Colmare un pezzo di storia attraverso i linguaggi contemporanei

Giulia Moscheni
Armenia Studio, giovedì 7 ottobre 2021
Zone: 9 – Stazione Garibaldi, Niguarda


Armenia Studio conserva silenziosamente un pezzo amaro della storia milanese. Originariamente, il luogo che oggi ospita questo atelier, era parte del complesso degli Armenia Films, uno tra i più importanti studi di cinematografia della città. Tuttavia, a partire dagli anni Trenta la Cinecittà di Milano scompare e con essa anche la sua memoria che sopravvive nell’unica traccia rimasta di questa grandiosa realtà: l’iconica insegna posta all’ingresso del parco. Armenia Studio si presenta come un moderno open space diviso in sette spazi attraverso una serie di pareti comunicanti tra loro. Margaux Bricler, da artista, avverte la profonda sinergia che si crea all’interno dello spazio e che porta gli artisti a confrontarsi continuamente tra loro, dando vita a una produzione che si distingue per il carattere fortemente ibrido e poliedrico. Il lavoro esposto da Margaux prende forma in una serie di sculture dal carattere arcaico e animalesco; colpiscono una serie di zoccoli in gres, che sulla punta riproducono con grande mimetismo l’organo sessuale femminile: le opere si connotano di forte erotismo, che tuttavia non cade nel grottesco ma rimane essenzialmente pulito e ricercato. Di tutt’altra natura è invece il lavoro di Pietro Catarinella. Alcune sue opere recenti sono particolarmente degne di nota: quadri ricoperti da organza nei quali pittura e carta convivono con la deformazione digitale dell’immagine, in un’ottica di ibridazione dei linguaggi. Altri recuperano, nella loro ricerca, un passato a cui sono ancora legati: Mirko Smerdel, interessato al potere evocativo e narrativo delle immagini, propone una serie di scatti fotografici catturati a Barona – dove vive – di edifici dal sapore periferico e urbano e destinati a essere distrutti; affascinato dalla possibilità di restituire consistenza a ciò che è scomparso lavora attraverso la manipolazione e riappropriazione dell’immagine. Matteo Pizzolante recupera un passato legato all’ingegneria edile che, in un’era di produzione di immagini inconsistenti, lo porta a ricercare costantemente il rapporto con la materia: in un’installazione fotografica, accanto al lavoro di manipolazione di quest’ultima, troviamo l’elemento materico della stampa su cartongesso. Vicino all’impressionante tecnica che caratterizza le sculture di Matteo Vettorello, macchine dal funzionamento complesso la cui attivazione si manifesta solo con l’intervento del fruitore, Silvia Hell propone due fotografie prive di post-produzione, ciò che colpisce in tale semplicità è l’estrema ambiguità dell’oggetto fotografato che porta l’artista, e noi con lei, a riflettere sul confine tra artificio e natura. Infine, Andreas Zampella torna all’elemento figurativo e pittorico proponendo una serie di opere che colpiscono per la raffinata estetica tra realtà e rappresentazione.



fu 3. Agôn 5, destrimano, sinistrorso,courtesy of the artist
fu 4. Objects in the mirror are closer than they appear, 2021, courtesy of the artist
fu 5. MaisonMarginale #2, 2021, courtesy of the artist
fu 6. Empty hand, 2021, courtesy of the artist
fu 7. La prose du monde #15 (Euterpe _ Tyché), 2016, courtesy of the artist
fu 8. La prose du monde #18 (Un œuf, un œil), 2016, courtesy of the artist
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Margaux Bricler: memoria alla luce di una nuova narrazione

«I motivi ricorrenti della nostra memoria retinica si spengono nella calce e nelle macerie. Tacciono. E convocano, nel loro austero silenzio, i loro tutori assenti.»

Margaux Bricler, Stromboli, agosto 2017.

È una calda giornata d’agosto quando l’artista Margaux Bricler (Parigi, 1985), durante uno dei suoi viaggi a Ginostra, si imbatte nella visione paradisiaca dello Stromboli. L’immagine lontana di quel vulcano tanto magnificente nella sua austerità quanto terrificante nella sua potenza annientatrice, la affascina al punto da diventare metafora evocatrice per la sua produzione artistica. Ecco che emergono nella sua mente ricordi lontani, reminiscenze remote che forse il tempo ha tralasciato ma che – come lava – a un certo punto riemergono dirompenti, forte è il desiderio di mostrarsi. Nella poetica di Margaux Bricler, dal sapore arcaico come i viaggi condotti in luoghi di cultura sedimentati nella memoria collettiva, tutto risponde a questa logica. Quel flusso di coscienza a cui Margaux si abbandona mentre osserva lo Stromboli da lontano è la cifra distintiva della sua intera produzione artistica che per questo motivo non segue una narrazione consequenziale come accade nei racconti, ma si serve di momenti epifanici che solo in un secondo momento acquisiscono un senso di cui l’artista è consapevole. Sono quelle reminiscenze a fare da sostrato nella produzione di Margaux Bricler; l’artista, infatti, nel momento in cui comincia a lavorare a un’opera mobilizza in essa determinati riferimenti culturali, iconografici o concettuali, parte del suo bagaglio personale che attirano il suo interesse da diverso tempo e che proprio attraverso il processo artistico trovano forma figurata in un’opera concreta che sia scultura, fotografia o video. A un primo sguardo potrebbe sembrare che una simile modalità di esecuzione ricada in puro citazionismo, in realtà la Bricler è molto lontana da un inerte recupero della storia dell’arte in quanto nella sua opera fremono con urgenza il presente e le sue criticità; l’artista, come noi, è ben consapevole di essere parte di un mondo mosso da continui cambiamenti contraddistinti da crudeltà, ingiustizie, pericoli di cui intende riappropriarsi per sottoporli allo sguardo del fruitore attraverso i suoi lavori. Vediamo questa naturale predisposizione in Agôn 4, le vesti di Europa opera che invita ad armarsi di pazienza necessaria a sfogliare l’una dopo l’altra le diverse stratificazioni che la costituiscono. In linea con quella che Davide del Sasso definisce poesia «nel segno dell’essenziale» e che in Margaux Bricler viene controbilanciata dal carattere sensualmente grottesco di forme e colori, l’opera si compone di due semplici teli purpurei dal sapore sacrale che potrebbero in un certo senso ricordare le esperienze di Hermann Nitsch in seno all’Azionismo viennese. Lontana da questo tipo di poetica, in Agôn 4 l’aspetto performativo è piuttosto ideale, i teli secondo l’artista verrebbero immersi nelle acque del Mediterraneo che, a causa delle morti che quotidianamente colpiscono i migranti durante il disperato tentativo di approcciare terre sicure, sarebbero ormai cosparse di sangue. Tuttavia, durante il flusso di coscienza Margaux Bricler si lascia trasportare dalle suggestioni che il rosso vivo dei teli scatenano in lei e legge in questo colore un riferimento alla storia antica, nella fattispecie a quella dei fenici e alla loro tecnica per la produzione della porpora con la quale tingere i tessuti. ‘Vesti di Europa’ è quindi il risultato di più saperi che la Bricler sente di aver rimosso ma che attraverso il richiamo assumono forma figurata nell’opera. Un indissolubile connubio tra storia e memoria contraddistingue la produzione dell’artista come se attraverso la lettura e la comprensione del proprio passato per l’uomo fosse possibile intessere una nuova storia, forse migliore. È proprio questa la profonda sensibilità di Margaux Bricler: la sua produzione in apparenza legata a una sfera intimistica e personale si apre alla possibilità dell’universale, del coinvolgimento dell’individuo in quanto cittadino del mondo che ha contribuito a scriverne la storia. Storia e memoria emergono silenti anche nella ricerca del materiale che diviene occasione di interrogare la materia stessa, intessere con essa un dialogo risalendo al suo utilizzo originario: impossibile scinderla da ciò che è stata in passato, al contrario il suo passato deve assolvere alla funzione e alla messa in forma dell’opera nel presente. In Un’ottimistica sintesi della storia europea Margaux ripercorre quelle che sono state le vicende della nostra terra a partire da tre semplici panneggi in tessuto differente. Non a caso il primo di questi è in lana e propone una lettura di quella che a oggi è considerata una delle tecniche più antiche al mondo, la tosatura delle pecore per ottenere il vello. Il richiamo alla memoria è ormai evidente nella poetica della Bricler che in quella eterna dicotomia tra immateriale e concreto supera la narrazione visiva stessa appellandosi a quella sensoriale. Non siamo troppo lontani da quello che Marcel Proust sosteneva ne Alla ricerca del tempo perduto:la memoria olfattiva è in grado di richiamare nell’uomo reminiscenze affettive tuttavia, nel caso di Margaux Bricler, questa dimensione più letteraria lascia spazio al carattere essenzialmente carnale delle sue opere laddove l’odore che trasuda dal materiale si unisce al godimento animalesco e a tratti sensuale delle forme.

È quello che accade con Agôn 6, ritornavo a sognare lo stesso sogno lavoro tanto evocativo nella sua apparente austerità quanto diretto, composto da un panneggio in lattice e della creta sorretti da un parallelepipedo ligneo. L’odore acre emanato dal telo non può lasciare indifferente lo spettatore che sospeso tra dimensione reale e onirica, viene rapito misticamente dall’immagine che sta osservando; tipico della produzione della Bricler è il rifiuto di una fruizione puramente contemplativa in favore di un coinvolgimento attivo dello spettatore esperito attraverso i sensi. Incuriosito dalla particolare forma dell’opera il pubblico si interroga su ciò che osserva, il panneggio ricorda le lenzuola disfatte di un letto, come se qualche minuto prima del suo arrivo, un corpo avesse deciso di scendere da quel letto lasciando dietro di sé traccia della propria presenza. “Cosa ne è stato del corpo? Chi abita questo letto?” si chiede lo spettatore. In molte delle sue produzioni Margaux Bricler affronta la questione spinosa del corpo che emerge a partire dal rapporto dialettico tra presenza e assenza, tra un corpo presente concretamente e un corpo che scompare lasciando solo una piccola traccia. Nel primo caso il richiamo alla corporeità è puramente fisico e viene esplicitato tramite il contatto diretto con il materiale. Nell’opera Agôn 5, destrimano, sinistrorso Margaux realizza un braccio in alluminio a partire dal calco ottenuto attraverso il proprio arto. Successivamente va ad accostare la scultura al capo imitandone la posizione ed esercitando una sorta di ulteriore estensione della propria dimensione fisica. Un corpo “altro” che trova spazio fuori dall’autrice e che ricorda le operazioni di Giuseppe Penone con le mani in bronzo bloccate all’interno dei tronchi d’albero. Non una “semplice” rappresentazione quanto piuttosto una presentazione diretta della propria corporeità. La seconda modalità di realizzazione fisica si colloca nella categoria dell’assenza: nelle opere scompare la presenza fisica, eppure l’osservatore riesce a percepire questa stessa attraverso la sua indelebile traccia che diventa testimonianza del suo passaggio ma anche del suo eterno rimanere. In questo caso numerosi esempi sono quelli che alludono all’immaginario femminile come accade in Objects in the mirror are closer than they appear dove da una massiccia lastra di piombo emerge ben definita una gigantesca vulva. L’immagine è di una potenza indescrivibile, una rivendicazione della forza femminile che resiste persino alla durevolezza del piombo; o ancora nei piedi di caprino di Maison Marginale, al posto del naturale incavo dell’animale è possibile, scrutando con attenzione, cogliere la presenza di una vagina. Il piede di caprino attributo del fauno e simbolo del “maschio predatore” viene spodestato in favore dell’organo femminile che rivendica un proprio spazio e una propria sessualità. Trattare il corpo della donna per Margaux Bricler significa restituirle un nuovo spazio demolendo uno a uno i presupposti su cui la cultura patriarcale si è di fatto fondata. Ne deriva una produzione che decostruisce continuamente il tradizionale ruolo della donna impostogli dalla società facendo spesso leva su quella stessa narrazione stereotipata per proporre una nuova idea di femminile, è il caso di Empty hands un grembiule in lattice che allude alla dimensione casalinga ma in chiave totalmente rivisitata, il posto della tasca è stato conquistato da un fallo infilzato con un coltello: è finalmente in atto il processo di trasformazione della donna stessa.

Giulia Moscheni


www.margauxbricler.com

www.instagram.com/margauxbricler/

Instagram: walkinstudiospaziwww.walkinstudio.it


Caption

Agôn 5, destrimano, sinistrorso – Courtesy of the artist

Agôn 4, le vesti di Europa, 2018 – Courtesy of the artist

Maison Marginale #2, 2021 – Courtesy of the artist

Empty hand, 2021 – Courtesy of the artist

La prose du monde #15 (Euterpe _ Tyché), 2016 – Courtesy of the artist

La prose du monde #18 (Un œuf, un œil), 2016 – Courtesy of the artist