Una palma, una scala e una cascata meccanica: da un teatro con spettatori incoscienti a un magazzino interattivo per nuove narrazioni

LEFLAIVE: Sire, questa avventura che volge al termine, ho l’impressione di averla sognata.

TALOU: Che importa! Non siamo forse in balia del caso? Nessuno comanda alle nuvole.

Così si concluse l’adattamento teatrale del folle romanzo Impressions d’Afrique di Raymond Roussel (1877-1933), messo in scena nel 2000 al Teatro Goldoni di Firenze. La prima rappresentazione, tuttavia, ebbe luogo nel 1912 al Théâtre Fémina di Parigi, e fu, come testimoniarono Marcel Duchamp, Picabia e altri ancora, un fiasco totale. Tra il lombrico suonatore di cetre, il nano Filippo con la testa normalmente sviluppata che eguagliava in altezza il resto dell’individuo e la statua fatta di stecche di balena che scorreva su rotaie di polmoni di vitello, gli spettatori erano completamente smarriti. La reazione più diffusa fu violenta e derisoria: gran parte del pubblico rideva a crepapelle e lanciava monetine sul palco. L’incoscienza regnava sovrana, la stessa che Guy Debord descrisse cinquant’anni dopo come conseguenza negativa dello spettacolo: “L’alienazione dello spettatore a beneficio dell’oggetto contemplato (che è il risultato della sua stessa attività incosciente) si esprime così: più egli contempla, meno vive; […]”.

Incosciente è anche lo spettatore che si addentra nella mostra Una palma, una scala e una cascata meccanica,non tanto per il senso di smarrimento che producono gli oggetti in sé, ma per la loro disposizione in un assetto teatrale quasi invisibile. Ex panetteria, la Galleria Moitre (Torino) si sviluppa molto in lunghezza; la seconda sala, coperta da un tetto ad arco, ricorda un magazzino teatrale. L’intervento dell’artista Fabrizio Milani (Varese, 1988) e della curatrice Simona La Neve (Cosenza, 1985) cerca di esasperare la suddetta architettura attraverso l’inserimento di alcuni espedienti come tende e telai. Questi elementi scandiscono lo spazio in quinte sceniche, che durante il percorso espositivo si fanno progressivamente più evidenti. La prima sala della galleria è illuminata solo da una lampada a incandescenza, mentre un divisorio in plastica semi trasparente svela le sagome degli oggetti al di là del separé. Sulla stessa superficie si riflette anche il pubblico, dando vita a un gioco di ombre involontariamente scenografico.

Spettatori inconsapevoli, la maggior parte dei visitatori si muove nel primo spazio alla ricerca di elementi da contemplare o di un senso da rintracciare, mentre i più spediti oltrepassano il separé. Qui parte della finzione teatrale perisce e gli oggetti, che prima si presentavano sotto forma di sagome irregolari, si rivelano agli occhi del pubblico. Una palma, una scala e una cascata meccanica non è solo il titolo dell’esposizione, ma anche la trilogia di opere presenti in questa seconda quinta scenica. Una combinazione insolita di elementi che cerca di evocare lo stesso senso di smarrimento dello spettacolo Impression D’afrique. La palma è fissata al suolo con un sacco zavorra in PVC, non molto distante da un palo, che, conficcato in un basamento di marmo, regge una maschera dall’estetica naïve e potenzialmente indossabile. Anche la scala è pensata per essere utilizzata dallo spettatore, ma purtroppo non ha lo stesso piglio interattivo del travestimento precedentemente citato e rimane un elemento ornamentale. Questa sezione è abitata da un ronzio costante simile a quello di un frigorifero in funzione. Si tratta del rumore proveniente dal dispositivo che muove la cascata meccanica, il quale fa scorrere inesorabilmente note icone americane stampate su un telaio di plastica. Il meccanismo è molto simile a quello adottato sin dall’antichità per creare quei fondali teatrali in movimento che facevano da sfondo alle performance sceniche, ma la singolarità del pattern rende protagonista effettivo l’immaginario americano. Lo scorrere delle icone è innescato da un motore che tende il telaio in PVC attraverso un sistema di rulli e aste in acciaio saldate tra loro. Un movimento lento, senza fine, che suggerisce la ripetitività delle icone Yankee, le quali si susseguono, tutte ugualmente impregnate di arrivismo e supremazia americana. Il pubblico è spettatore di questo moto incessante, che mostra il carattere transitorio, superficiale e monotono delle immagini.



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Nella terza sezione della mostra – quella con il tetto ad arco – i visitatori possono partecipare con più arbitrio. Vi si accede superando una rozza tenda biancastra che l’artista ha prelevato direttamente dal suo studio, la quale sembra preannunciare un camerino. In realtà l’ambiente ricorda più un magazzino teatrale, in cui lo spettatore può interagire con diversi oggetti di scena, taluni contenuti in una vecchia cassetta lignea, altri sparsi per la sala. Maschere circensi, sculture fiabesche e cocci colorati si possono muovere in un teatrino semi trasparente creando piccole narrazioni d’ombre. Alcune fotografie appese al muro mostrano possibili configurazioni degli oggetti, o meglio, delle loro sagome, che fondendosi danno vita a nuove e ambigue immagini. A metà tra la cameretta di un bambino autistico e un archivio di materiali strampalati, in questa stanza l’artista non solo mostra il suo immaginario, ma lo mette a disposizione del pubblico.

L’allestimento complessivo delinea una stratificazione spazio-temporale che suddivide le tre quinte sceniche in: un palcoscenico all’ingresso in cui il pubblico è inconsapevolmente spettatore; una seconda sezione in cui i visitatori entrano a contatto con gli oggetti ufficiali di scena; un magazzino teatrale interattivo dove i fruitori più disinvolti diventano attori o registi di nuove narrazioni.

Arianna Cavigioli


Fabrizio Milani

Una palma, una scala e una cascata meccanica

a cura di Simona La Neve

12 aprile – 28 maggio 2019

Galleria Moitre – Via santa Giulia, 37 bis – Torino

www.galleriamoitre.com

Instagram: galleriamoitre


Caption

Una palma, una scala, una cascata meccanica – Veduta dell’installazione, 2019, Galleria Moitre – Courtesy Galleria Moitre, ph Leo Gilardi