppe Stampone, indaga il parallelismo tra potere politico e società, focalizzando l’attenzione sull’imposizione dell’uomo all’interno del contesto naturale. Lo spunto iniziale per quest’opera, il Cristo Risorto di Piero della Francesca, viene scomposto più volte per sottolineare ogni aspetto che il dominio cittadino impone alla natura. Inserita in cima all’opera, manifesto di questa critica, si trova la locandina di Salò, ultimo film di Pasolini.
Si arriva alla conclusione del percorso rendendosi conto che i disegni pieni di folle di persone, ad opera di Margherita Moscardini, che hanno accompagnato il visitatore sala per sala, erano silenziosi testimoni del fatto che sono i cittadini coloro che fanno la città, che possono determinarne svolte nuove e inaspettate. Questo messaggio è reso tanto evidente nella fotografia del movimento di contestazione di Piazza Taksim a Istanbul (2013), quanto nel modellino della Chiesa di San Rocco a Como, edificio che l’artista ha contribuito a rendere nuovamente fruibile alla comunità comasca.

Ecco il messaggio prorompente che emerge dalla mostra: la città è una e indivisibile, ha un’identità e un passato ben definiti, ma come spesso accade sono i singoli a farla viva e a crearne l’eredità. E sono, in particolare, gli artisti ad essere chiamati in causa come comunicatori e interpreti dello scarto tra passato e presente che nella città si compie.
Claudia Contu
LA FORMA DELLA CITTÀ
a cura di Pietro Gaglianò
9 giugno – 13 agosto 2016
EDUARDO SECCI CONTEMPORARY – Piazza Goldoni, 2 Firenze
Immagine di copertina: Installation View, Luca Pancrazzi – courtesy Eduardo Secci Contemporary.