Per Rischa Paterlini l’atto del curare si esprime attraverso una relazione simbiotica con l’oggetto delle proprie attenzioni. Lontana dall’immagine del curatore contemporaneo, parla della Collezione Giuseppe Iannacone, di cui si occupa da molti anni, con un’affezione e un legame profondo.
Una collezione costituita da opere tra le due guerre e di arte contemporanea, accomunate da un tema unico, la rappresentazione degli stati d’animo attraverso l’arte figurativa. Passione, rabbia, paura, gioia, sofferenza e amore sono raccontati da artisti intensi, capaci di tradurre con la loro gestualità le esperienze e le debolezze dell’uomo. Una collezione unica che dialoga nei luoghi privati dell’avvocato Giuseppe Iannacone e in quelli dello studio a Milano. Curatrice del progetto IN PRATICA dedicato ai giovani artisti, ha recentemente co-curato la mostra Italia 1920-1945, una nuova figurazione e il racconto del sé insieme a Alberto Salvadori, con la direzione artistica di Edoardo Bonaspetti, presentata alla Triennale di Milano.

Cosa significa curare una collezione come la Collezione Giuseppe Iannacone?
Vuol dire prendersene cura, occuparmi di lei come ci si occuperebbe di un figlio. Con amore, attenzione e dedizione. La mia non è l’attività del curatore che seleziona e sceglie, ogni opera in collezione è frutto delle scelte dell’avvocato. Mi assicuro che le opere stiano bene, studio e faccio ricerche, provvedo a eventuali restauri, alla gestione dei prestiti, verifico che le mostre che ci propongono siano interessanti, seguo le riviste, faccio studio visit, archivio, curo gli allestimenti e poi mi confronto con l’Avvocato.
La collezione in studio è suscettibile di cambiamenti. Nel tempo sono state raccolte un discreto numero di opere, un centinaio dagli anni Venti ai Quarantacinque e circa trecentocinquanta di arte contemporanea, che non possono essere allestite tutte assieme. Le opere esposte per Italia 1920-1945, una nuova figurazione e il racconto del sé erano prima in casa dell’avvocato, dopo le mostre a Milano e a Bergamo verranno mandate l’anno prossimo, da settembre a dicembre, in una importante istituzione londinese, l’Estorick Collection.
La collezione contemporanea è allestita tra la casa e lo studio. Recentemente sono state portate in ufficio alcune opere d’arte tra le due guerre. Non eravamo sicuri che potesse funzionare, ma in realtà c’è una connessione, un legame per via di quell’emotività che le contraddistingue. L’arte è senza tempo. Per esempio, Beatrice Marchi, appena ospitata con la personale per il progetto IN PRATICA, dialoga perfettamente con le opere di Renato Birolli, Aligi Sassu e i romani Mafai, Scipione e Raphael.
Quali sono le sfide che le è capitato di riscontrare e le soddisfazioni raggiunte con la recente mostra Italia 1920-1945, una nuova figurazione del sé co-curata da lei e da Alberto Salvadori?
La sfida vera era quella di fare in modo che la mostra proposta in Triennale emozionasse, che fosse capace di raccontare le storie delle opere, dei suoi autori e che raccontasse anche l’amore di un collezionista per l’arte. Volevamo che fosse una collezione vissuta come viva, come contemporanea.
È stato un lavoro di squadra anche perché Alberto [Salvadori ndr.] ed Edoardo [Bonaspetti ndr.], il Direttore Artistico, ci hanno permesso di osservare i quadri con connessioni nuove attraverso il loro sguardo esterno. Lo studio di architettura che ha seguito il progetto, Oblò Architetti, ha creato un dialogo con lo spazio, realizzato da Giovanni Muzio, riprendendo un allestimento di Franco Albini realizzato per la mostra di Scipione (Gino Bonichi) negli anni quaranta. In quel caso erano state utilizzate maglie di cavi di acciaio con montanti di legno, creando così un impianto architettonico organizzato intorno a delle strutture provvisorie, tipico dei suoi allestimenti. Per la mostra Italia 1920-1945, una nuova figurazione e il racconto del sé sono stati creati ambienti separati, ma comunicanti, con le opere sospese, colpite dall’illuminazione artificiale e da quella naturale che entrava direttamente dalle finestre aperte per la prima volta.

Lei si muove su fronti diversi, la ricerca di opere per la collezione anni Trenta e quelle più contemporanee che rispondano alle esigenze “emotive”, requisito della collezione. Come avviene?
Seguo il “metodo Iannaccone”. Studiare, guardare e non accontentarsi mai, andare dove ci sono opere belle e non fermarsi a una galleria specifica. La cosa poi più importante è il dialogo con l’Avvocato. Proprio la scorsa settimana, dopo un viaggio a Miami con la moglie, è tornato carico di suggestioni e con un elenco di nomi di giovani artisti su cui fare degli approfondimenti. Penso che la sua capacità di scelta e selezione riesca ad avere uno sguardo sempre attento verso quelli più interessanti.
Per i giovani e il progetto IN PRATICA, spesso la ricerca è anche inversa, nel senso che sono proprio loro a proporsi a noi. C’è un gruppo interessante tra i trenta e i trentacinque anni, amici artisti, che vengono in studio e rimangono affascinati e incuriositi dal progetto. Alcuni di loro ci confessano di non avere stimoli nella pratica pittorica ma poi restano affascinati dalle opere della collezione, soprattutto di alcuni esponenti degli anni trenta e scoprono ispirazioni inaspettate. Ad esempio Luca de Leva si è innamorato di Badodi e Andrea Romano ha studiato i fiori di Mafai. Insomma la collezione è viva ed è in grado di offrire spunti sempre nuovi.
Quali sono i luoghi che considera più interessanti in città e gli artisti nazionali e internazionali da tenere d’occhio?
Molti, l’Hangar Bicocca, la Fondazione Prada, la Triennale Milano e la Fondazione Carriero. Gli spazi giovani no profit come Fanta Spazio, Armada e poi tutte le gallerie che a rotazione presentano progetti e mostre interessanti. Tra le più giovani segnalo Clima Gallery e Federico Vavassori, Giò Marconi, Francesca Kaufmann, Galleria Zero e Raffaella Cortese. Per gli artisti sono in difficoltà, sono troppi, vorrei fare una mostra ogni giorno. Ne cito alcuni ma il mio non è un elenco esaustivo, Diego Marcon, Giangiacomo Rossetti, Roberto Fassone, Cleo Fariselli, Andrea Cerruto, Alessandro Agudio e Emanuele Giuffrida. Davide Monaldi, con cui abbiamo lavorato per il primo progetto IN PRATICA, ha vinto il Talent Prize, una bella soddisfazione. Ovviamente tutti gli artisti che hanno fatto parte del progetto IN PRATICA e poi ancora Margherita Manzelli, Pierpaolo Campanini ma anche Anj Smith e Paulina Olowska quest’ultima presente alla mostra sulla pittura in corso alla Fondazione Stelline. Ho un rapporto artistico particolare che mi lega ad Adrian Paci, con cui stiamo lavorando al prossimo progetto IN PRATICA da presentare in occasione di Miart. Con Adrian abbiamo scelto dieci artisti albanesi che sono stati in residenza ad ART HOUSE, un progetto no profit di Paci a Scutari.
Elena Solito
www.collezionegiuseppeiannaccone.it
Immagine di copertina: Rischa Paterlini, ph Jetmir Idrizi