Corvetto ospita sinergie artistiche

Eleonora Savorelli
Macina, martedì 5 ottobre 2021
Zone: 5 – Vigentino, Chiaravalle, Gratosoglio


L’edizione 2021 di Walk-In Studio ospita l’inaugurazione di TreTre, un nuovo studio condiviso e spazio di ricerca, all’interno di Viafarini.work. Lo studio si trova in via Marco d’Agrate 33 a Milano – Corvetto. Sullo sfondo di un’ex-officina, operano dieci artisti ed artiste dalle pratiche e ricerche eterogenee.

L’aposematismo, ovvero la capacità degli animali di cambiare il loro colore per scoraggiare i predatori, raggiunge forme inedite grazie alla pratica di Marina Cavadini. L’interesse per l’attrazione visiva, ciò che conquista tanto da generare una reazione nello spettatore è proprio della pratica dell’artista. Le due opere esposte, create durante la residenza Nida Art Colony in Lituania, incarnano questa dinamica: le forme di due cassette di plastica bidimensionali, ricavate col taglio laser, sono a terra. Le sagome sono rosse, lucide, e a seconda della posizione dello spettatore riflettono la luce, rimandando un luccichio. Il rosso e la lucentezza, assieme ai tagli spigolosi dei pezzi dell’opera, che ricordano pietre dure, attivano l’aspetto seduttivo, attraente, della materia, che induce lo spettatore ad una lunga ed attenta visione.

Le opere di Lucia Cristiani si nutrono di luoghi, che a loro volta offrono storie. La sua pratica trae ispirazione dall’esperienza umana degli spazi: i paesaggi e le città che Cristiani visita diventano spunti fertili per riflessioni, che, di volta in volta, assumono forme differenti. Dato che il cambiamento è parte integrante degli spazi che abitiamo, il mutamento è intimamente insito nella pratica dell’artista. Dove ogni cosa resta (2021), l’opera inedita esposta in occasione dell’open studio, è stata ispirata dal ritorno di Cristiani a Sarajevo, città estremamente cara all’artista, dove ha vissuto per dieci anni. Il luogo che ha spinto l’artista a realizzare la scultura è Vilsonovo, un viale storico della città, caratterizzato da file di tigli. Una via molto antica e sopravvissuta al conflitto degli anni Novanta. La sua sopravvivenza è dovuta al significato speciale che questo viale ha per gli abitanti di ogni età di Sarajevo: è un luogo legato all’infanzia, i bambini di ogni generazione si ritrovano qui per giocare, è il luogo dei primi amori adolescenziali, gli adulti amano passeggiare nel viale, gli anziani sono soliti incontrarsi là. La scultura si compone di volute di radici, dalle quali spuntano dei semi di tiglio galvanizzati in rame: la superficie lucida di questi dettagli è complementare a quella ruvida degli elementi organici. Cristiani contribuisce a rendere eterno il ricordo dei tigli di viale Vilsonovo, sotto al rame, essi vivranno per sempre.

La pratica di Lorenzo Lunghi nasce dalle paranoie che il rapporto complicato tra umani e oggetti ci provoca. Essa si arricchisce di una varietà di estetiche: da quella “DIY” a quelle desunte dal web, di ispirazione fantascientifica e bio-hacker. Le suggestioni che attivano la creazione delle opere sono molteplici, dai complotti alle fake-news. Il risultato è un immaginario composito ed eclettico, che restituisce opere create con materiali trovati e altri sorprendenti, dalle forme a volte giocose, a volte ostili. Le direzioni di Lunghi sono molteplici, i livelli di significato si accumulano, e lo spettatore è chiamato ad addentrarsi in questo groviglio di concetti. Le opere esposte ripercorrono le tematiche, e le forme, così come i materiali più cari all’artista: la scultura Burner, creata nel 2018 a patire da un computer, arricchita con altri materiali e adornata con quattro zampe metalliche di faraona, svela l’aspetto più giocoso della produzione di Lunghi. Poi, in The caramel eaters (2021) e nella serie Caramelle (2021), appare il caramello, materiale ricorrente, che l’artista manomette aggiungendo lo smalto. La presenza del caramello rende le opere soggette al cambiamento: ciò che vediamo ora, non è che una fase della vita delle sculture.

Edoardo Manzoni si fa accompagnare in questo nuovo spazio dalla sua personale e affezionata triade: l’artista, il cacciatore, e il mago. Questi tre aspetti si intrecciano ancora nelle opere che Manzoni espone: esse non presentano forme raffinate e colori brillanti, cari alle sue Nature Morte (2020), ma lasciano emergere gli aspetti più processuali e ruvidi, colti nel mezzo delle possibilità. L’artista ci propone nuove opere, trappole che diventano quasi oggetti di culto, che ha creato con materiali gentilmente offerti dal nuovo studio. La pratica dell’artista scaturisce dal mondo rurale, passando per l’aspetto magico del folklore contadino. Il rapporto tra animale – il cane, soprattutto – e l’uomo, la collaborazione che si instaura tra di essi nel momento della caccia, e la violenza che deriva da questa azione sono tematiche che trovano un posto nelle opere dell’artista. Inoltre, parte della sua pratica consiste nel depotenziare gli aspetti più grotteschi e violenti della caccia: così, i cani spariscono dalle immagini lasciando spazio alle loro innocue silhouette, le trappole perdono la loro funzione mortale acquisendo caratteristiche piacevoli. La violenza viene stemperata, e camuffata con l’estetica.

Francesca Migone indaga i luoghi, ne esamina i dettagli, per poi raccontarli tramite installazioni e oggetti di sua creazione. Le sue analisi comprendono una grande varietà di spazi – dai boschi, alle città, ai porti. È la sua ispirazione a guidarla verso il luogo più adatto. In occasione dell’inaugurazione dello studio TreTre, l’artista espone le sue sperimentazioni tessili, che si mimetizzano nel nuovo ambiente. La composizione rustica delle corde contribuisce a renderle parte integrante del luogo, che ancora mostra tracce della sua vecchia funzione. Queste corde rappresentano una ricerca spaziale, che ha avuto luogo tra il 2018 e 2019, nel porto di Genova, sede che aveva ispirato l’artista e che l’aveva spinta a creare le funi. Questi oggetti dovevano immergersi nel luogo, sparire e confondersi con lo spazio, per diventarne parte. In occasione dell’open studio, Migone ha deciso di decontestualizzare le sue corde, e di portarle all’interno di questa ex-officina per scoprire cosa lo spostamento avrebbe significato per questi oggetti, quali caratteristiche essi avrebbero acquisito.

L’apertura dello studio TreTre è per Ludovico Orombelli un’occasione per esporre nuove opere, frutto dell’incontro con una nuova tecnica, e farle dialogare con le sue precedenti produzioni. La nuova modalità sperimentata dall’artista è quella dell’ink rubbing: la sua particolarità è quella di trasferire nel supporto non solo l’immagine, ma anche la tridimensionalità e le caratteristiche della superficie del materiale, oltre che alleggerire l’opera. Dunque, questa tecnica permette all’artista di creare opere in bilico tra la fisicità della scultura e la bidimensionalità della pittura, e di riflettere sulla possibilità della trasposizione pittorica di oggetti fisici. Inoltre, data l’origine pratica e modesta degli oggetti studiati – ad esempio, un piumino o un computer – Orombelli riflette su come questi strumenti vengono compresi dai loro utilizzatori, che tipo rapporto leghi i due. Gli oggetti ritratti vengono prelevati dal contesto di utilità e di consumo, e vengono elevati in una dimensione atemporale: perdendo la loro funzione primaria, questi possono suggerirci come funziona e si sviluppa il nostro rapporto con loro. Questa riflessione viene potenziata dall’aspetto tattile dato dalla carta giapponese che fa da supporto alle immagini: la sua porosità restituisce una dimensione calda e personale.

L’esposizione di alcune ceramiche e di un’opera multimaterica, create da Francesco Pacelli tra il 2020 e il 2021, inaugurano la permanenza dell’artista nello studio. La sua ricerca non può essere incasellata in una sola tematica e in un solo tipo di lettura da parte dello spettatore. Gli interessi dell’artista provengono da diversi ambiti – dalla scienza alla spiritualità, dalla realtà quotidiana a situazioni immaginarie. Compito dell’artista è quello di creare e captare sinergie favorevoli, avvicinando elementi appartenenti alle diverse sfere. Tuttavia, due binomi ricorrenti nella pratica dell’artista sono quelli che uniscono elementi organici e inorganici, natura e artificio. Questi temi sono anche analizzati con un’attenzione particolare per i loro futuri sviluppi: secondo le previsioni dell’artista, questi ambiti si assottiglieranno sempre di più, fino ad arrivare alla creazione di nuovi organismi. L’aspetto di incertezza e potenzialità si traduce, nella creazione delle opere, in forme astratte e indefinite, che rifuggono fermamente da una visione univoca. In questo modo, le forme attivano un meccanismo che spinge l’osservatore a trovare soluzioni, a partecipare alla creazione del significato dell’opera. Così, l’ambiguità della forma e le possibilità del reale si intrecciano nei manufatti di Pacelli, dando vita a soluzioni inedite.

Le tele di Adelisa Selimbasic sono colme di spontaneità, le sue figure femminili sono provocatorie e fiere, libere, indolenti e per nulla dispiaciute di ritagliarsi uno loro spazio. Ogni piega di questi corpi, ogni smagliatura, ogni dettaglio inaspettato ci inorgoglisce: che ci riconosciamo o meno in queste figure, esse ci ricordano di rispettare, e sostenere con ogni mezzo, le nostre peculiarità e strambe bellezze. I colori e i pattern coloratissimi aggiungono vigore all’energia positiva sprigionata dai quadri di Selimbasic. Anche i giovanissimi trovano spazio nella produzione dell’artista. Una coppia di bambini, ritratti nella tela esposta, con i loro abitini appariscenti e le loro pose pazze e scoordinate ci suggeriscono spensieratezza.

Le macchine di Nicolò Masiero Sgrinzatto sono sempre accompagnate da storie sorprendenti, precedute da lucide elucubrazioni sugli scontri e i momenti di frizione della vita quotidiana. I macchinari nascono dalle sue mani, assieme ad altri tipi di oggetti: essi sono sperimentazioni con uno scopo preciso, giochi pericolosi estremamente attraenti. Altro giro, altra corsa (2021)è l’ultima avventura di Sgrinzatto: le otto chiavi universali esposte permettono un accesso illimitato all’autoscontro, esserne i padroni significa poter esporsi al conflitto continuo che la giostra offre. La creazione degli oggetti è stata duplice: da un lato, l’artista ha creato quattro chiavi in ferro nichelato; dall’altra, un operaio – anonimo – impiegato in una carpenteria pesante ha sottratto e lavorato del ferro per quattro mesi, per poi creare quattro chiavi di ferro grezzo. Il gesto si configura come una protesta per lo sfruttamento al quale è stato sottoposto per anni nel suo ambiente lavorativo. La rivalsa, la beffa e il rischio insite in quest’opera sono tanto consistenti quanto le chiavi esposte.

L’osservazione, e talvolta la critica, dello spazio ritorna nella pratica di Vincenzo Zancana: come l’uomo abita l’ambiente, come lo modifica, che tipo di legami si instaurano tra abitante e luogo abitato sono gli interrogativi che albergano nella produzione dell’artista. L’aspetto poliedrico della pratica di Zancana, che si compone dell’uso di svariati materiali e di diverse modalità espositive, è trasmesso dalle tre opere che l’artista presenta. A terra, mimetizzata nel pavimento grigiastro, giace Hamburger (2020) una piccola scultura composta da tre sottili lamelle in plexiglas, che mostrano la silhouette di una catena montuosa della provincia palermitana. Capo Gallo (2021) esplicita una tematica già presente nella precedente scultura, centrale della ricerca dell’artista: l’abusivismo. Il piccolo quadro mostra un insediamento abusivo nella località siciliana, che l’artista, manipolando la foto, fa scomparire, per restituire al luogo una pace fittizia. Più avanti, un telo, prodotto con una stampa a monotipo, pende dal soffitto; la colorazione casuale è dato dal contatto dell’inchiostro e il PVC. Quest’opera, che a prima vista può sembrare un semplice telo, è in realtà da considerare una tenda: l’analisi dell’artista sui luoghi comprende anche i semplici oggetti d’arredamento, e quello che può sembrare un freddo drappo in plastica, può essere in realtà un’intima analisi sui luoghi personali e segreti, nascosti da complici teli.



fu Nicolò Masiero Sgrinzatto, Altro giro, altra corsa, 2021, ferro grezzo e ferro nichelato, 50x22x7 cm e 50x22x5 cm, Ph. Mattina ANgelini
fu Marina Cavadini, Residues, 2020, plexiglas, 180x100 cm, Ph. Mattia Angelini
fu Lorenzo Lunghi, The caramel eaters, 2021, PETG, caramel, vitamins, aluminium, UVC-lamp, 15x15x360 cm, Ph. Lorenzo Lunghi
fu 3) Installation view. Studio TreTre. Ph. Mattia Angelini
fu 2) Installation view. Studio TreTre. Ph. Mattia Angelini
fu 1) Installation view. Studio TreTre. Ph. Mattia Angelini
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Di universi creativi e narrazioni. Intervista a Studio TreTre

L’intervista approfondisce alcuni dei temi trattati dai dieci artisti dello Studio TreTre, centrali nelle loro pratiche. Partendo dall’interrogativo su come raccontare storie tramite l’opera d’arte, indagheremo come si gestisce la rappresentazione dell’attrazione, per poi concentrarci sulla costruzione di una cornice artistica concreta. I contatti, o scontri, tra uomo, natura, oggetti e spazi chiuderanno questa conversazione.


Nelle opere Dove ogni cosa resta (2021, LuciaCristiani), Altro giro altra corsa (2021, NicolòMasiero Sgrinzatto) e Portuale (2018, Francesca Migone)la dimensione narrativa è centrale. Come si gestisce una storia da raccontare attraverso un’opera d’arte? Quali sono gli aspetti da tenere a mente, quali i rischi?

Cristiani: la gestione umana della storia è fondamentale. Per me è essenziale avere cura delle storie che diventano parte del lavoro. Durante gli ultimi dodici anni ho diviso la mia vita fra l’Italia e la Bosnia. Lì ho imparato che passato e presente convivono, sono presenze tangibili e simultanee, in bilico, che si influenzano e si compenetrano in un perenne dialogo di ridefinizione e costruzione di scenari futuri.
In questi anni mi sono concentrata sull’osservazione di modelli sociali individuali e collettivi e come questi possano rivelarsi tanto consolidati quanto fallimentari oppure fragili quanto potenzialmente innovatori. In Dove ogni cosa resta (radici) è centrale la percezione del bilico, un equilibrio instabile, fisico ed emotivo. Questa condizione esistenziale è indispensabile per sviluppare una narrazione aderente al sentimento che ricerco, tanto intenso quanto precario.

Masiero Sgrinzatto: le chiavi universali degli autoscontri hanno uno spirito bellicoso: per possederle devono essere rubate al proprietario della giostra o emulate. Il traguardo di questa azione determina l’accesso a giri gratuiti illimitati. La storia di questi oggetti è una possibile allegoria del conflitto. Le sculture sono state create in seguito al furto del ferro da una carpenteria messo in atto da un amico operaio che, con la sua presa di posizione rispetto al suo contesto lavorativo, attribuisce valore all’esistenza di questi manufatti, svincolandoli dall’essere semplici forme in ferro assemblate.
Questo ha determinato il baratto del ferro per birra, la partecipazione in forma anonima all’inaugurazione della mostra, la partizione in caso di vendita delle sculture, lo stimolo a perseguire un percorso differente dal lavoro in fabbrica. In questo lavoro il pericolo risiede nella gestione umana della storia. Il rischio è il tornaconto.

Migone: credo che uno degli aspetti più interessanti di un qualsiasi racconto sia la capacità di parlare di situazioni che vanno oltre il racconto stesso. Una parte importante della mia ricerca è riuscire a trovare storie che, seppur semplici, siano in grado di raccontare più di quello che può apparire a un primo sguardo. Nel caso di Portuale, un progetto tuttora in divenire, sono stati gli oggetti da lavoro che è possibile vedere nelle aree portuali ad incuriosirmi. Semplici elementi, talvolta molto grezzi, il cui uso e forma raccontano del complesso ambiente in cui si trovano. Nel processo di ricerca e sviluppo del lavoro, penso sia necessario riuscire a mantenere un equilibrio che permetta di non perdere la delicatezza di una storia e che possa, allo stesso tempo, arricchirsi di altre suggestioni e narrazioni portate da nuovi interlocutori del lavoro.

Parte della vostra pratica – penso in particolare alla ricerca sull’aposematismo di Marina Cavadini e ai ritratti di donne di Adelisa Selimbasic – è dedicata all’attrazione, visiva principalmente. Se da una parte è il materiale lucente ad attrarre l’attenzione, dall’altra è la femminilità sincera di figure libere. In che modo gestite questo tema e la sua rappresentazione?

Studio TreTre: avere una ricerca che affronta la questione dell’intimità e della seduzione, in una cultura sessualmente repressiva come la nostra comporta, per noi, di scontrarsi con il retaggio di secoli di censura. Allo stesso tempo però, il nostro lavoro ci permette un confronto costante sul tema e sul tabù nonché l’opportunità di trovare un linguaggio visivo e lessicale utile a scardinare i giudizi che generano imbarazzo. I soggetti del nostro lavoro sono unghie, culi, sex toys e guanti in lattice. Situati in contesti ordinari e sospesi, corpi seminudi e gambe leggermente aperte seducono il nostro sguardo di esseri desideranti. Siamo consapevoli che i nostri modelli culturali sono in conflitto con il desiderio sessuale. Ma tutto, compresi dei residui di plastica a terra, può caricarsi di energia erotica.

Se cerchiamo di collocare i dipinti su una linea temporale ci troviamo nella fase del flirt e dell’eccitamento, nel corso del quale la sfera cognitiva si attiva mediante l’immaginazione, mentre la scultura ha già superato l’apice del piacere, distruggendosi in mille pezzi. Nel secondo episodio di Kaiba, l’anime di Masaaki Yuasa, un personaggio chiamato Parm inserisce una copia dei propri ricordi in un altro corpo. Parm si masturba con la sua nuova gemella e, al culmine, esplode. A volte ci aiuta confrontarci con il lavoro di altre persone che affrontano le stesse questioni instaurando collaborazioni multidisciplinari. Un esempio è la pubblicazione di Selimbasic che uscirà a breve insieme al marchio milanese Fantabody impegnato nella sua propaganda commerciale di liberalizzazione di ogni forma di corpo, andando anche a celebrare consapevolmente quelli che la società potrebbe definire come difetti, dando una percezione di questi ultimi come sensuali e aspetti valorizzati della corporalità. Ma non solo, attraverso pose che alludono ad una sessualità esplicita cercano di estraniare il corpo dalla sua ordinaria categorizzazione sessuale. Nel 2019 Cavadini ha collaborato con il sexy shop milanese Wovo Store che si impegna a promuovere una libertà di scelta sessuale soprattutto per le ragazze. Insieme hanno prodotto accessori in lattice per fondere il corpo con l’architettura e le specie vegetali dell’Orto Botanico di Torino.

Le vostre opere, o organismi – ad esempio, Burner (2018, Lorenzo Lunghi) e Idrocarbo (2021, FrancescoPacelli) – abitano i vostri personali universi artistici, creati tramite l’avvicinamento di diversi ambiti: per Lunghi sono quelli fantascientifici e DIY; per Pacelli sono quelli del rapporto tra il mondo del reale e quello di plausibili situazioni immaginarie. In che modo è possibile creare una propria cornice creativa credibile nel quale far abitare le proprie creazioni?

Studio TreTre: Piero Di Cosimo era un tipo strano. Nato sotto Saturno, non voleva che si pulisse mai per terra nel suo studio. Un casino totale. Nello stesso pentolone dove preparava i pigmenti cuoceva uova soda che avrebbe poi mangiato per settimane. Queste uova lo avrebbero reso immortale. Il Vasari racconta di come Piero andasse regolarmente negli istituti psichiatrici a cercare le macchie di sputo incrostate e sedimentate nel tempo sulle pareti per la composizione dei suoi dipinti. Scene di battaglia, figure umane, animali comparivano ai suoi occhi da queste macchie informi. Memorie e alterazioni del reale che andavano al di là di un’esperienza visiva predefinita. L’aneddoto degli sputi inseguiti da Piero rappresenta in parte il punto di congiunzione tra i nostri lavori. Come le macchie di Rorschach in psicologia, lo sputo è massa informe, elemento in grado di attivare un’esperienza mentale personale.

Quello sputo è un po’ metafora per le nostre opere. In una complessità di informazioni e di sentimenti, il mio lavoro [Lunghi] rielabora gli sputi popolari, le reazioni di pancia che tante volte strutturano racconti e narrazioni alla base delle mie sculture. Gli oggetti tecnologici sono sotto analisi poiché base della nostra società odierna. La loro presenza è causa di paranoia e alienazione e proprio per questo cerco di riappropriarmene, li smonto per capirne lo spirito che li possiede o semplicemente per defunzionalizzarli, renderli patetici, insomma per dargli un’altra narrazione. Lavoro su un racconto alternativo.

Per me [Pacelli] l’opera è quasi sempre pretesto per poter arrivare ad altro. Mi affascina l’idea di alludere a mondi alternativi e situazioni plausibili, senza mai definire o chiudere all’interno di un recinto le possibilità visive che l’opera stessa suggerisce. È un lavoro che definirei sulla memoria, al contempo individuale e collettiva, che si prefigge, forse con presunzione, di azionare un click. Mi piacerebbe provocare un momento di escapismo per me come autore e per lo spettatore che fa esperienza dell’opera. Il rapporto tra naturale e sintetico, tra mondo organico e inorganico, tra evoluzione e adattamento in relazione alla potenziale presenza futura dell’umanità sono i temi e i riferimenti che sento a me più vicini per innescare questo meccanismo.

Le nostre opere in fondo sono delle storie. Storie da costruire, da rielaborare e da tramandare. Non sono vere, non possono essere del tutto false. Ciò che le rende autentiche è l’incredibile capacità umana di fidarsi, o di affidarsi, a esse.

L’uomo collabora e si scontra con ciò che ha intorno, sia questo vivente o meno. LudovicoOrombelli indaga i problemi conoscitivi tra oggetti e i loro utilizzatori. Edoardo Manzoni si muove nell’ambito del folklore contadino, e in quello della cooperazione tra animale e uomo. Infine, VincenzoZancana si interroga su quali emozioni intercorrono tra spazio abitato ed abitante. Come si sviluppano queste tensioni nelle vostre opere?

Orombelli: La nostra vita è fortemente regolata dalle immagini e gli oggetti che ci circondano, in una costante sovraesposizione a stimoli fugaci. Nel mio caso, il recupero di tecniche desuete riesce a dare un nuovo aspetto alle cose, risvegliando percezioni sopite. Una pittura dalla marcata qualità oggettuale ci avvicina alle presenze che definiscono la nostra esistenza ordinaria.

Manzoni: Gli oggetti che accompagnano la vita dell’uomo non hanno solo il ruolo di “strumenti” ma sono portatori di messaggi sociali e di energie, sono presenze animiste.
Da artista cerco di osservare il linguaggio estetico-visivo degli strumenti che mettono in relazione natura e artificio, uomo e animale. Dallo strumento tecnico a quello magico la mia ricerca parte sempre dalla realtà rurale nella quale sono cresciuto.

Zancana: Nella mia ricerca definisco questa relazione tra spazio abitato e abitante come il risultato di un nuovo Antropocene focalizzato non sui processi chimici/fisici bensì culturali, ambientali e memoriali. Come artista approfondisco questa tematica estremamente legata alla scienza e alla geologia immettendola in un ambito più intimo e personale. L’uomo modifica qualsiasi ambiente che lo ospita, sia naturale che artificiale, e insieme ad esso i sistemi a loro volta connessi. Nelle mie opere intervengo in questa analisi prelevando componenti da entrambe le parti per accedere alle dinamiche che intercorrono in questo rapporto.

Attraverso la materia fotografica gli elementi raccolti per me significativi vengono restituiti al fruitore tramite la stampa, il video e la scultura, attivando un immaginario contemporaneo legato a storie, luoghi, informazioni e procedimenti.

A cura di Eleonora Savorelli


Studio TreTre – Via Marco D’Agrate, 33 – Milano

Composto dagli artisti: Lucia Cristiani (luciacristiani_), Lorenzo Lunghi (zenzerata), Edoardo Manzoni (edoardo__manzoni), Francesca Migone (francesca.migone), Ludovico Orombelli (ludovico_orombelli), Francesco Pacelli (francesco__pacelli), Adelisa Selimbasic (adelisa_selimbasic), Nicolò Masiero Sgrinzatto (nicolomasierosgrinzatto.jpg) e Vincenzo Zancana (vinz_za)

Instagram: walkinstudiospaziwww.walkinstudio.it


Caption

Nicolò Masiero Sgrinzatto, Altro giro, altra corsa, 2021 – Ferro grezzo e ferro nichelato, 50x22x7 cm e 50x22x5 cm – Courtesy l’artista, ph. Mattia Angelini

Marina Cavadini, Residues, 2020 – Plexiglas, 180×100 cm – Courtesy l’artista, ph. Mattia Angelini

Lorenzo Lunghi, The caramel eaters, 2021 – PETG, caramel, vitamins, aluminium, UVC-lamp, 15x15x360 cm – Courtesy l’artista e ph. Lorenzo Lunghi

Studio TreTre – Installation view, Studio TreTre, Milano, 2021 – Courtesy Studio TreTre, ph. Mattia Angelini

Studio TreTre – Installation view, Studio TreTre, Milano, 2021 – Courtesy Studio TreTre, ph. Mattia Angelini

Studio TreTre – Installation view, Studio TreTre, Milano, 2021 – Courtesy Studio TreTre, ph. Mattia Angelini