HYBRID ARCHIPELAGO fornisce una mappatura provvisoria, consentendo un confronto tra le diverse pratiche artistiche delle giovani generazioni italiane all’estero. La rubrica cerca di trarre alcune conclusioni che potrebbero essere rilevanti per la scena artistica contemporanea muovendosi nelle riflessioni degli artisti, in ricerche spesso parallele ai luoghi dove hanno deciso di trasferirsi indagando la mappa in divenire nella quale confluiscono i saperi.
Questo mese mi confronto con l’artista Simona Luchian (Piacenza, 1987).
Per molti anni hai vissuto a São Paulo, in modo anacronistico osservando come la nazione sia deragliata verso un sistema distopico. Capisco perché quest’anno hai deciso di ritornare in Italia. Cosa ti ha dato il Brasile in termini di crescita artistica?
Mi ha dato qualcosa di cui inconsciamente avevo bisogno: l’esplorazione di ritualità e di simbolismi più vivaci, più “carnosi”. Nel mio processo artistico, ma anche nella mia vita privata, ho sempre cercato di costruire dei rituali personali che mi aiutassero a stabilire sempre un equilibrio con me stessa, come se fosse l’unico modo che ho trovato nella vita per curare la mia spiritualità. Il Brasile, in questo senso, è stato un nuovo raggio di luce: mi ha fatto scoprire e, soprattutto, sperimentare dal vivo la varietà di una cultura ricca ed energica nella sua produzione artistica, portandomi a ripensare a nuovi spazi e scenografie per le mie creazioni, plasmate dall’esplorazione continua di paesaggi e tradizioni che mi hanno sempre ispirata per la loro unicità e grandiosità.
È sempre complesso riassumere il proprio percorso; potresti sintetizzare quali reputi siano state le mostre e le esperienze di studio più significative che hai avuto in Brasile?
Negli ultimi due anni in Brasile avevo fatto due viaggi di “resilienza”, che poi si sono legati uno con l’altro nella produzione di un lavoro, che infine ho esposto in una mostra che si chiama Vestígios de um nascimento (Vestigia di una nascita). Durante il primo viaggio sono riuscita a raccogliere alcune immagini di un posto straordinario: un luogo che ha formazioni rocciose molto simili ai crateri lunari, dove passa un torrente che scorre con violenza attraverso anfratti, pozzi naturali e grotte. Ho lavorato su queste immagini per un po’ di tempo, plasmandole, dandogli un altro senso, utilizzandole per adattarle al mio meccanismo visuale. Alla fine ho creato un progetto fotografico che si chiama Sonho de uma concepção (Sogno di una concezione), trasformando quelle forme che mi avevano sedotto tanto, appropriandomene e usandole per ricreare i miei mondi, i miei scenari intimi, i miei altarini: i luoghi stessi erano esperienza di studio. In questo senso non posso non raccontarti di quando ho visitato una comunità indigena nello stato del Maranhão; ho avuto la possibilità di vedere e essere parte ad alcuni rituali e danze tribali davvero unici di quella specifica regione. Qui ho lavorato con un artista indigeno con cui ho prodotto alcune fotografie che fanno parte del mio progetto sui cordoni ombelicali, in corso da qualche anno. Il confronto con questo ambiente così delicato e diverso dalla mia cultura di origine è stato sicuramente un’occasione vera e propria di studio in campo; ci si sente poi custodi di segreti atavici e saperi ancestrali.
Hai vissuto anche in altri paesi?
Si, ho vissuto in Nuova Zelanda. Anche qui la ricerca di paesaggi vergini e impattanti per la loro ricchezza tropicale è stato il motore principale del viaggio e della mia permanenza. Qui avevo iniziato il progetto fotografico dei cordoni ombelicali: una serie di installazioni costituite da immagini stampate collegate tra di loro da “cordoni ombelicali” di cemento bianco, che avevano la funzione simbolica di supporto nutritivo tra le immagini stesse. Fotografavo le installazioni in un determinato contesto per ottenere una sorta di metafotografia di oggetti esistiti soltanto per essere fotografati. Avevo scelto immagini di felci che in Nuova Zelanda hanno un’importanza fondamentale e sono portatrici di tantissime simbologie radicate nella loro cultura Maori. Per me, riutilizzare le simbologie, ridargli una forma nuova sovrascrivendola col mio personale “occhio sul mondo”, è sempre stato un atto propulsivo, un modo per afferrare e stringere per un attimo, anche solo illusoriamente, un pezzo di infinito.
La tua è una pratica ibrida, fai dialogare mezzi diversi creando un vero e proprio “cortocircuito estetico” che conduce a un solido sistema visivo. Ce ne parli?
Io lo vedrei di più come un sistema visivo in tensione, in un tempo sospeso appena prima del cortocircuito stesso, se per cortocircuito intendiamo un’improvvisa perdita di logicità o di senno. Mi piace e mi viene naturale, da sempre, costruire “sistemi visivi” puliti, rigidi nella loro forma: sono come rappresentazioni di ordini. Costruisco “ordini” e li cristallizzo, attraverso la fotografia, per sentirmi più sicura, più al riparo da una sensazione scomoda di “disordini” che costantemente potrebbe minacciarmi. Ho sempre ricercato e ricostruito immagini che in qualche modo riconducessero ai concetti di nascita, rinascita, maternità, fioritura, crescita: un vulcano da cui far esplodere una nuova forma di vita, una scala dalle sembianze paradisiache che dovrebbe far accedere a mondi paralleli, cordoni ombelicali che sembrano imbalsamati, un’incubatrice di fiori che cresce di dimensioni. Alla fine, giro sempre qui intorno, come in una costante ricerca di un richiamo edenico a cui tendere, in cui sentirmi esistente – nata o in procinto di. Il mezzo fotografico, in questo frangente, diventa un mezzo eccellente per raggiungere la soddisfazione della cristallizzazione di “scene ordinate”: perché è la fotocopia della realtà che puoi magicamente riprodurre. La fotografia ti dice: questo è reale, guardalo, è reale! Che goduria! La fotografia è per me un modo per chiudere e vedere finita – godendone – una pratica che inizia con la costruzione di installazioni, con la pittura, con la manipolazione di altre immagini bidimensionali che, con il contesto stesso in cui vengono poste, determineranno una relazione visibile infine solo nello scatto.
Mi ha particolarmente colpito e c l i p s e o c u l t a d o s o l h a r e s, progetto fotografico work in progress di un viaggio tra le città di San Paolo e São Luís. La sua natura viscerale immersiva crea un rapporto esistenziale e intimo con il luogo e i tuoi occhi che lo esplorano. Si basa su tutti i grandi viaggi emozionali, di cui la natura umana, la letteratura e le arti visive hanno alimentato il mito. In questa fase cosi “stanziale” (per la pandemia, e il rischio del ritorno del confinamento), lontana dalla libertà del corpo è una apertura verso i confini del pensiero. Ce ne vuoi parlare?
Questo progetto è il prodotto fotografico di un viaggio itinerante di tre giorni in autobus tra le città di São Paulo e São Luís do Maranhão. Ho vissuto questo viaggio come un momento di rinascita e resilienza in un periodo difficile. Ho preparato una trentina di stampe fotografiche (tutte uguali) dei miei occhi e, a ogni tappa, ne incollavo una su un muro, una strada, un albero, una spiaggia o in una parete bar. Questa pratica è nata dal desiderio di lasciare una traccia del mio cammino e di creare un rapporto esistenziale e intimo con il luogo che i miei occhi “toccavano”. Volevo far perdurare in un tempo più dilatato il mio passaggio e il mio sguardo durante questo stesso attraversamento: forse un tentativo di fermare il tempo?! O un tentativo di appropriarsi dello spazio!? Una cattura spazio-temporale?! Grazie a questo progetto, che in tempo reale postavo sui social, ho conosciuto molti artisti locali che mi hanno appoggiato e accompagnato a “lasciare i miei occhi” in posti in cui non avrei potuto andarci da sola. Li ringrazio, e che saudade!
Quali sono i tuoi piani per il futuro?
Pianifico di scappare al mare.
A cura di Camilla Boemio
www.simonaluchianpanacea.tumblr.com
Instagram: simona.luchian
Caption
Rituale, lottando contro l’inerzia dello sguardo, 2017 – Courtesy l’artista
Sonho de uma concepção #5, 2019 – Courtesy l’artista
Umbilical cord, Maranhão, 2019 – Courtesy l’artista
Eclipse oculto dos olhares; Agrovila, 2019 – Courtesy l’artista
Umbilical Cord, New Zealand, 2016 – Courtesy l’artista
Support for Parallel Worlds, 2017 – Courtesy l’artista
Simona Luchian – Courtesy l’artista