Hybrid Archipelago » Intervista ad Alba Zari

Hybrid Archipelago fornisce una mappatura provvisoria, consentendo un confronto tra le diverse pratiche artistiche sviluppate delle giovani generazioni italiane all’estero. La rubrica cerca di trarre alcune conclusioni che potrebbero essere rilevanti per la scena artistica contemporanea muovendosi nelle riflessioni degli artisti, tra ricerche spesso parallele ai luoghi dove hanno deciso di trasferirsi sviluppando una mappa in divenire nella quale confluiscono i saperi. Questo mese mi confronto con l’artista Alba Zari, nata a Bangkok nel 1987, vissuta in Italia prima di trasferirsi a lavorare a Londra.


Senza dubbio, nell’anno passato la pandemia ha condizionato le nostre abitudini, la mancanza di relazioni ha influenzato anche i nostri progetti facendoci trascorrere molto tempo soli a programmare mostre virtuali, lectures e/o pubblicazioni che riuscissero a compensare lo stravolgimento dell’agenda. In questa fase ostica la tua ricerca ha trovato un terreno fertile?

Ho utilizzato questo periodo per fermarmi e lavorare sul nuovo progetto: Occult. È un lavoro emotivamente molto difficile, forse più del primo. L’anno scorso avevo già iniziato a lavorare sul mio archivio famigliare e su quello della setta dei Bambini di Dio di cui sto analizzando la propaganda visiva. Da gennaio a marzo 2020 sono andata in India, Nepal e Thailandia ripercorrendo il tragitto di mia madre in questo culto più di 30 anni fa. Una volta tornata a Londra è iniziato il lockdown e nonostante il momento tragico che stiamo ancora vivendo ho avuto il tempo per rielaborare il mio viaggio e il lavoro. Il più grande regalo del 2020 e del 2021 è il tempo che ci permette di poterci fermare.

Quanto sta evolvendo la fotografia?

Il futuro della fotografia è sempre di più iperrealista. È sempre di più un apparato tecnologico che crea nuovi luoghi invece di registrarne l’esistenza. La fotocamera andrà ad anticipare le esperienze, creerà luoghi che non esistono ancora. Nel mio caso, con il lavoro The Y, persone che non esistono: il mio padre biologico.

È indubbio si sia delineato uno spettro molto ampio nella creazione delle immagini; tu sei una delle protagoniste di questa nuova stagione. Abbiamo l’onore di esplorare un modo diverso di realizzare la fotografia. Tecniche che incontrano tematiche sempre più interessanti e raccontato, in modo non scontato, approcci analitici, crossover e una nuova potente estetica. Come prende forma la tua ricerca?

Nel mio lavoro la fotografia è un mezzo che mi serve per condurre la ricerca. In The Y sono partita dalle immagini d’archivio che pensavo avessero un valore e un significato nella mia memoria ma che ho dovuto rielaborare quando ho scoperto di avere un padre diverso da quello di mio fratello. L’immagine fotografica non è più un documento di verità. Successivamente ho fatto degli autoritratti usando il banco ottico, richiamando un estetica Lomborsiana, una autoanalisi visiva con cui poi sono riuscita a ricostruire il render 3d del mio padre biologico. È un lavoro eterogeneo che riflette sul medium fotografico, sulla sua utilità e sulle verità o menzogne che si porta dietro.



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Come un incubo inizia l’anno con l’assalto al Senato degli Stati Uniti. Le immagini di questa orda scomposta e violenta diventano virali, raccontandoci di una scossa indelebile alla democrazia. Viviamo di immagini; l’uso può essere manipolatorio, spesso a scopo di propaganda. Occult parla proprio di come le immagini siano usate come mezzo propagandistico.

Una parte del lavoro di Occult è sulla propaganda della setta dei Bambini di Dio che viene contrapposta al mio archivio famigliare. Cerco delle verità che la mia famiglia non ha potuto raccontarmi. La loro propaganda è basata sulla mercificazione del corpo femminile in nome di Dio. Oltre alla ricerca sulla loro propaganda ho anche raccolto immagini d’archivio degli adepti mentre portavano la parola del culto in diversi paesi. Ne esce, da questa raccolta di immagini, un ritratto sulle forme di colonialismo americano in vari paesi come il Sud America, il sud est asiatico e l’India, il racconto di come portano una religione cosi diversa in questi luoghi.

Il progetto Places mi ha particolarmente colpito. I confini liquidi di una organizzazione terroristica, che si configura in uno stato invisibile e non definito. Ne emerge un’ambigua sacralità, a tratti ansimante come la sua presenza/assenza che aleggia in un occidente confuso. Ritengo anche io “risulti più scandaloso censurare che mostrare, in un mondo visivamente già dominato dalla violenza”. Il backstage dell’ISIS e la rispondenza al vero di quest’ultimo è forse l’ultima chance della fotografia per reclamare qualche forma di autenticità?

Places è nato dalla riflessione su come questo stato terroristico si rappresentava. Organizzavano decapitazioni dietro a un green screen, il modo cosi attento di utilizzare i social media, tutto richiama il modello di comunicazione visiva occidentale, ma senza censura. La cosa più interessante di questo lavoro è stata la riflessione su come verità e finzione venissero messa in scena così abilmente.

Cosa succede quando si fa sempre più affidamento ai social media e a Internet per carpire quasi tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno? Come si fa a sapere se un tweet è autentico oppure no ? Forse è lo snodo della comprensione della realtà?

Penso sia importante avere la consapevolezza dei mezzi che utilizziamo, dai media tecnologici ai social media. Nei miei lavori, nonostante siano così personali, rifletto sull’importanza di acquisire e usare i mezzi e non viceversa. Penso che la realtà sia sempre un punto di vista, così come la fotografia e così come lo sono i social media.

A cura di Camilla Boemio


www.albazari.info

Instagram: albazari


Caption

Ancestral Origins – Courtesy l’artista

Replacing Biological Father, Family archive – Courtesy l’artista

Avatar, make a human – Courtesy l’artista

Massad, biological father – Courtesy l’artista

Occult, My Grandmother, my mother and me inside the Children of God – Courtesy l’artista