Giulia Bortoluzzi è nata a Pordenone nel 1987 e ricopre i ruoli di autrice ed editor, docente e curatrice. Laureata in filosofia contemporanea all’Università di Trieste, è specializzata in pratiche curatoriali presso l’École du MAGASIN di Grenoble.
Coordinatore editoriale ed editor per Triennale Milano, collabora all’organizzazione di mostre e progetti espositivi con istituzioni, spazi no-profit e gallerie private.
Per meglio conoscere la sua pratica curatoriale abbiamo dialogato con Giulia in occasione di Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora), progetto espositivo da lei curato per BUILDINGBOX, la project room della galleria BUILDING che coinvolge, nel corso dell’anno 2023, dodici artisti italiani invitati a riflettere sul tema dell’acqua.
Come si è sviluppato il tuo percorso di studi e quali pensieri cardine possiede la tua pratica curatoriale?
Sono arrivata all’arte contemporanea per passione; ho iniziato a muovere i primi passi in questo ambiente durante i miei studi universitari in Filosofia, inizialmente a Trieste dove ho svolto il mio primo stage alla galleria Lipanjepuntin e conosciuto la realtà editoriale di Juliet, una delle riviste italiane di settore più longeve assieme a Flash Art. Il piano di studi in Filosofia consentiva una certa libertà nella scelta dei corsi e io ho privilegiato quelli di Estetica e di Storia dell’arte contemporanea. Nel 2010 mi sono trasferita a Parigi per scrivere la mia tesi di laurea sul concetto di “estetica dell’esistenza”, del quale Michel Foucault parla nei suoi ultimi corsi al Collège de France. Studiavo a Paris 8 e nel frattempo scoprivo la scena artistica francese: ho lavorato in alcune gallerie finché, una volta laureata, mi sono candidata per la posizione di “mediatrice” alla Fondation Cartier e da lì mi si è aperto un mondo, soprattutto quando ho conosciuto la figura di Grazia Quaroni, conservatrice della Fondazione, per me un modello da seguire. Così decisi di applicare per la stessa “scuola” nella quale si era formata lei ovvero l’Ecole du Magasin – si chiama école ma funziona più come una residenza -, la prima in Europa per gli studi curatoriali che iniziavano a trovare una propria identità proprio negli anni Novanta. Fui selezionata assieme ad altre cinque persone ed ebbi la fortuna di cimentarmi in una mostra – condivisa con gli altri partecipanti e il direttore del Magasin – assai sopra le mie capacità ovvero la personale di Liam Gillick che si estendeva su più di 1.000 metri quadrati. Fu un’esperienza grandiosa che mi permise di imparare moltissimo. I miei pensieri cardine in ambito curatoriale sono nati in quegli anni di primi grandi approcci al mondo dell’arte contemporanea e sono maturati, sedimentandosi, nel continuo susseguirsi di più modesti ma selezionati progetti che ho avuto l’occasione di realizzare. Sono pensieri molto semplici che la parola stessa “curatore” riassume, ovvero il “prendersi cura di”, un altro tema che rimanda a Foucault. La mia convinzione è che sia necessario prima di tutto comprendere per poter restituire, il mio compito come curatore è di accompagnare l’artista nella ricerca della più sensata soluzione possibile di presentazione del proprio lavoro. Io posso solo prendermi cura di offrire la migliore cornice possibile all’opera, sia nell’esposizione visiva del lavoro quindi dell’allestimento sia in quella verbale cioè nell’usare le parole per raccontarla.
Nel tuo fare curatoriale come ti rapporti con gli artisti e come ti approcci verso la realizzazione di una mostra?
Come in parte già detto, ritengo che sia fondamentale comprendere il bisogno, la necessità e il linguaggio di un artista affinché si possa essere suoi portavoce. È auspicabile che si avvii un dialogo diretto, uno scambio reciproco, un percorso condiviso (se l’artista è vivente, altrimenti con chi ne garantisce la gestione). L’opera come l’artista va conosciuta e rispettata, non è uno strumento del curatore. Una mostra inizia sempre da e con l’artista, ciò che il curatore può fare è mettere in valore questo patrimonio, valorizzarlo, trasmetterlo.
Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora) coinvolge dodici artisti italiani invitati a riflettere sul tema dell’acqua, in dodici appuntamenti individuali a cadenza mensile: come nasce questa modalità espositiva e come hai selezionato gli artisti?
La modalità espositiva deriva da un’idea della galleria BUILDING, che sin dal 2018 ha voluto utilizzare lo spazio del BUILDINGBOX, una vetrina su strada fruibile dall’esterno 24 ore su 24, come un luogo indipendente in cui proporre opere legate da un fil rouge che si sviluppa nel tempo, invece che nello spazio. I progetti dei dodici artisti si susseguono secondo l’andamento ciclico delle maree vive (che si verificano mensilmente quando Luna, Terra e Sole sono astronomicamente allineati fra loro), quindi si alternano a ogni luna piena dell’anno. Abbiamo scelto di privilegiare il calendario lunare rispetto a quello solare per l’evidente legame col tema portante, cioè l’acqua. Ho espressamente voluto coinvolgere solo artisti italiani della mia generazione (nati tra gli anni Settanta e Ottanta) perché sono i miei, ma direi anche i nostri, diretti interlocutori; apparteniamo allo stesso panorama culturale e condividiamo simili riflessioni e preoccupazioni. In un primo momento ho condiviso con la Galleria le mie proposte e successivamente abbiamo continuato assieme a selezionare gli interventi da ospitare all’interno del BUILDINGBOX: alcuni di questi, ad esempio, sono nuove produzioni supportate dalla Galleria, altri invece costituiscono adattamenti site-specific di opere già esistenti.
Come nasce il titolo Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora) ?
Il titolo rimanda a una poesia di Eugenio Montale (Falsetto, 1923) raccolta in Ossi di Seppia, in cui l’autore, presentando il personaggio di Esterina come una “equorea creatura”, parla del mare come della vita e della meraviglia di vivere senza preoccupazioni per il futuro: “L’acqua è la forza che ti tempra, nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi”. L’immagine di Montale è rappresentativa della consuetudine umana di associare l’acqua all’esistenza. Mi sembrava che questa parola, “equorea”, attingesse propriamente allo stesso immaginario che desideravo restituire con gli interventi dei dodici artisti invitati. Quando ho proposto il titolo alla Galleria è stato subito accolto positivamente per il suo rimando evocativo.
Che direzione sta prendendo l’arte prodotta dalle più recenti generazioni di artisti e quali le tematiche che saranno percorse e indagate nei prossimi anni?
Non so rispondere precisamente a questa domanda, penso che le tematiche percorse e indagate dagli artisti, delle giovani ma come di tutte le generazioni, siano eterogenee come lo sono sempre state, sia a livello formale sia concettuale; le direzioni sono molteplici, piuttosto bisogna chiedersi quali sono le tendenze promosse dal sistema dell’arte, e in questo ci aiutano a rispondere, ad esempio, le grandi mostre come le Biennali o le istituzioni internazionali più dinamiche che con i loro programmi sono in prima linea nel definire il presente. Sicuramente ci vengono in mente tematiche legate, ad esempio, al femminile e più in generale ai corpi e a tutti coloro i quali vivono situazioni di minorità fino all’antispecismo, o ancora all’unione e al dialogo tra saperi e discipline quindi la transdisciplinarità, o alle nuove forme di espressione aumentate dal digitale, o anche il ricorrere sovente alla “cosa naturale” sia dal punto di vista della complessità biologica degli organismi sia in merito all’uso e alla sperimentazione di materiali nuovi o rinnovati – e qui il design incontra l’arte come, ad esempio, nella mostra Cambio dei Formafantasma promossa dalle Serpentine Gallery di Londra. C’è un interesse sempre più diffuso verso l’ambiente anche se a mio parere è necessario fare attenzione a non cadere nel fascio della “sostenibilità”, ormai troppo diffuso. Un tema importante del quale ci dovremmo occupare, soprattutto in Italia, riguarda invece la situazione lavorativa di coloro che fanno parte di questo sistema, come artisti, curatori e tutti gli “addetti ai lavori”, e sviluppare politiche e modalità vere di supporto; vanno studiate formule concrete di tutela e promozione, senza far affidamento esclusivo al privato. Contestualmente quindi l’arte dovrebbe essere alla portata di tutti, inclusiva e idealmente facente parte quotidiana della nostra vita.
A cura di Marco Roberto Marelli
Instagram: giulia.bortoluzzi
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Giulia Bortoluzzi – Courtesy Giulia Bortoluzzi
Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora) – 1/12. Barbara De Ponti – Installation view – Courtesy BUILDING, ph Ilaria Maiorino
Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora) – 1/12. Barbara De Ponti – Installation view – Courtesy BUILDING, ph Ilaria Maiorino
Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora) – 1/12. Barbara De Ponti – Installation view – Courtesy BUILDING, ph Simone Panzeri
Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora) – 2/12. Fabio Marullo – Installation view – Courtesy BUILDING, ph Simone Panzeri