Nel raffinato e austero mondo dell’arte contemporanea, il cognome Farnsworth dovrebbe riportare alla mente la celebre residenza realizzata, nei pressi del fiume Fox, dall’architetto Ludwig Mies van der Rohe. All’interno dello studio-laboratorio di Carlo Gambirasio, tra apparecchi elettronici carichi di fili colorati, display abbandonati su ogni piano e funzionali mobili realizzati con pezzi di recupero, il termine fa chiaro e rapido riferimento a Philo Taylor, inventore del primo televisore elettronico della storia.
Quella dell’artista veronese è una vera e propria passione per la tecnologia. Colleziona fumetti di fantascienza e scova nella rete oscuri e rari “componenti” provenienti dal profondo passato ingegneristico made in URSS. Possiede doti tecniche e realizzative che lasciano a bocca aperta e mette in seria crisi la nostra concezione di artista. Attraversato il portone del suo luogo di lavoro, ci si ritrova catapultati nel futuro, un hacker/faber, dalle capacità quasi magiche, rende attuale il termine greco Τέχνη, riporta la produzione estetica al suo significato originario rendendola nuovamente quella conoscenza delle regole mediante le quali è possibile produrre un oggetto. Le sue non sono opere ma dispositivi privi di scopo pratico, strumenti capaci di trasmettere un concetto e di far riflettere sulle modalità di fruizione della realtà. Il suo fare pone domande sulle regole del mondo artificiale, non si abbandona a un futuro ormai programmato ma cerca di insinuarsi nel sistema per comprenderlo e modificarlo. Fuggendo dal fulcro del pensiero di Emanuele Severino, secondo cui non è l’uomo a guidare la Tecnica ma la Potenza della Tecnica a determinare i comportamenti e il futuro delle persone, Carlo Gambirasio svela i trucchi dei “signori delle macchine”, mostra come la tecnologia sia priva di anima e necessiti di un logos per essere utile e portatrice di senso. Strumenti e dispositivi sono solo mezzi la cui funzione ultima viene identificata attraverso il termine “Metànthroπia”. Coniata dall’artista stesso, la parola vuole evidenziare come esista un’autoevoluzione artificiale creata dall’uomo, che differisce da quella naturale per metodi e tempi. Un sogno umano che conduce ad accelerare i ritmi biologici e a piegare la natura alla propria volontà.

Nato nel 1994, la sua estetica si fa affettuosa e tattile come quella degli artisti suoi coetanei. In lui non vi è un ritorno verso le famose macchine celibi, non è presente, nel suo fare, la carica dissipatoria di Marcel Duchamp e neppure l’universo nichilistico e masturbatorio di Jean Tinguely. Il rapporto con la tecnologia è oggi intimo e personale, le “creature elettroniche” divengono compagni di cui prendersi cura, con cui giocare o essere seri. Il prodotto finale del suo creare nasce da pezzi di recupero e dalla competenza nell’assemblare cavi e circuiti stampati. Le opere sono fatte a mano, in prima persona, appaiono nella forma dell’oggetto in movimento ma prendono vita solo attraverso inattese esigenze spaziali e relazionali. Non sono sole, necessitano dell’interazione umana per essere, per produrre senso e stupore. Si interrogano sul significato delle nostre azioni, sulla natura stessa delle immagini e su come la percezione possa essere ingannevole, manipolata e relativa. Gambirasio non produce però dei semplici oggetti, le sue realizzazioni sono strumenti atti a comunicare un preciso concetto. La sua ricerca vuole essere quasi pedagogica, lo scopo è quello di informare facendo arte. In lui l’evoluzione che conduce dall’oggetto al comportamento si fa completa. Non più feticci da esporre ma concetti da vivere e agire.
La mostra Bodylight n°1 riunisce e sintetizza l’arte di Carlo. Varcata la soglia del project space Porto dell’Arte, realtà abitativa ed espositiva allo stesso tempo, ci si trova di fronte a una vasca piena di palline. Per mettersi in relazione con l’opera è necessario effettuare un ludico rito di passaggio, attraversare acque tonde e colorate per rinascere a nuova vita, per abbandonare il mondo di tutti i giorni ed entrare nello spazio della riflessione, dello stupore e del divertimento. Grazie a quello che Fabriano Fabbri definirebbe uno strumento “anti-verduroide”, veniamo distolti dall’ ipnotica routine tecnologica delle nostre vite e posti in un atteggiamento di attenzione, occupiamo il ruolo dell’artista divenendo attori di una performance. In formula: non siamo più apatici come delle rape. Solcato il nostro mare ai tempi dell’Ikea, sorridiamo, condividiamo l’attività insolita con chi ci sta intorno e siamo ben disposti a procedere nella nostra esperienza. Davanti a noi un piedistallo, al suo interno della sabbia non permette di vedere cosa si cela al di sotto. Siamo invitati a premere su di essa. All’improvviso il buio nella stanza e un potente fascio luminoso sgorga dal piedistallo. Quella luce ha però qualcosa di particolare, è calda e tattile, ricorda il colore della nostra pelle. La sabbia ha vietato ai fotoni di fuggire liberi costringendoli ad attraversare la nostra mano prima di invadere l’ambiente. L’esperienza personale si fa collettiva, immergiamo le persone presenti a Porto dell’Arte nel nostro corpo espanso. Un piccolo e rudimentale marchingegno ha reso il personale collettivo, ha diffuso nello spazio il nostro corpo virtuale, ci ha resi dispositivi wireless. La privacy è negata in un solo secondo attraverso una modalità così invasiva e potente da rendere banale ogni social network. La nostra mano si fa ottica e filtro di un dispositivo per la visione, concentra l’attenzione su una delle tematiche principali del fare di Carlo Gambirasio.

Il suo pensiero prende origine da un’attenta analisi della cultura visiva nella quale viviamo e pone l’attenzione sull’impossibilità di codificare attraverso un segnale finto, digitale, ogni tipo di rappresentazione sensibile. Il nostro mondo è pieno di immagini analogiche, prodotte attraverso un processo discreto che può essere semplificato ma mai riprodotto in forma identica. Il suono di uno Stradivari non può essere precisamente campionato, l’universo possiede un sorprendente potenziale che non può essere addomesticato. Dolce come un violino o violenta come la violazione della privacy, la possibilità dell’uomo di controllare la natura e i suoi simili non potrà mai farsi totale. Attraverso la mostra bolognese l’occhio fotografico si fa occhio culturale, pone delle domande e genera delle speranze, racconta il fare di un’artista che concentra la sua attività sulle produzioni di macchinari che si confessano inutili, servi di un pensiero che dona un senso alle loro potenzialità.
Marco Roberto Marelli
CARLO GAMBIRASIO
BODYLIGHTS N°1
a cura di Irene Angenica
4 Maggio – 6 Maggio 2018
PORTO DELL’ARTE – Via del Porto, 34 – Bologna
Immagine di copertina: Bodylights n°1 (detail), 2018 – Courtesy the Artist and Porto dell’arte, ph Matilde Cassarini