Ci eravamo molto amati. I giovani artisti su cui non investire nel 2019

Andrà tutto bene, cantavano gli Zen Circus nel 2016; oggi sono a San Remo. Nulla di male, è ingiusto e antistorico credere che nell’epoca della creatività diffusa possa esistere un comunismo indie che avvolge la marea crescente dei giovani artisti.

L’illusione populista dell’uno vale uno ha arrecato un danno enorme allo sviluppo di una seria politica culturale in un periodo storico in cui l’estremo individualismo (che raggiunge le sue vette non negli Stati Uniti ma in Cina) sta mostrando il fianco, è debole ma per nulla sconfitto.

Il millennio dell’egoismo non si sta mostrando tale, flussi e riflussi storici mostrano, nella frenesia della rapida oscillazione, la luce di fondo di un bisogno eterno. Potremmo definire questa necessità dell’anima biologica come un’affettuosa voglia di comunità. Tutto parte con gli artisti nati negli anni Settanta; stanchi degli eccessi derisori e tristi dei ragazzi di una decina di anni più grandi di loro, decidono di fare piazza pulita, divengono eraser, la loro azione sull’eccesso di comunicazione porta all’accumulo o alla cancellazione, come la celebre gomma rossa e blu. Due modalità opposte che conducono allo stesso fine, per eccesso o difetto: eliminare un mondo insensibile alla critica.

Sulle macerie è necessario ricostruire, ma come? La generazione dei nati negli anni Ottanta non si nega alcuna possibilità. Nella confusione di stili e fini, spesso uno stesso autore utilizza molteplici media e modalità espressive divenendo differente ma riconoscibile di mostra in mostra. Il panorama è ampio, partendo dal nulla, tutto è possibile. Esiste però un fattore chiave, molto sottile, quasi celato, che permette una visione d’insieme all’interno di un storia fatta ormai di racconti infra-sottili, che evolve in maniera sempre più veloce. La parola chiave “microemotività” riconduce a un inatteso ritorno agli anni Sessanta, evidenzia un bisogno di prossimità e calore tattile, sentimentale. La ricerca di affetto, di una nuova società che parta dalle persone, dai ragazzi di quella che alcuni hanno definito una generazione persa, è la base da cui partire per comprendere la più recente produzione estetica.

Anche se la crisi non è finita, con gli artisti nati negli anni Novanta si verifica un nuova evoluzione che coinvolge il livello mediale (i meme invadono l’artesfera) e che riattiva le coscienze dando speranze nuove e forti. Il passaggio è brusco, una rapido ritorno. Nella musica commerciale si passa, nel giro di pochissimi anni, dall’Indie alla Trap; la scultura abbandona la prossimità intima generando nuovi, potenti e spesso sincopati nuclei di senso. La pittura non si limita al racconto, al ricordo, è presenza sufficiente, autonoma.

L’arte evidenzia inaspettate energie, una volontà di rivincita che trova come soggetto preferenziale la ricerca in ambito sonoro. L’universo estetico mantiene una forte carica microemotiva ma il suono invade, riaccende la doppia natura apollinea e dionisiaca del caos, di un’epoca mitica dove perdersi e affermarsi allo stesso tempo.

Il mercato? In questi ultimi dieci anni vi è stata una vera e propria esplosione di transazioni commerciali nel settore arte. Le opere si fanno chiamare beni rifugio; investimento è il termine più utilizzato il giorno dopo l’opening, in una stanza riservata e tranquilla. L’arte, quel mezzo attraverso cui gli uomini comprendono il mondo dandone una rappresentazione simbolica per astrazione, si è spesso confusa con un mercato finanziario di prodotti ad alto rischio è bassissima capacità di liquidabilità.

La situazione attuale si può meglio comprendere attraverso un’immagine ideale che affianca due modelli di sviluppo contrapposti, due dei più grandi “uomini d’affari” di questi ultimi anni.

Sergio Marchionne (Chieti, 1952), manager italiano naturalizzato canadese e, fino a pochi mesi fa, residente in Svizzera. Uomo colto, dopo una laurea in ambito filosofico ha compiuto prestigiosi studi in ambito legale, economico e amministrativo. A lui si deve un’impresa disperata, il salvataggio dell’allora FIAT, ottenuto con ogni mezzo, un grande successo.

Sir Richard Charles Nicholas Branson (Londra, 1950) filantropo e manager inglese, non brilla come studente modello ma, ancora minorenne, fonda un “giornalino scolastico” (Student Magazine) che avrà sempre più successo e che lo porterà a divenire il fondatore della Virgin Records. Da qui un percorso infinito di successi e idee al limite dell’assurdo che lo hanno condotto dall’esplorazione delle fosse oceaniche alla recentissima conquista dello spazio.

Credo, in questo 2019, sia necessario trovare lo stesso coraggio di Sir. Richard, credo sia compito dei collezionisti non perdersi nell’oneroso acquisto di opere secondarie di prestigiosi artisti del passato e investire fortemente nel settore cultura, credere in imprese folli, idearne alcune, utilizzare le proprie possibilità economiche per aprire o sovvenzionare l’attività espositiva di un project space o di un giovane artista. Qui sta il prestigio, qui sta la cultura e il valore di una persona. In un’epoca in cui l’informazione è invadente, mostrare carissimi lavori di bassa qualità, nelle case più eleganti, è sintomo di una decadenza diffusa che conduce all’antica pratica delle lode in pubblico e della derisione nel privato.

Nessuna ingenuità, l’arte deve restare anche uno status symbol ma, per chi può farlo, credo risulti non sufficiente acquistare un’opera di un giovane artista quando, con un impegno economico poco superiore, sarebbe possibile sostenere la sua ricerca, o quella condotta dalla sua galleria, per molti mesi .

Questo non vuole essere un atto di provocazione o di arroganza, solo un consiglio, un’esortazione a non cercare nei tanti articoli, apparsi su svariati magazine, il nome dell’artista che vi renderà ricchi, quali le opere alla moda o di tendenza. Parlate con i curatori seri, i critici, i professori universitari, con le persone che dedicano il loro tempo alla ricerca e alla diffusione del sapere, saranno felici di condividere le loro idee con voi. Visitate studi, fiere di ogni genere, sedi di piccoli e grandi editori, mostre prestigiose e nascosti e spesso difficili eventi, fate a tutti mille domande. Riconoscerete la qualità e la sosterrete.

Se volete investire o arredare casa, fatelo, a vostro rischio e pericolo, ma non chiamatela cultura.

Marco Roberto Marelli


Immagine di copetina: SPAZI 2018, il festival dei project space milanesi – Sala delle Colonne, Fabbrica del Vapore, Milano, 2018 – Courtesy Spazi, ph Andrea Stillone / Deadue fotografia e grafica