Costanza Battaglini, classe 1991, vive e lavora tra Bologna e Torino. Nei suoi primi lavori fotografici, come Oggetti Sospesi, Nudo su parete, Marco dorme sempre l’osservatore si è ritrovato voyeuristicamente a spiare nell’oscurità della traccia. La Battaglini, infatti, coglie e seleziona i suoi soggetti evanescenti, rende fantasmagoriche, tracce – passaggi di materia – divenuti ombre oscure. L’artista è passata poi a una ricerca più materica e scultorea, utilizzando prevalentemente gesso ed elementi naturali (erbe, petali di tulipano, di rosa) come in Eriposa e la Genesi di un segreto, è qui riposto e muta – già, implicitamente, nei titoli dei lavori, si percepisce nella ricerca della Battaglini la propensione a una dimensione altra, di sonno, di sospensione dall’hic et nunc.
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Parlare di “esordio” lo trovo prematuro, perché si suppone che io abbia cominciato qualcosa ipotizzando un percorso in ascesa. Io non solo non mi sento su quella strada, ma credo addirittura di dover ancora fare le valigie.
Ho incominciato il mio percorso accademico 8 anni fa, e mi fa impressione pensarlo perché quello che raccogli in 8 anni di vita dovrebbe bastarti almeno come provvista per poter iniziare a muoverti in autonomia. E invece, alla fine, non basta mai, e me ne sto rendendo conto ora che sono in dirittura di arrivo (parlando istituzionalmente di accademia e non di vita).
Volevo fare l’illustratrice, oggi sto passeggiando (senza meta) dopo aver praticamente dimenticato l’idea, perché se prima la mia “maniera” era una penna Bic su carta da pacchi, ora ho imparato la sensibilità di una matita, l’efficacia di un’installazione, la difficoltà di una foto e la bellezza del non prevedibile.
La differenza tra i miei “esordi” e oggi è l’intenzionalità, che come conseguenza ha portato a un cambiamento nell’attitudine.
Prima vedevo il confronto come un motivo non necessario per mettere in dubbio il mio lavoro.
Ora, con il confronto “forzato” a cui mi hanno portato alcuni docenti e l’ambiente in generale, ho dovuto cominciare a dubitare, il che ha aumentato la mia sicurezza e consapevolezza.
L’unica cosa che non cambia è il luogo in cui poter lavorare, i progetti diventano sempre più ingombranti e difficili da gestire in cameretta.
Magari tornerò all’idea dell’illustrazione, almeno così avrei posto per i vestiti.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Credo che i lavori che realizziamo siano un po’ lo specchio delle persone che siamo, il riflesso di quella parte che non riusciamo ad ammettere o che stiamo cercando di capire; credo sia per questo, che in potenza, siano in grado di comunicare. Nonostante le differenze che ci contraddistinguono, siamo accomunati dall’essere umani e questo ci porta a punti di contatto molto frequenti, che se riconosciuti in altri individui, portano alla comunicazione e alla comprensione.
Non si tratta di “mal comune mezzo gaudio”, ma della possibilità di riconoscere in un oggetto altro un pensiero a cui non si riesce a dare forma. Con questo non voglio dire che sia terapeutica, ma per quanto mi riguarda, senza dubbio analitica.
Parlare di vita credo sia molto importante, parlare del tempo che passa, della paura della perdita, della morte, dei sogni, dell’amore in tutte le sue accezioni; credo che il miglior modo per comunicarlo sia il sussurro, qualsiasi forma e medium io decida di utilizzare.
Per i progetti, si vedrà.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
A me Bologna piace!
Sono venuta qua perché volevo fare illustrazione, e invece sono stata scartata al test di ingresso. Comprensibile, l’unico progetto illustrativo l’avevo progettato e realizzato in una settimana con l’unico ausilio di una stampante con scanner.
Sono venuta a vivere a Bologna perché mi hanno ammessa nella facoltà di “Pittura, arti visive”. Ora ringrazio la sorte, al tempo mi era sembrato un compromesso fattibile anche se non esaltante, viste le esperienza nella medesima facoltà a Torino.
Nonostante la mia scelta sia stata dettata dal cosa fare, Bologna mi sembrava perfetta, una città da vivere a piedi, piena di giovani, con i portici e quei muri rossi che sono così belli, ma così belli.
L’orto botanico dove raccogliere di nascosto qualche fogliolina di Stevia da masticare e sedersi sul prato a studiare o leggere o disegnare.
Quella dimensione quasi famigliare che si respira, perché il centro è quello e non si va molto oltre. Le stesse persone incontrate, per caso, che saluti ma non ricordi dove le hai conosciute, le inaugurazioni con la birra e il vino e un sacco di idee.
Bologna mi piace, ma non vorrei viverci per sempre.
Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Sinceramente
non lo so.
Ne
sento parlare e ho studiato a riguardo per forza di cose.
Credo
che prima di poter dire qualcosa ci si debba trovare in mezzo e se
succede è grazie alla tenacia, alla sfacciataggine, alla diplomazia,
magari per talento e conoscenza, cultura, simpatia, amicizia,
carisma, bellezza, antipatia, aggressività, silenzio, tempistiche,
padronanza dei mezzi, ricerca, promozione, pubblicità, soldi,
messaggio, ingegno, sensibilità, forza, stupidità, incoscienza.
Al momento non penso niente, perché fare una mostra in accademia per un progetto “x” non è il “Sistema dell’arte contemporanea”, che tra l’altro mi suona come il nome di un esame difficile da dare, e solo per questo mi da un po’ di ansia.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Vita
a cura di Federica Fiumelli
Instagram: cosbatt
Caption
Costanza Battaglini – Ph di Martino Zattarin
Eriposa, 2018 – Petali di tulipano su gesso, 11 tavolette dim. 11,5×15,5 cm circa, misure complessive d’ambiente – Courtesy l’artista
Genesi di un segreto, è qui riposta e muta, 2018 – Detail – courtesy l’artista