Francesco Fossati (artista visivo e coltivatore biologico per sua stessa definizione) è nato nel 1985 e oggi vive e lavora fra Milano e Lissone, piccola città della “Brianza velenosa” molto attiva nel mondo dell’arte contemporanea. Fra i primi, in anni recenti, a interessarsi delle oggi diffusissime realtà definite con l’omologante termine inglese “Project space”, è membro attivo dell’artist-run magazine E IL TOPO. Una visione organica della sua ricerca artistica condurrebbe verso l’ambiguo termine post-internet. In lui i media sono presi, stravolti e interrogati con ironia e profondità concettuale, i mezzi naturali e artificiali per fare arte perdono ogni aura residua facendosi prossimi al fruitore e a questa nostra società bisognosa d’affetto. Le sue ultime realizzazioni prendono piena coscienza del mondo in cui viviamo, si pongono l’obiettivo di essere il meno impattanti possibili sull’ambiente, riconducono alla terra in una maniera nuova e colta, 2.0.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Da una decina d’anni. Le differenze tra gli inizi e oggi sono molte, ma le più significative sono il focus della mia ricerca che da una prospettiva interna ai linguaggi artistici si è lasciata contaminare da esperienze esterne e poi da un punto di vista geografico, perché seppur mi sono spostato solo di pochi chilometri ,oggi mi trovo in un contesto molto più periferico. All’inizio lavoravo a Milano, oggi principalmente in Brianza, scelta fatta per affiancare alla mia pratica artistica quella agricola.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Da qualche tempo voglio che i miei lavori siano il meno impattanti possibili sull’ambiente, in qualunque posto produco un’opera cerco di usare materiali locali, quando possibile scelgo materiali vegetali e rigenerabili, nelle migliori condizioni li coltivo io stesso. Una tematica che mi accompagna da anni, ma non è l’unica che affronto, è il rapporto con la storia, la possibilità di riscriverla o quantomeno di reinterpretarla.
La primavera è un periodo denso per me, perché incomincia un nuovo ciclo in natura, è il momento della semina e quest’anno sto raccogliendo e facendo seccare del materiale vegetale per produrre dei pigmenti biologici con il fine di realizzare con essi in futuro un ciclo pittorico. Più nell’immediato, nel contesto di SHOT – inneschi contemporanei in polveriera, realizzerò un’opera pubblica nel Parco delle Groane, si tratta di un’azione svolta con la collaborazione della società agricola CDM che disegnerà a terra, tramite la semina di piante di canapa industriale, uno schema geometrico che unisce la visione medievale e modernista di progresso in un’ottica di sostenibilità. Con il passare delle settimane la canapa crescerà dando fisicità al progetto e ripulendo terreno e aria dalle polveri dei metalli presenti in quell’area che L’OMS ha identificato come la più inquinata d’Europa per quanto riguarda le polveri sottili e sottilissime. A giugno parteciperò a un evento collaterale della prossima Manifesta a Palermo, un progetto che sento molto vicino perché la mostra, curata da Marta Cereda e Laura Lamonea, prende spunto da alcune riflessioni del teorico francese Gilles Clèment, autore che con i suoi libri mi ha aiutato a strutturare un pensiero sulla mia recente produzione. Durante l’estate sarò invece in residenza nella Casa A, ideata dall’architetto razionalista Pietro Lingeri sull’Isola Comacina, per realizzare una serie di opere che si relazionano con la particolare biodiversità della piccola superficie dell’isola, infatti produrrò un gruppo di stampe ecologiche esclusivamente con materiali vegetali locali. In autunno invece realizzerò una grande opera commemorativa di una delle più importanti figure della politica e dell’ecologismo in Italia, il co-fondatore del Partito dei Verdi Alexander Langer. Il progetto avrà sede in un parco pubblico a Città di Castello, città dove Langer ha fondato la Fiera delle Utopie Concrete, l’ente che grazie alla consulenza artistica di Saverio Verini oggi vuole realizzare quest’opera che avrà carattere permanente.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Vivo e ho il mio studio a Lissone, ci sono nato e cresciuto in questa città quindi per me è normale stare qui. Ho un buon rapporto con il territorio, la mia famiglia e gli amici sono quasi tutti qui quindi mi sembrerebbe strano vivere altrove.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Penso che cento anni fa esisteva già ed era molto simile a come è oggi.
Che domanda vorresti ti facessi?
Nessuna, adoro il silenzio.
Immagine di copertina: Francesco Fossati, 2018 – Courtesy l’artista, ph. Eloisa Perego
Intervista a cura di Marco Roberto Marelli