Rolando Tessadri, classe 1968, vive e lavora a Salorno dopo aver concluso il proprio percorso di studi a Udine, dove si laurea in Conservazione dei Beni Culturali con una tesi su Gli scritti cinematografici di Giulio Carlo Argan. La sua ricerca artistica lo conduce, negli anni Novanta, alle realizzazione di opere chiamate Tessiture. Quelle di Tessadri sono creazioni estetiche nelle quali un’attenta ricerca sui materiali e sulle relazioni cromatiche sfocia in una visione primaria di un originale linguaggio minimalista.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Ho cominciato a dipingere da adolescente. Inizialmente ero attratto, come molti della mia generazione, dalla Transavanguardia, dal Graffitismo e in genere dal Pop. È solo negli anni Novanta che la mia ricerca si è indirizzata decisamente verso l’astrazione e ho sentito l’esigenza di esporre. Da allora il mio approccio alla pittura si è precisato, ma le motivazioni di fondo non sono cambiate.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
L’elemento centrale del mio lavoro è la tessitura. È un modo particolare di elaborare la superficie per griglie ortogonali. Sovrappongo la tela a delle trame di fili sottili, poi vi applico il colore e lo asporto con delle grandi spatole morbide. In questo modo, per frottage, ottengo una trama artificiale che si sovrappone alla trama del tessuto di supporto. Per percepire questa ambiguità è necessario rallentare lo sguardo e attivare meccanismi d’indagine concettuale. Un altro aspetto che sviluppo è il colore. Mi muovo per cicli e ogni ciclo ha tendenzialmente delle cromie che lo identificano. Alcuni colori accentuano la componente strutturale del lavoro, altri ne evidenziano gli aspetti evocativi. La scelta dipende anche dal contesto in cui mi trovo a esporre. Recentemente, in una mostra al Mag di Riva del Garda, ho adottato un’intonazione bluastra che a mio parere si relazionava bene con il contesto della pittura paesaggistica ottocentesca esposta nelle sale del museo. In altre occasioni ho lavorato sul bianco e sui minimi contrasti, perché mi interessava ridurre al minimo la presenza materiale del quadro e dissolverlo nell’ambiente circostante. Fra i progetti che ho nell’immediato futuro ci sono alcune fiere e una mostra presso la galleria Castel Negrino con altri due astrattisti curata da Matteo Galbiati.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Con Trento ho sempre avuto un bel rapporto. Qui mi sono formato e qui ho cominciato a esporre, anche se oggi lavoro anche in altre città, come molti miei amici. Per gli artisti trentini, in passato, il polo di attrazione era Venezia, oggi invece mi pare sia soprattutto Milano. In ogni caso oggi a Trento ci sono ottimi artisti che si muovono con grande disinvoltura sia sul mercato nazionale sia su quello estero, anche grazie al supporto delle gallerie e degli enti museali locali. Si tratta di entrare in relazione con questa realtà e devo dire che Trento, in questo momento, offre delle belle opportunità anche per chi lavora nel campo dell’astrazione.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Mi piace lavorare a contatto con le altre figure professionali che operano nel mondo dell’arte. È senz’altro un rapporto produttivo nella misura in cui mi permette di mantenere autonomia decisionale sugli sviluppi della mia ricerca. Credo questo sia importante per far sì che al centro dell’attenzione rimanga sempre l’opera e per evitare di scivolare nel didascalismo.
Che domanda vorresti ti facessi?
Com’è il tuo ultimo quadro?
In questo momento sono tornato sul color bruno, dopo un lungo periodo dedicato al blu. I lavori sono sempre affiancati a coppie, come fossero dei dittici. Le trame interagiscono e dialogano, pur mantenendo una loro identità individuale. C’è un grande bisogno di relazione. L’intonazione del colore è particolare e la sua durezza mi richiama alla mente materiali come il bronzo o in genere i metalli. Può darsi che nel prossimo futuro mi decida a trasferire i miei progetti anche nel campo della scultura.
Intervista a cura di Alberto Pala.