Confusione e rumore, nella loro modernissima variante luccicante e friendly, sono caratteristiche globalizzanti dell’epoca in cui viviamo. Privato e pubblico si uniscono sempre più in una continua accelerazione che genera un pensiero veloce e che elimina, in maniera apparentemente inarrestabile, il rifugio silenzioso della riflessione. Proprio dalla ricerca di uno spazio umano privo di “suoni caotici” nasce la mostra personale di Adrian Paci The people are missing. Realizzato presso i duttili spazi delle Galleria Kaufmann Repetto a Milano, il momento espositivo presenta il frutto della più recente produzione estetica dell’artista albanese che si muove fra l’ipnotico video Interregnum, due installazioni ambientali (Untitled e The people are missing) e la serie fotografica Malgrado tutto. Tutte le opere, quasi isolate nelle diverse sale della sede espositiva, conducono lo spettatore verso una riflessione che si fonda sul rapporto fra il corpo politico in cui ci muoviamo e il mondo intimo e privato del nostro Io in cui viviamo. Una riflessione che si inserisce all’interno di passate e attuali grandi tematiche storiche, analizzandole non dal punto di vista dei celebri personaggi ma zoomando sull’individuo che si perde nella folla, su quel volto quasi indistinguibile e per noi anonimo presente in tante immagini di archivio, su quell’uomo politico e massa che per qualcuno si fa amico, figlio o nonno.

Interregnum unisce e genera una narrazione sempre uguale nelle differenze, estrapolando e montando frammenti che ci mostrano alcuni funerali di dittatori comunisti tenutesi in diverse epoche storiche e in diversi luoghi. In interminabili file, il popolo si muove per rendere omaggio a un uomo e a un’idea, il dolore vive fra sincerità e dovere sui volti, e il suono continuo, che da voce e senso alle immagini, ci riconduce in un mondo in bilico fra la realtà e le magie cinematografiche del capolavoro di Fritz Lang.
Nella project room l’installazione Untitled mostra una vecchia doccia a gasolio in funzione. In un ambiente tanto intimo e familiare la presenza di un macchinario che resta intrappolato fra mondo antico e possibile uso attuale destabilizza la nostra visione. Il rumore e la presenza reale del fuoco, così vicino al corpo nudo, trasformano la stanza in uno spazio minaccioso che porta a indicibili memorie tedesche.
Malgrado tutto presenta le immagini fotografiche di muri incisi con simboli, segni e disegni. Sono quelle le pareti di un carcere dell’Albania comunista, spazio opaco e mitizzato dove il singolo diveniva un detenuto, la sua individualità si perdeva nella condivisione di angusti spazi per ritrovarsi poi nella libertà di un gesto grafico, nella volontà di documentare o solamente esprimersi per non perdere la propria singolare identità.
Un doppia scalinata bianca, fatta di file di gradoni in legno che si fronteggiano, mette a disposizione del pubblico una sala che appare quasi con un luogo pubblico di discussione dell’antica Roma. Lo spazio “vuoto” che da il titolo alla mostra, nel suo essere isolato e quasi sacrale, influenza il fruitore e chiede di essere “riempito” attraverso un pacato confronto, un dialogo ricco e calmo con la persona che ci sta letteralmente di fronte.

Adrian Paci nasce nel 1969 a Shkoder, nella città considerata la capitale culturale dell’Albania e la ricerca estetica da lui intrapresa è fin da subito fortemente influenzata dalla sua situazione di emigrante. Nelle realizzazioni il racconto del mondo in cui viviamo, degli uomini e della terra di origine si sviluppa attraverso una visione emotiva e familiare che non si occupa direttamente dei grandi eventi storici ma che presenta una realtà fatta di tanti piccoli racconti personali. Un mondo affascinante e reale che lo avvicina ad autori della sua stessa generazione come Flavio Favelli, dai quali lo differenzia però un suo personale linguaggio caratterizzato da un grandissimo portato emotivo spesso in bilico fra ansia e dolcezza. Attraverso una potenza emozionale che lo avvicina a Christian Boltanski, Adrian Paci ha condotto un percorso costellato da opere di successo che hanno generato una produzione culturale e un reale dibattito che smuove le menti e le coscienze. Partendo dalle sue prime opere realizzate dopo l’arrivo a Milano alla fine degli anni Novanta, dove è forte la componente pittorica (come ad esempio l’emozionante Cappella Pasolini del 2005), la sua produzione si è poi aperta verso svariati media utilizzati sempre con una precisa impronta personale, una firma ben evidente che ritroviamo nei lavori oggi presenti nella coinvolgete e profonda personale milanese.
Marco Roberto Marelli
ADRIAN PACI
THE PEOPLE ARE MISSING
29 marzo – 29 aprile 2017
GALLERIA KAUFMANN REPETTO – Via di Porta Tenaglia, 7 – Milano
Immagine di copertina: The people are missing, 2017 – wood, nails, 158 × 430 × 850 cm – courtesy Galleria Kaufmann Repetto, ph Andrea Rossetti