La mostra Zodiaco ha da poco inaugurato da Marsèlleria, nello spazio di via privata Zenia a Milano, dopo essere passata dalle gallerie CAR DRDE (Bologna), Hopstreet Gallery (Brussels) e Klemm’s (Berlino). L’artista e curatore della mostra Davide Bertocchi apre col botto il comunicato stampa, citando lo zodiaco di Gino De Dominicis, che di recente ho scoperto essere l’opera che anni fa insidiò nel giovane Roberto Fassone l’idea di fare l’artista. In effetti, l’Immortale ha aperto un solco incolmabile in ogni persona che ami il cielo e l’infinito, tra cui la sottoscritta. La conseguente fascinazione per il cosmo, il mistero dell’inconoscibile e del “chissà”, vien da sé. In questo caso, però, c’è qualcosa di più nella meccanica espositiva: si rileva sicuramente un elemento di gioco e di ironia, reso determinante dal rapporto con chi guarda. Ad esempio, passando di fronte alla panchina di G. Küng, su cui è incisa la frase “False Rewards are in the fruit – Find your joy in the pursuit“, mi è stato impossibile non pensare al Premio Cairo, il cui vincitore era stato annunciato pochi minuti prima di arrivare a Marsèlleria. Esattamente come quando si legge l’oroscopo: una frase vaga, sussurrata, che acquista un diverso significato in base all’esperienza singolare del lettore: “Rob Breszny ci ha dato anche stavolta. Diceva che mi sarebbe accaduto qualcosa di straordinario e infatti guarda, ho trovato due euro nella tasca del cappotto”.

La scaramanzia e la catena infinita di eventi causali in cui le nostre vite sono immerse, si collegano attraverso i lavori di Camille Henrot, vista nella Grande Madre di Gioni e anche qui divertente e provocatoria, ed Emilie Pitoiset col suo guanto fiammante e le scarpe, che fanno chiacchiericcio di signora solo a guardarle. A un’indagine più profonda, però, si può leggere altro. Prendete il metro lunare di Evariste Richer, che è dell’Ofiuco, proprio come me. Nella mia totale ignoranza in fatto di astronomia ci ho messo un po’ a pensare a cosa sia effettivamente il metro terrestre, e al perchè quello lunare dovrebbe essere più corto. Ciò mi ha portato a pensare alle convenzioni certe, che poi tanto certe non sono, le quali vengono intaccate da un giocoso dubbio insinuato quasi per caso. Potremmo scegliere di misurare le nostre vite su una scala diversa e pensare a quanto davvero siamo “grandi” nel nostro sistema di riferimento (sociale, solare), soprattutto dopo la scoperta fatta di recente, secondo cui la Via Lattea sarebbe ancora più grande di quanto pensassimo. E noi, qua, ancora più piccoli.

La dimensione spaziale assume tutto un altro significato e fa capolino come denominatore comune in tutti i lavori. Nei fratelli Quistrebert, di cui ricordo con un misto di affetto e simpatia i dipinti girevoli e luccicanti al Palais de Tokyo, le tele stanno in mezzo tra la dimensione reale, disegnata, e quella virtuale, potenziale. Allo stesso modo, Elise Cam propone la sua visione in disegni geometrici e astratti che rimbalzano da un lato all’altro della galleria, mentre poco più in là Elia Cantori rappresenta la traiettoria di uno sparo. Infine c’è Joris Van de Moortel, che con la polaroid tenta di catturare in uno specchio il riflesso del suo nuovo tatuaggio. Misurare uno spazio del genere è un’impresa pari forse al tentativo di Giacometti di calcolare e rappresentare la distanza tra mento e orecchio: lui ci ha visto un universo e l’impossibilità di continuare con la figurazione. Chissà cosa ci vedono invece questi artisti.
Claudia Contu
ZODIACO
a cura di Davide Bertocchi
9 novembre – 23 dicembre 2016
MARSÈLLERIA – Via Privata Rezia, 2 – Milano
Immagine di copertina: Zodiaco – exhibition view at Marsèlleria, Milano – courtesy Marsèlleria