#ArtissimaLive – Intervista a Lucrezia Calabrò Visconti

Lucrezia Calabrò Visconti è curatrice indipendente e, dal 2018, responsabile della torinese residenza per curatori internazionali della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Consulente della sezione New Entries di Artissima 2019, è curatrice, insieme a Guido Costa, di Abstract Sex: We don’t have any clothes, only equipment, progetto espositivo ideato da Ilaria Bonacossa e realizzato negli spazi di Jana, boutique sita nel centro storico cittadino.
In occasione di #ArtissimaLive, in collaborazione con ATP Diary, abbiamo dialogato con lei.


Con Guido Costa sei curatrice di Abstract Sex. We don’t have any clothes, only equipment. Al di là della forte componente visiva, in che modo l’aspetto sonoro ha interessato e sviluppato le tematiche della mostra?

È molto pertinente pensare a questo aspetto rispetto alla mostra. Vi sono due lavori, ad esempio, in cui la parte sonora viene quasi separata dalla parte video e diventa molto presente nello spazio. Il primo è realizzato da Steve Reinke, un video del 1996 dove un personaggio, Andy – che era un vicino di casa dell’artista – si masturba in un interno borghese, in un salotto che poi si capisce essere il suo. La colonna sonora è composta da una voce – quella di Andy stesso – che continua, meticolosamente, a elencare tutti i motivi per cui è stato scelto un determinato complemento di arredo, che indica come il divano crema stia molto bene con le colonne stile impero, come le cromie dello spazio dialoghino tra di loro, e così via…: è, in modo molto ironico, un commento sullo stereotipo dello “urban gay”, come definito dall’amore per il design d’interni da un lato e dall’esibizionismo sessuale dall’altro. Dal punto di vista allestitivo, abbiamo deciso di inserire il televisore che ospita il video in una nicchia lontana dall’ingresso della stanza. Quando lo spettatore entra, quindi, vede, prima di tutto, altri oggetti, che potrebbero a un primo sguardo sembrare complementi di arredo, come l’opera di Anna Uddenberg Psychotropic Lounge (II), e potrebbe pensare che l’audio stia descrivendo lo spazio che lo circonda, prima di scoprire Andy. All’ingresso della mostra, invece, il visitatore è accolto da un video di Josefin Arnell dove alcuni ragazzini ridono ossessivamente per produrre endorfine al fine di non sentire dolore quando si auto-inducono il vomito. Queste risate si sentono fin dallo spazio urbano fuori dall’edificio e sono molto forti nella stanza, caratterizzando fortemente l’ambiente. In generale, l’elemento audio è stato molto importante, un po’ come tutti gli elementi che non sono prettamente visivi, perché offrono la possibilità di ragionare sul desiderio in termini un po’ diversi da quelli convenzionali.



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In che modo il grande pubblico si può confrontare, senza cadere nella banalità, con le opere proposte, spesso dure e respingenti?

Questo è stato un pensiero presente per tutto il tempo in cui abbiamo costruito la mostra. Abbiamo ideato il progetto approfondendo una complessa e articolata letteratura filosofica e politica – che va dal femminismo alla teoria queer, al postumanesimo –, necessaria per entrare in connessione con le opere che abbiamo selezionato, e ci siamo resi conto, pian piano, che era importantissimo trovare un modo intelligente e immediato per condividere queste linee tematiche, che hanno bisogno di tempo per essere comprese e interiorizzate, con i visitatori. Eravamo consapevoli di star lavorando a una mostra realizzata con una fiera, che avrebbe richiamato un pubblico non soltanto di addetti ai lavori ma ampio e eterogeneo, e che volevamo rendere in grado di accedere a questioni che magari sembrano astratte ma in realtà ci toccano molto da vicino nella nostra quotidianità. Per cercare di sciogliere un po’ i temi complessi trattati in mostra abbiamo, quindi, identificato tre aneddoti storici, realmente accaduti, che si trovano all’inizio del catalogo. Volevamo fossero questi testi il primo contatto con il pubblico, tre aneddoti narrativi, quasi delle piccole favole contemporanee emblematiche delle mutazioni del concetto di desiderio nella seconda metà del Novecento: un evento risale ai primi anni dopo il secondo conflitto mondiale, uno agli anni Settanta e uno è legato alla più vicina contemporaneità. Da un lato contestualizzano le opere a livello cronologico, offrendo un mini-approfondimento storico dei momenti in cui le opere in mostra sono state create, dall’altro sono emblematici di una serie di temi che la ricerca sul desiderio fa emergere. Penso che questa strategia abbia funzionato bene, per far emergere attraverso queste piccole narrazioni una costellazione di concetti importanti da avere come bussola nella visita alla mostra. Detto questo, in generale, penso che dobbiamo essere molto fiduciosi nel pubblico, perché in questi giorni, in mostra, ho incontrato persone estremamente interessate, capaci di confrontarsi con temi attuali e complessi: sono davvero soddisfatta del dialogo che si è creato con loro. Ho da poco fatto una visita guidata a mia madre, per esempio: lei è un po’ il mio termine di riferimento rispetto all’accessibilità o meno dei progetti che faccio. Dopo un primo attimo di inquietudine rispetto a temi come quello dell’”analità”, per esempio, l’ho vista molto partecipe e sempre vicina ai concetti trattati – magari non conosceva terminologie “tecniche” come il termine “queer”, ma mi è sembrato a maggior ragione interessante vederla pronta a ragionare sulla sessualità e sul desiderio con linguaggi diversi da quelli a cui è abituata e assolutamente lucida nella sua lettura delle tematiche proposte. 

Grazie al tuo riconfermato ruolo di consulente per la sezione New Entries hai potuto seguire, in tutto il suo svolgersi, la selezione di progetti e gallerie emergenti. In quale modo le realtà presenti a Torino si sono confrontate con il tema Censura / Desiderio e quali sono, secondo te, i più attuali temi di ricerca presenti nel panorama artistico internazionale?

Non so se parlerei di tendenze; sicuramente, da quello che ho visto, gli artisti più giovani sono quelli più trasversali nel loro approccio al tema. Dal punto di vista del desiderio, sono stati in grado di realizzare delle prospettive che non necessariamente passassero attraverso l’esteriorità, che non necessariamente passassero attraverso l’erotismo, che non necessariamente passassero attraverso il concetto di essere umano o di una soggettività definita. Per citare un’artista italiana, Benni Bosetto ha realizzato un’opera specificamente per l’occasione della mostra – intitolata Cleaning -, e c’è stato un vantaggio nel poter lavorare scambiandoci testi e impressioni che hanno arricchito penso entrambe le nostre prospettive sui temi trattati. Nel suo lavoro si vede lo stesso substrato culturale e la stessa prospettiva che avevamo noi nel curare la mostra: è una cosa che ti riempie di gioia, perché la mostra è fatta dagli artisti e dal loro lavoro prima che dal nostro discorso culturale e curatoriale. Poi ci sono degli autori come Corrado Levi che, in maniera intergenerazionale, sanno costruire dei dialoghi davvero pertinenti con la contemporaneità; lo stesso è avvenuto, in misura differente ovviamente, tra me e Guido Costa nel curare la mostra. Guido ha una cultura pazzesca sull’arte e sul sostrato culturale e politico del desiderio fino agli anni Novanta, mentre io ero quella più vicina, anche per età, agli artisti più giovani, ed è stato davvero fantastico riuscire a costruire un dialogo comune in cui ritrovarci e identificarci entrambi, attraverso la ricerca condivisa sugli artisti. 

A cura di Marco Roberto Marelli


Abstract Sex: We don’t have any clothes, only equipment

30 ottobre – 3 novembre 2019

Jana – Via Maria Vittoria 45/A – Torino

Ideata da Ilaria Bonacossa, a cura di Lucrezia Calabrò Visconti e Guido Costa

Special Project Partner, Kristina Ti

Media Partner, Flash Art

www.artissima.art/abstract-sex

Instagram: artissimafair | Twitter: ArtissimaFair


Caption

Abstract Sex: We don’t have any clothes, only equipment – Foto Elisa Pera

#ArtissimaLive – Intervista a Lucrezia Calabrò Visconti – Foto Alessandro De Bellis

Abstract Sex: We don’t have any clothes, only equipment – Foto Elisa Nobile

#ArtissimaLive – Intervista a Lucrezia Calabrò Visconti – Foto Alessandro De Bellis