Per molti anni della mia infanzia mi hanno regalato i cosiddetti “libri da colorare”: quei piccoli fascicoli che si possono trovare in qualsiasi edicola di paese e che aspettano solo di essere riempiti dalla fantasia cromatica dei bambini. Io, quelle pagine, le ho sempre lasciate in bianco. In realtà, quello a cui più mi dedicavo, era mettermi alla prova, tentando invano di creare una copia, che fosse il più verosimigliante possibile, alla quale seguiva, inevitabilmente, la frustrazione per la improbable comparazione tra un segno impreciso di un bambino e quello lineare stampato.
Proprio il confronto tra il disegno fatto a mano, quello meccanico e quello codificato del computer, è al centro della mostra auto-mático, realizzata presso il Centro d’Arte Santa Mónica di Barcellona.
L’esposizione presenta, Machinic Protocols: un’indagine dell’Instituto de Arquitectura Avanzada de Cataluña diretta da Edouard Cabay (che ne è anche il curatore) e che ha visto, negli ultimi 3 anni, partecipare più di 80 collaboratori di differenti campi professionali, per produrre un complesso di 120 disegni.
Le intenzioni di questa raccolta, vanno oltre alla questione rappresentativa, al bel segno o alla “mano accademica”; si focalizzano sul processo, sulla creazione e sul meccanismo che porta al risultato finale. Diventa, in questo modo, più importante il come del com’è.
La ricerca si compone di tre serie che si distinguono per il meccanismo di esecuzione.
La prima è Traces-drawing of energy: delle rappresentazioni bidimensionali di fenomeni naturali. Le onde del mare o la brezza del vento, hanno infatti trascritto il loro movimento (per un tempo di due ore) su dei fogli bianchi, lasciando una traccia d’inchiostro unica e irripetibile.
Con un’idea che ammicca alle sculture meccaniche e all’arte di Tinguely, in Scripts-anatomy of a drawing Machine, i disegni si compongono grazie a delle piccole macchine che, comandate elettronicamente, traducono differenti dati in segni materiali.
In ultimo, Plots-drawing triptychs, presenta dei trittici sviluppati e creati da tre distinti autori: l’uomo, la macchina, il computer. A ognuno di loro è stato consegnato un protocollo che dettava le indicazioni esatte di come eseguire l’opera. Le istruzioni si traducevano: in un algoritmo per il computer, in un testo per il disegnatore ed in codice numerico per il robot.
È interessante osservare come i tre lavori, posti a confronto l’uno affianco all’altro,apparentemente non si distinguono. Ci sono, senza dubbio, delle differenze, ma la somiglianza ribadisce quanto importante (e identico) sia stato l’ordine dato.
L’evento si arricchisce di altri due progetti che durante tutta l’apertura della mostra hanno continuato a produrre in loco nuove opere: uno è 8 fans and dancing pen dove una serie di ventilatori muovono una penna lungo un foglio e, l’altro è 10.000 ink drops on a dynamic canvas dove, come dice il titolo stesso, migliaia di gocce colorate sono cadute su una serie di tele bianche, creando geometrici disegni prestabiliti ma nei quali subentra anche la casualità.
La copia diventa così il pretesto per riflettere sull’ipotesi che vede la macchina come vero autore del progetto, su come il processo creativo possa essere lasciato “in mano” a un computer e l’uomo trasformarsi in semplice strumento per eseguire una serie di istruzioni date. Solo ora capisco come, forse già fin da piccolo, avessi inteso che, a volte, ciò che è veramente interessante non è quello che appare ma il come è successo.
Marco Tondello
EDOUARD CABAY
AUTO-MÁTICO
29 giungo – 07 ottobre 2018
Arts Santa Mónica – Rambla 7 – Barcellona
www.artssantamonica.gencat.cat
Instagram: artssantamonica
Caption
Traces-drawing of energy – Courtesy Machinic Protocols – IAAC
8 fans and dancing pen – Courtesy edouard cabay and mehmet berk bostanci
Machine 6 – plan view – low – Courtesy Machinic Protocols – IAAC, ph. Xavier González