Macondo è il nome di un paese immaginario, immerso nella foresta colombiana, dove si svolgono le vicende di Cent’anni di Solitudine, il famoso romanzo di Gabriel García Márquez. È un film drammatico della regista austriaca-iraniana Sudabeh Mortezai, presentato in concorso alla 64ª edizione del Festival di Berlino.
Macondo Press è però anche il nome di un collettivo di illustratori e fumettisti campani che ormai da due anni pubblica una zine molto bella, fatta di storie illustrate.
Dopo aver ricevuto i numeri ordinati tramite Instagram, non ho potuto fare a meno (da grafico qual sono) di complimentarmi con il collettivo per quanto realizzato. Penso sia davvero bello fare due chiacchiere con chi sta dietro questo progetto e organizzo una video chiamata con Ivan Ferrara, l’art director del gruppo.
Adoro il mondo dell’illustrazione e dei fumetti; ascoltando Ivan noi tutti possiamo approfondire la nostra conoscenza su questo tema.
Macondo sembra sfidare i confini tra illustrazione e fumetto. Benché nati effettivamente in momenti e contesti diversi, secondo voi esistono oggi “discriminazioni” di genere fra queste due pratiche?
Negli anni ci è capitato più di una volta di vederci rifiutati i pass per manifestazioni fieristiche del fumetto in quanto illustratori. Credo dipenda dal fatto che, soprattutto negli ultimi anni, il fumetto sia diventato un prodotto pop, scrollandosi di dosso quasi del tutto l’immagine affibbiatagli in precedenza di “giornaletto”, e arrivando così a raggiungere anche nuovi lettori. Per molti, invece, l’illustrazione è rimasta correlata ai libri per bambini, nonostante gli illustratori siano figure estremamente versatili e i loro lavori molto variegati: poster, copertine, videogiochi, film e libri per adulti. Non a caso si tratta di prodotti presenti anche nelle fiere del fumetto. Concludo con un pensiero personale: parlando di stile grafico, l’illustrazione è molto vicina al graphic novel, motivo per cui abbiamo deciso di buttarci in questo mondo; diverso dal nostro ma alla fine neanche troppo.
A tutti gli effetti è un prodotto professionale e ben ragionato, dal logo all’impaginazione, oltre a naturalmente i disegni. È evidente il grande impegno che dedicate a questo progetto, al punto che più che una zine sembra un articolo da libreria. È una scelta dettata anche dalla volontà di porsi in competizione con gli stampati “da banco”?
Mœbius disse che un autore completo dovrebbe scrivere da solo i testi nei baloon, in quanto parte integrante della tavola. Noi spingiamo questa idea al limite e crediamo che il “contenitore libro” debba essere allo stesso livello del contenuto. Ragioniamo quindi molto attentamente sul tipo di carta da usare, sulla stampa, sulla rilegatura: tutto in funzione del contenuto. Vogliamo che il prodotto finale sia qualcosa che possa coinvolgere totalmente il lettore, un oggetto da esporre con gioia nella propria libreria. La domanda ora sorge spontanea: sono i nostri libri, con un budget esiguo alle spalle, a mostrarsi come prodotti editoriali o sono gli editori che investono poco e sembrano realizzare autoproduzioni?
Mi trovi d’accordo. Come la vostra, esistono pubblicazioni indipendenti molto curate in ogni aspetto; questo nonostante i grandi sforzi necessari per progettare, riprodurre e distribuire uno stampato di buona qualità. Ciò dovrebbe far riflettere molto sul sistema editoriale, soprattutto italiano.
Quali sono i motivi che vi hanno spinto a creare il collettivo? Sul primo numero di Macondo c’è una prefazione che descrive brevemente perché avete scelto questo nome per identificarvi. Essendo un aneddoto interessante vorrei chiederti di raccontare la genesi del progetto.
Erano anni che avevamo nel cuore l’idea di formare un collettivo. Piano piano questa voglia è cresciuta dentro ognuno di noi, fino al Bologna Childrens’ Book Fair del 2018. Questa manifestazione è il momento dell’anno in cui riusciamo a stare insieme per più giorni, una pausa dagli impegni lavorativi quotidiani. È la nostra festa. E quindi, tra un colloquio, una cena e una bevuta, abbiamo gettato le prime idee per Macondo. Il nome è nato poi, in treno, durante il viaggio di rientro. Cercavamo qualcosa che descrivesse un collettivo ma che avesse anche un sapore autoriale, qualcosa che parlasse di noi, insomma. Macondo, oltre a essere il villaggio immaginario del capolavoro di Gabriel García Márquez Cent’anni di solitudine, è anche un bar in via del Pratello a Bologna dove la sera, dopo una giornata estenuante in fiera, ci si rilassa bevendo qualcosa. Sostanzialmente volevamo divertirci, sperimentare, pubblicare storie che non avrebbero trovato spazio altrove ma anche creare una rete di autori e un luogo dove potessero esprimersi: questo luogo è Macondo.
Come vengono scelte le tematiche per le uscite di Macondo?
Ogni numero ha come tema una parola straniera intraducibile in italiano se non tramite un concetto, che noi raccontiamo a fumetti. La selezione avviene tra una serie di parole, che scriviamo su bigliettini, lasciando che sia il caso a scegliere per noi.
Ci parleresti un po’ del numero 0?
Il numero 0 ha come tema la parola giapponese Fuubutsushi: ricordi evocati da elementi naturali, come per esempio il profumo del prato illustrato in copertina dalla bravissima ZUZU. Ci piace ospitare gli autori che amiamo sulle copertine e per il numero 0 la scelta è ricaduta su questa bravissima e giovanissima autrice, poco prima che esordisse con il suo libro Cheese, esaurito e ristampato moltissime volte. Che dire, abbiamo visto lungo! E poi l’illustrazione è davvero bellissima, motivo per cui abbiamo deciso di sovrapporvi una copertina in PVC trasparente, così da non “sporcarla” con le informazioni riguardanti gli autori, il prezzo, etc. Le storie sono impaginate in maniera particolare: come i ricordi, sempre un po’ fumosi, anche le tavole sono “ordinate in disordine”. È stato il nostro primo progetto, non esente da errori certo, ma ci è stato utile per crescere e capire come lavorare a un libro nella sua interezza. Leggenda narra che le copie siano state ritirate in tipografia il giorno prima dell’inizio del Comicon Napoli 2019, nostro esordio ufficiale. Una disavventura che ci sembra sia successa solo ieri, finita bene per fortuna.
So che Macondo Press non è solo per gli interni del collettivo e che stampate anche altre collane
Certo, oltre al magazine abbiamo altre due collane non antologiche. Una delle due, Melquiades (in onore dello zingaro di Cent’anni di solitudine), è dedicata a tutti quegli autori che decideranno di passare per Macondo e di rimanerci per tutto il tempo che vorranno. Per ora, anche a causa della mancanza di fiere, in questa collana c’è solo M di Domenico di Francia K, prologo della sua serie fantascientifica. Speriamo al più presto di riempire questa collana con tante storie!
Possiamo avere un piccolo spoiler sul prossimo numero?
Come si dice dalle nostre parti: “non è vero ma ci credo”. Non siamo scaramantici ma finché non lo vediamo stampato tra le nostre mani, può succedere di tutto. Per ora posso dirti che il tema scelto è Goya (lingua urdu): quando un racconto è così fantastico e coinvolgente che finiamo per immedesimarci nei suoi personaggi. La storia è stata scritta da Davide Calì, autore che amiamo e che ringraziamo, e sarà disegnata da otto autori. Il character design è stato affidato a Veronica Ruffato, già in copertina sul numero 1.5. Il resto è meglio tenerlo segreto, un po’ di suspense non fa mai male.
A cura di Simone Macciocchi
Instagram: macondopress
Caption
I volumi pubblicati nel 2019, da sinistra a destra: Macondo Magazine numero 0, M e Giornata Tipo – Courtesy Macondo Press
Pagine dal numero 0 – Courtesy Macondo Press
Le ultime due pubblicazioni, il numero 1 e il numero extra 1.5 – Courtesy Macondo Press
Macondo, fila superiore da sinistra a destra: Nunzio Montuori, Rosaria Iorio, Roberta Bordone; fila inferiore da sinistra a destra Ivan Ferrara, Marcella Onzo, Monica Hernandez – Macondo Press