Isabella Mongelli nasce a Taranto nel 1982 e oggi vive e lavora a Milano. Studia Psicologia Clinica e di Comunità all’Università degli studi di Padova laureandosi nel 2007 con una tesi sulla Psicomagia di Alejandro Jodorowsky. Nel 2010 a Roma, mentre frequenta un Master in Artiterapie, il suo esordio nel mondo delle arti visive. Operatrice estetica, performer e autrice teatrale, attraverso un’attenta ricerca, che fonde e da nuovo significato a un ampio e variegato bagaglio culturale, realizza mondi, situazioni e atmosfere che conducono al significato profondo delle cose grazie a un fare corale in bilico fra analisi e poesia.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Ho iniziato nel 2010 con un progetto originalissimo e fuori formato, Irina Produktjions, composto da una performance, Irina Varietà Deljirant, e da una striscia Youtube settimanale. Avevo 28 anni, non provenivo da studi artistici, ho inventato il mio assetto artistico e sociale di sana pianta.
Ero a Roma, c’era il sole e gli artisti di Roma Est, sono passati poi otto anni, ho viaggiato molto, ho attraversato vari contesti, ambiti artistici, luoghi, sono più grande. Se ti interessa sapere cosa è cambiato nel mondo dell’arte, non saprei dirlo perché ne ho conosciuto più di uno, spesso diversissimi e non comunicanti tra loro.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Diciamo che non inizio mai un lavoro pensando a un tema, parto da suggestioni e da una mia personale percezione e rielaborazione delle cose, il tema lo rintraccio dopo.
Mi interessano forme e fenomeni che non riesco a capire ma in cui sento qualcosa di vibrante e così inizio una ricerca. Dopo Irina Produktjions ho lavorato a un progetto sulla vita in luoghi tossici, my personal tarànto, che ha compreso uno spettacolo e innumerevoli performance, gadgets, fanzines, magliette. Poi, per due anni, ho continuato a lavorare sui luoghi attraversando l’Europa con Safari Here.
Poi c’è stato Surrogate Proliferation, una video serie online sul concetto di Surrogato.
Adesso il mio nuovo progetto Splendor Solis si basa su corrispondenze nel senso più poetico del termine. Ho messo insieme delle cose che mi piacciono, con un’intenzione quasi spirituale e senza razionalità. Nel primo studio, mostrato a Xing a Bologna qualche giorno fa, c’è un oracolo che risponde a delle domande e poi c’è un testo che inizia dagli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e dalla visione di H.D.Thoureau sul sole e i movimenti della civiltà e finisce con alcuni scritti dell’antropologo Michael Taussig che parlano in modo strepitoso del sole malevolente, del global meltdown che sta cambiando noi e il nostro linguaggio in un senso mimetico. Questa mimesi è la direzione.
È la prima volta che uso testi altrui e in particolare con Michael si è attivato un dialogo frizzante. Non si tratta delle solite cose moraliste, venite alla prossima performance di Splendor Solis e capirete.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Vivo a milano e da quasi un anno, non ci sono venuta per cercare ispirazione ma perché mi ero stancata della desolazione di Taranto. Mi spiego, per non alimentare pregiudizi sul sud, alcune città sono attive, ma Taranto, Taranto, ha tanti problemi (che riguardano comunque tutti voi).
A Milano le mie giornate si spendono tra casa, a volte qualche evento e soprattutto Quarto Cagnino, dove ho il mio studio e proprio lì accanto c’è una chiesa di Giò Ponti, mi è bastato vedere due finestrelle per riconoscerla, da lontano. Anche a Taranto avevo una chiesa di Giò vicina, è un bel segno.
Milano la sento come una griglia molto composta, c’è da trovare un assetto comodo e sincero, mi sento ancora un’ospite per ora.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Penso che ci siano pregi e difetti, può essere sia brillante sia svilente, dipende dai momenti e dai punti di vista.
Probabilmente, per essere un sistema migliore, potrebbe far defluire parte delle economie in un fondo per gli artisti che hanno problemi, fornire avvocati, psicoterapie, yoga, commercialisti specializzati. Ma anche per i curatori, così da superare momenti critici e uscirne con idee nuove e coraggio. Non è un’idea naif, assolutamente, potrebbe essere una cosa molto elegante.
Che domanda vorresti che ti facessi?
Qual è il suono di un cigno nero?
Immagine di copertina: Safari Here – courtesy l’artista, ph. Michal Szymonczyk
Intervista a cura di Marco Roberto Marelli