Five Questions for Maria Teresa Ortoleva

Maria Teresa Ortoleva nasce a Milano, nel 1990, e dopo aver effettuato studi in ambito umanistico, conclude il suo percorso di formazione ottenendo un Master in Arts presso la Slade School of Fine Arts di Londra. Oggi vive e lavora fra la sua città natale e la capitale inglese. Aprendosi, di volta in volta, all’utilizzo del medium migliore per esprimere la sua volontà estetica e culturale, sviluppa un’originale ricerca sul fenomeno dell’immaginazione che la conduce verso delicate e poetiche realizzazioni dove l’installazione si fa leggera e il disegnare fermo segno di comunicazione lirica.


Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?

Disegno praticamente da sempre, ma è nel 2009 che ho iniziato a studiare arte all’Accademia di Brera e poi, nel 2012, mi sono trasferita a Londra per fare un master alla Slade School of Fine Art. Quest’ultima esperienza ha segnato il passaggio più importante nel “fare l’artista”.

Da quando ho iniziato a studiare pittura a oggi si è ampliato molto il mio modo di intendere ciò che come artista posso fare con il mio lavoro, spaziando dalle situazioni espositive più tradizionali, al dialogo, alle collaborazioni interdisciplinari e di ricerca, all’ambito partecipativo ed educativo. Ho rivisto e rivedo il mio linguaggio ogni volta in rapporto a questi diversi contesti e al diverso pubblico cui mi rivolgo. Dall’inizio a oggi c’è stata una crescente presa di coscienza e ho scoperto una sempre maggiore libertà di giocare con le diverse sfaccettature con cui, come artista, posso dialogare con ambienti e luoghi diversi, contribuendo e articolando in seno a questi il mio discorso.

Maria Teresa Ortoleva
Triumphus Visionis (Beastiario), 2016 – stampa su chiffon, 3×2.4x10m – courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro e l’artista

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?

Il mio lavoro ricerca le dinamiche e i meccanismi dell’immaginazione. Mi interesso a come le immagini della mente si ridestano nel rapporto quotidiano con oggetti e luoghi materiali, arricchendo la percezione che abbiamo di essi e del presente. Interrogo il valore conoscitivo di questo fenomeno e le dinamiche di curiosità e meraviglia che lo accompagnano. Con ogni nuovo lavoro mi soffermo a esaminare un aspetto diverso dell’immaginazione: la fantasia, la rêverie, il sogno; l’intrecciarsi di percezione e memoria nello stabilire legami di familiarità con luoghi e oggetti; il rapporto tra immaginario personale e collettivo; l’influenza che hanno su di essi il web e i sistemi d’archivio digitali, e in che modo questi serbatoi del sapere offrono un modello dei meccanismi associativi delle mente, ovvero sono quasi delle immaginazioni artificiali che possono limitare oppure offrirsi come risorsa all’immaginario contemporaneo.

Quest’autunno, in occasione del Premio San Fedele, di ArtVerona e del Premio Cairo, sono uscita con dei lavori nuovi che ribadiscono e ampliano l’indagine di strutture diagrammatiche per rappresentare il pensiero immaginativo. Stanno riemergendo in veste nuova dei tratti a me cari, come l’utilizzo del disegno in forma di installazione nello spazio e come linguaggio di scrittura della mente, rintracciato, per altro, non solo in ambito artistico ma anche in altre discipline – per esempio, in questi lavori, la medicina e la fisica – da cui attingo spunti che poi metto in dialogo tra loro. È un filone dove c’è ancora tanto da lavorare.

Come ti rapporti con la città in cui vivi?

Londra è una città che nutre molto il mio lavoro, con l’offerta vastissima di eventi, la possibilità di vedere di prima mano i lavori di artisti in prima linea sulla scena internazionale, di sentirli parlare e incontrarli, trarne insegnamento ma anche umanizzarli. Forte è il senso di appartenenza a una comunità artistica, la possibilità di dialoghi, confronti e collaborazioni. Mi aiuta a essere energica e audace nel mio lavoro, ad abbracciare sempre possibilità nuove, a non chiudermi su ciò che ho già acquisito. È una grande palestra e un grande campo di sperimentazione.

Maria Teresa Ortoleva
Still body frenzy mind, 2017 – plexiglass fluorescente e lycra imbottita, dimenioni ambientali (h 300cm) – courtesy Galleria San Fedele e l’artista

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?

Lo percepisco un po’ come le regole del gioco di un altro. So che la tua domanda era neutra, ma in generale sembra ci si aspetti dagli artisti uno statement per vedere da che parte stanno, se lavorano con o contro il sistema. Ma schierarsi contro spesso è un sistema anche quello. Per me conta di più la voglia e l’urgenza di fare. Forse sono un po’ idealista, ma voglio saper lavorare con tutte le opportunità che vedo nascere dall’interno del lavoro o come proposta dall’esterno, misurarmi con le sfide che pongono e coglierle come occasione di realizzare del lavoro nuovo che dica qualcosa di valore e mi permetta di fare un passo in più come artista e come persona.

Che domanda vorresti ti facessi?

Dove si può vedere il mio lavoro in questo momento? Mi piacerebbe fare un invito ai due luoghi dove si può vedere nel concreto di cosa parlo

E la luce fu, Premio San Fedele, fino al 28 ottobre
• Premio Cairo, a Palazzo Reale, 24 ottobre – 1 novembre


Intervista a cura di Alberto Pala per FormeUniche