Attivo dal 2014, Like a little disaster è un collettivo dall’identità nomade quanto fluida. Solidamente relativista, L.A.L.D. fa della pratica curatoriale uno strumento di interrogazione, in cui la mostra non è il punto, ma l’accento su una visione perplessa consegnata all’esperienza dello spettatore. Come il mancino zoppo di Michel Serres, l’eroe della tradizione antica che fa del proprio squilibrio fisico la condizione favorevole alla marcia, all’avanzata, così la rinuncia a un giudizio già dato è presupposto e potenzialità, assieme al rimescolamento costante degli equilibri tra le parti e l’inserimento nel periferico come luogo del Reale. Per L.A.L.D., la consapevolezza di far parte di un sistema interconnesso non è una condizione subita e accelerata dalla contemporaneità, ma è vissuta come un punto di partenza.
Fino al 30 gennaio, negli spazi di Foothold a Polignano a Mare, L.A.L.D ospita Heedful Sight, bipersonale degli artisti Joachim Coucke e Maurizio Viceré, curata da Mattia Giussani.
Che cos’è Like a little disaster e da quale esigenza nasce?
Like a little disaster è un collettivo di ricerca artistica fondato nel 2014 da Giuseppe Pinto e Paolo Modugno; attualmente è formato da Marika Dandi, Lysa Neufville, Benedetta Screti, dai due fondatori e da tutti gli artisti e curatori che si aggregano e alternano in base alle specificità dei singoli progetti.
Like A Little Disaster è un’entità multipla con un’unica visione. Indaga il concetto di perdita dell’individualità-unicità attraverso la costante comunicazione-interazione con l’Altro. In questa prospettiva, il sé esiste solo in quanto parte di un gruppo più grande. L’idea che la soggettività possa essere diluita in un tutto cosmico è una delle motivazioni che ha portato alla creazione di un’entità multicentrata come L.A.L.D. Attraverso la scomparsa dell’Io e il divenire Noi, composto da diversi background, pensieri, motivazioni inconsce, desideri e paure, il progetto tenta di riflettere e interpretare la società presente e futura. L.A.L.D. si muove in quel flusso sociale dove l’idea di avere un’identità definita e fissa è sempre meno necessario.
La dinamica delle varie identità che si sciolgono e fondono nella creazione di un’unica pratica si manifesta attraverso forze attrattive e repulsive che cercano di trovare un equilibrio provvisorio e fragile. Il confronto, la critica, e il contrasto delle idee è una costante del processo collaborativo. Abbandoniamo l’ego per il beneficio dell’idea collettiva. Come dice Serres, l’ego non è un punto fisso, una struttura invariante, ma un essere di circolazione.
L’unico pronome invariante è il noi, che «appartiene in proprio a tutti ed in comune a ciascuno, designa la rete multicentrata» (Michel Serres).
Nel nostro panorama, verità multiple possono coesistere e co-evolvere senza un ordine lineare o definitivo, non vi è gerarchia tra oggetti e soggetti. In questo senso, il concetto di techno-animismo ha influenzato la nostra ricerca fin dall’inizio, portandoci a rispondere a domande che coinvolgono la relazione e l’equilibrio tra l’umano, la tecnologia e l’ambiente. Siamo molto interessati alla nozione di realtà alternata, in cui dimensioni multiple si mescolano perennemente tra loro. Questo interesse è parzialmente collegato alle recenti scoperte scientifiche sul multiverso; un’ipotesi che postula l’esistenza di universi coesistenti fuori dal nostro spazio-tempo. Questo approccio può cambiare radicalmente la nostra convinzione storica dell’unicità.
Come si realizza l’equilibrio tra la vostra ricerca e pratica curatoriale e quelle degli artisti con cui lavorate?
La pratica curatoriale è per noi un modo di interrogarci e di porre in dubbio. L’esitazione, l’incertezza e il dubbio sono i principi guida dell’azione curatoriale e dell’atto espositivo. L’immissione di una visione perplessa apre l’opportunità di rinegoziare il ruolo dell’opera stessa nel contesto espositivo – uno spostamento dalla mera presentazione di un progetto curatoriale concluso in se stesso alla messa in discussione della natura dell’atto espositivo in quanto tale. Cosa succede se una mostra diventa lo strumento attraverso cui il curatore esprime il proprio dubbio anziché la propria autorevolezza? Che tipo di conoscenza può essere acquisita condividendo a una simile posizione improntata al dubbio? Significa che il meccanismo espositivo è destinato necessariamente a fallire, o esistono altre modalità di realizzare e sperimentare una mostra? Siamo interessati a come la confusione iniziale possa diventare una precondizione per un reale cambiamento.
Partiamo da una forma molto diretta di indagine composta da un’incompiutezza concettuale deliberata che cerchiamo di negoziare-riproblematizzare attraverso il progetto espositivo. Manteniamo irrisolti alcuni punti. Cerchiamo di rompere gli schemi dell’esperienza standard di una mostra, lasciando al visitatore massima libertà di azione, non importa quanto questa esperienza possa essere disorientante e alienante.
Ciò a cui ambiamo è un’intimità politicizzata con gli artisti e, attraverso loro, con tutti gli esseri – umani e non.
Vi definite una realtà nomade ma fate base a Polignano a Mare, in provincia di Bari. Come convive la dimensione locale con la proiezione globale della vostra ricerca, focalizzata sulla stretta contemporaneità e sulla futurabilità?
Dopo una prima fase nomadica, che ci ha visti operare in diversi spazi reali e virtuali, dal 2016 L.A.L.D. si materializza nello spazio Foothold, un project space situato a Polignano a Mare. Foothold è un termine mutuato dal mondo del climbing, significa punto d’appoggio momentaneo ma sicuro. Lo spazio è solo una delle possibili manifestazioni fisiche di L.A.L.D. Foothold non è uno spazio culturale ma uno spazio naturale, un luogo in cui sentirsi amati e accettati.
Polignano a Mare è un piccolo paese in un’area geografica che qualcuno si ostina ancora a pensare come periferica o marginale – ma è dal margine che le norme dominanti vengono messe in discussione e minacciate.
“To be the margin is to be part of the whole but outside the main body.”(Gloria Jean Watkins).
Qui si vivono molte contraddizioni del contemporaneo; la disumanizzazione/alienazione causata dalla vertigine del turismo capitalistico, la mercificazione delle coscienze e del paesaggio, il creativismo pornografico e generalizzato connesso al terzo settore, la speculazione edilizia, il degrado ambientale, così come l’attitudine, tutta contemporanea, metropolitana e occidentale, a creare un centro lindo e pulito, svuotato di abitanti e in perenne espansione gentrificante, e una periferia – dove siamo noi – totalmente abbandonata a se stessa. Il futuro – con l’inevitabile disastro – è già qui.
Ci piace pensare alla nostra presenza a Polignano come quella di uno “strano straniero”.
Vi sentite affini ad altre realtà indipendenti, e se sì, quali?
Prima di tutto dovremmo intenderci quando parliamo di realtà/spazi/progetti indipendenti. Noi non siamo sicuri di aver capito se con questo temine possa definirsi un ecosistema comune e condiviso. Indipendenti da cosa? Dal sistema/circuito capitalistico dell’arte – appannaggio di quattro compagni di merende? Indipendenti rispetto al consenso di un pubblico? Alla realizzazione personale/professionale? Indipendenti da chi? Se guardiamo anche solo al panorama italiano, le cosiddette realtà indipendenti sono numericamente la stragrande maggioranza – rispetto a gallerie e musei – e distribuite abbastanza capillarmente su tutto il territorio. Da chi o cosa dovremmo ormai renderci indipendenti? È indubbio che lo stesso discorso può essere fatto in termini qualitativi, di varietà delle ricerche/proposte e di professionalità.
Più che al vacuo concetto di indipendenza, noi siamo interessati a quelli di interconnessione, totalità e sintonia. Noi non siamo singoli globi chiusi in se stessi, ma insiemi schiumosi e interconnessi di micro e macro bolle climatizzate dai nostri sforzi.
Il mondo si realizza tramite la collaborazione, l’interrelazione, l’interlacciamento, non attraverso l’indipendenza.
L.A.L.D. è un’entità liquida, viscosa, decentrata, graduale e intersoggettiva – definibile solo in relazione. Coesistiamo e coevolviamo con miliardi di altri soggetti/oggetti su una rete spaziale e temporale che ci trascende.
Progetti per il futuro?
Provare a sopravvivere.
Caludia Petraroli
Instagram: like_a_little_disaster/
Caption
AThomas Hämén, Let your animation run wild, 2017 – Critter clay, acrylic paint, polymorph, Hot Toys T1000 collectable, Finding Nemo figure 35 x 25 x 15 cm (detail). Courtesy Like a little disaster
Temporarily suspended – Instalation view – Courtesy Like a little disaster
And if I left off dreaming about you – Veduta parziale della mostra, Gioia Di Girolamo, Motoko Ishibashi – Courtesy Like a little disaster, ph Ivan Divanto
Risky attachment – Installation view: Rustan Söderling, Lara Joy Evans, Jocelyn McGregor – Courtesy Like a little disaster