Giocare con i tessuti, metterli assieme, cucirli, tingerli, farli e disfarli. La cifra tecnica del lavoro di Hermann Bergamelli (Bergamo, 1990) sta tutta qui, e non si va oltre. Electro Glide in Blue – mostra personale dell’artista bergamasco, fruibile fino al 3 marzo 2021 presso A+B Gallery – racconta lo scorrere del tempo e il fare senza fine. L’arte che assume il ruolo della contingenza, è qui, di nuovo, e “altrove” – come scrive la curatrice Irene Sofia Comi – con le sue dinamiche e le sue armonie sfrangiate, a volte tirate dritto-per-dritto, nitide nel supporto, quasi geometriche e mai strutturali.
Ebbene, che cosa dire ancora? Del quadro non resta che la superficie; il quadro è in superficie, in quel che si rivela di un fatto estetico. Non c’è inizio e non c’è fine, forse unicamente qualcosa è cominciato. Certo è che il lavoro di Bergamelli non si presta a interpretazioni stucchevoli, né tanto meno a tutti quegli argomenti che per forza di cose devono guidare e condurre tramite la forza consolidata di un contenuto. “L’unico che può capire realmente il mio lavoro”, direbbe l’artista, “è il mio cane”, in quanto testimone silenzioso di un procedimento, come di un percorso che passa inesorabile dalla materia scucita fino alla sua composizione. A dire il vero, il senso dell’opera è l’opera, e il suo contenuto è il lavoro stesso. Le “Stratificazioni”, le fitte trame di filo che congiungono fettuccine di tessuto accostate l’una all’altra, accennano al metodo creativo usato e, per di più, lo lasciano intendere. La tela è l’opera nel suo senso allegorico, perché è di questo che si tratta, di fila tessute insieme, le quali a un certo momento si espandono, le cuciture diventano linee di confine tra campi di colore (“Immersioni”, Verde nel verde blu, 2020). Strette in una morsa le sezioni di tessuto quasi si raccolgono (“Compressioni”; Rapido rapido, 2020), credono di trovare un poco di quiete attutendo la tensione delle bocche che le contengono. Ciononostante, non è la fine, ma lo snodo di una storia formalmente narrata e senza parole.
Le opere – lente o veloci, placide per quanto smagliate – hanno tutto il sapore di una variazione sul tema: sono “la punteggiatura”, i segni d’interpunzione di una “geografia concettuale” che permette di orientarsi tra i dettami di un processo. “Punti e virgole danno respiro”, mi dice l’artista al telefono, generano pause e stabiliscono i nessi nella continuità logica, oltre che semantica, di un racconto. Una storia districata, persa, che poi si ritrova unita nel gioco dell’arte, quel gioco particolarissimo che lascia dietro di sé le tracce visibili del suo itinerario: per condurci dove?
Cosa altro vuoi?, sembra chiedersi l’artista a ogni passo, come faceva Giorgio Soavi di fronte ai disegni di Horst Janssen. “Io niente”, rispondeva “ridacchiando il piccolo quadro appeso. Sei tu che vuoi qualcosa da me”. Per ricordarci, in fondo, che quello che rimane sono la tinta e la tessitura, la morsa e il colore, qui e altrove. Nel luogo dell’altro che dura nel tempo, vive del tempo, lo investe e non si conclude mai.
Luca Maffeo
Hermann Bergamelli
Hermann Bergamelli. Electro Glide in Blue
A cura di Irene Sofia Comi
Instagram: aplusb_gallery
Caption
Hermann Bergamelli, Electro Glide in Blue, A+B Gallery, 2021 – Exhibition View – Courtesy l’artista & A+B Gallery, ph. Pietro Gilberti