The Basement of Earthly Delights. Intervista ad Agnese Guido

Agnese Guido (Lecce, 1982) vive e lavora a Milano. Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera, ha preso parte a diversi progetti espositivi. Attualmente collabora con Federico Luger Gallery a Milano.


Il tuo stile è facilmente riconoscibile, particolare, individualistico. Da dove partono i tuoi interessi visuali? Sul Elephant leggo che nel tuo background ci sono fumetti underground, arte medievale e videogiochi. Scopri per noi alcune delle tue influenze più cruciali?

Le mie influenze in realtà sono molto più vaste, e pensandoci bene non so esattamente quali siano: una foto, un’immagine su un libro, un film, il surrealismo, Internet, Magritte, Bruegel, i cartoni animati, la musica, una merendina in tasca, la polvere sul tappeto. Spesso variano nel tempo, certamente ho scoperto i fumetti molto presto grazie a mio padre e lo stesso vale per la pittura e la storia dell’arte. Per quanto riguarda i videogiochi, non sono una assidua giocatrice, lo ero da bambina, ma mi interessa l’aspetto grafico e mi piace pensare che ci sia una realtà finta dove muori, vinci, perdi, combatti; mi influenza la realtà che vivo e tutto ciò che ne consegue.

Quale caratteristica dell’arte medievale ti affascina di più?

Mi piace molto lo stile pittorico, dettagliato e minuzioso, e anche quella più grezza in cui la figurazione è più stereotipata e statica. Adoro i pittori fiamminghi, soprattutto Bruegel, per il suo modo diretto di rappresentare le idee astratte, come nel dipinto Proverbi fiamminghi in cui rappresenta letteralmente centinaia di detti e modi di dire in senso figurato, ne viene fuori una scena grottesca in cui tutti sembrano dei pazzi, ma che in realtà mi sembra molto più realistica di altre. Un po’ come se i pensieri e gli istinti si materializzassero. È un artista di grande ispirazione per me. Amo anche la Nuova oggettività tedesca, è cruda, è cattiva.

I soggetti ritratti nei tuoi dipinti, le sculture di ceramica e di altri materiali, sono frequentemente oggetti umanizzati, con occhi, sorrisi e gambe aggiunte, che esprimono tristezza, felicità, noia, rabbia o, spesso, anche umore seduttivo. L’uso di una sorta di proiezione psicologica, avvolta in quell’approccio satirico e comico, sembra un modo perfetto per rimanere liberamente se stessi, esprimendo tutto ciò che si vive e pensa, senza nessun rischio di ostracismo.

Interessante il fatto che esprimere se stessi liberamente ti allontana dal rischio di ostracismo quando molto spesso ne è la causa! O forse il rischio di ostracismo rimane, ma nel mio lavoro non parlo solo di me, anzi, penso che ci si possa riconoscere facilmente ed è successo spesso che le persone abbiano una connessione emotiva con i miei dipinti, che si siano identificati con i personaggi o le situazioni.
Per me è un atto di onestà, senza prendermi troppo sul serio, è un raccontare storie, posso mostrare le tante sfaccettature dell’essere umano senza quasi mai disegnarlo effettivamente, sarebbe troppo descrittivo, rappresentare gli oggetti ti dà quel distacco necessario e anche quella leggerezza per dire tutto, ed è anche più divertente per me.

Cosa fa la tua arte per te?

Quando dipingo sono principalmente libera. È un po’ come giocare, non ti devi preoccupare di quello che succederà, pensi solo a fare un buon lavoro e a godere di quello che stai facendo. Ho cominciato così a dipingere a tempera su carta, avevo poco spazio ed era l’unico modo per lavorare e non pensavo tanto al risultato finale, se fai game-over puoi sempre ricominciare a giocare.

In tanti tuoi dipinti vedo una storia molto complessa contenuta in una sola immagine (lo stesso talento “strano” aveva il pittore Guido Pajetta). Come procede la formazione dell’opera? Nasce in strati quando stai dipingendo e scolpendo, o hai una visione ben precisa sin dall’inizio?

Non è sempre uguale, capita che abbia già l’idea precisa in mente, a volte invece me la faccio suggerire dall’immagine stessa. Gli elementi nel dipinto si devono incastrare, creare una narrazione, una connessione, altrimenti non funziona. Spesso devono aggiungere altri livelli per la lettura, per aprire il significato. È un lavoro un po’ cervellotico e divertente e quasi sempre ha a che fare con il linguaggio, metafore, doppi sensi, giochi di parole, è un approccio poetico.
Nella ceramica, invece, decido prima che forma modellare ma poi aggiungo il secondo livello dipinto, bidimensionale per poter entrare nella scultura, darle profondità, aggiungere un’altra storia nella storia.



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Meno male che poi riesci ad uscirne! 😉

È una spirale narrativa molto piacevole, mi fa sentire un po’ un detective che indaga su un caso e quando finisco un lavoro sento un che di liberatorio e rivelatorio.

I titoli delle tue opere spesso spiegano la situazione, ne sono parte importante. Puoi ipotizzare la creazione di un’opera totalmente priva di parole?

Si, direi di si, le immagini parlano anche da sole.

Nel testo curatoriale della tua mostra 158 – realizzata nel 2019 presso la galleria Federico Luger – ho letto che sei “tra gli artisti più amati all’interno della scena underground milanese”. Ti piace questa “localizzazione” outsider? Come vedi il tuo futuro nel campo d’arte?

Sono un artista underground perché ho lo studio nel seminterrato! A parte gli scherzi, probabilmente credo sia perché lavoro su carta in piccolo formato e il mio lavoro ricorda il fumetto e l’illustrazione, anche se non lo è. Ma lo puoi definire underground perché è diretto e semplice, non è consolatorio o patinato e nemmeno speculativo.
Il mio futuro nell’arte spero sia sempre positivo e stimolante, se non dovesse esserlo, continuerò a dipingere come sempre, chissà poi come il mondo l’arte vede il mio futuro!

In uno dei miei testi critici ti elenco tra i giovani artisti che “sviluppano riferimenti nei confronti del mondo digitale” e “ indagano le relazioni tra l’uomo e la sua percezione del mondo digitale”. Questa mia osservazione si basa sul fatto che, per i dipinti e le installazioni/sculture, usi le icone come vecchi dischi, schermate di Paint, cellulari, ricevitori radio, icone di Windows, etc., che, avendo un certo valore nostalgico, trattano di tecnologia. Questi oggetti hanno un’importanza particolare per te?

Sicuramente hanno un valore nostalgico, sono oggetti legati alla mia infanzia e adolescenza, adoro anche l’estetica dei poster pubblicitari anni Ottanta, sono le rovine del mondo di oggi, e i nostri comportamenti sono influenzati dalla tecnologia che ormai è parte della nostra vita, anche i nostri umori e i nostri sentimenti. Ciò che mi interessa di più è Internet e la sua connessione con noi, come sia entrato nella nostra cultura, comunichiamo molto con le immagini e i meme. Ma non c’è solo questo nel mio lavoro, c’è il legame che abbiamo con le cose, che sia un walkman che ti fa palpitare mentre ascolti la tua canzone preferita, o una tazza di caffè che ti fa palpitare per la botta di caffeina.

Il secondo ambito tematico che si evidenzia nella tua ricerca rimanda al lato oscuro della vita: sigarette, caffè, vino, siringhe, fuoco, manette, tacchi alti, calze autoreggenti e il rossetto rosso seducente alla luce della luna o dei fari delle auto, in notte piena. Raccontaci un po’ di cosa tratta questa parte della tua ricerca.

È ciò che narra la parte più bassa di noi, quella viziosa, istintuale e incontrollata, ma credo inevitabile e affascinante, e un po’ mi diverte rappresentarla, giocare con ciò che è considerato sbagliato o giusto per noi e la società, siamo tante cose e siamo anche questo. In un mio dipinto ho rappresentato un portafoglio che, scappato dal suo proprietario, è lasciato a terra disperato e corre ghignando e sognando i suoi prossimi acquisti, viaggi, scarpe, champagne etc.. Un po’ come in una sorta di animismo giapponese, mi piace mostrare gli oggetti stessi che si perdono nel vizio per mostrarci come siamo.

Come si traduce così tanta fantasia nella vita quotidiana dell’artista? Raccontaci la cosa più fuori del comune che ti è capitata questa estate.

Mi sono sposata, non so come sia potuto succedere! Probabilmente l’anello si è impossessato di me e mi ha convinto a farlo!

Ti sei diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera. Domando spesso alle persone che hanno studiato arte in un’istituzione: come valuti questa esperienza e con cosa ti ha fornito per futuro?

Non saprei, ci sono aspetti positivi e negativi, sicuramente ho imparato tanto dal punto di vista teorico, soprattutto per quanto riguarda l’estetica, la storia dell’arte, ma a volte ho preferito non dare troppo ascolto a quello che mi veniva detto, non si può insegnare a essere un artista, devi fare tutto tu. Ma è utile confrontarsi con gli altri, sempre, anzi sarebbe bello fare l’accademia a vita, continuare a imparare sempre cose nuove.

A cura di Dobrosława Nowak


www.agneseguido.com

Instagram: agneseguido


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Agnese Guido Studio – Courtesy Agnese Guido, photo credit Alessandro Zambianchi