Bislacchi (1995, pseudonimo di Matteo Santacroce) è un artista da poco ritornato in Italia dopo aver vissuto e lavorato per un lungo periodo a Londra.
In occasione della sua residenza milanese presso Viafarini lo abbiamo incontrato per meglio scoprire la sua ricerca e la sua più recente produzione.
Per avvicinarci alla tua ricerca e alla tua recente mostra Camera con vista, vorrei approfondire il concetto di limite. Che significato ha nella tua vita e in te, in quanto artista?
È strano che tu mi faccia questa domanda perché non credo che ci possa essere una consapevolezza di limite nel lavoro di un artista. Però, per rispondere voglio fare una partenza al contrario e anziché parlare di limite parlerò di inizio.
Io credo un artista debba necessariamente avere un buon inizio come base di crescita del suo lavoro. L’inizio è fondamentale perché è il punto di formazione dove l’artista ha il bisogno di individuare bene le cose in cui credere e che poi vuole portare avanti. Questa scelta può accadere per diverse ragioni, un po’ per un’innata sensibilità ma anche per via di un certo tipo di educazione. Più l’artista arricchisce quel punto di partenza e più diventa illimitato il percorso di crescita della sua ricerca.
Io sono stato fortunato perché ho avuto la possibilità di iniziare bene. Infatti, sono scappato dal mio paesello appena ho potuto e sono andato a studiare a Londra, dove ho ricevuto una formazione a 360 gradi sia nell’arte sia nella vita. Perciò, per me il limite tra arte e vita assume un significato univoco e diventa così come un calcolo matematico, dove il limite è direttamente proporzionale al mio percorso di formazione.
Se vogliamo chiudere il discorso facendo riferimento al limite ma nell’ambito del lavoro, mi ricordo quando ero ancora in accademia e i miei tutor venivano nel mio studio per commentare le mie ultime creazioni. Spesso la domanda più comune che mi si faceva era “E che cosa farai dopo di questo?”. E io non sapevo mai cosa rispondere, principalmente perché facevo dei lavori con una certa predisposizione di continuità. Un buon lavoro è frutto di una ricerca approfondita ed essendo predisposto a una progressione costante non conosce limiti di fattibilità o di pensiero.
La tela nel tuo lavoro non viene canonicamente utilizzata come supporto pittorico per l’opera ma diventa opera stessa. Da cosa è dovuta questa volontà di andare oltre il materiale e concepirlo come architettonicamente definito? Wall of Canvas, un muro metaforicamente inteso, vuoi raccontarci qualcosa di più?
Fin da subito, c’è stata in me la volontà di capire che cosa fare con la pittura, nel senso più pragmatico possibile. Di conseguenza ho fatto un passo indietro, ho decostruito il quadro dalla sua funzione di supporto pittorico come viene tradizionalmente inteso. Ho avuto modo di lavorare con la tela e il telaio separatamente per ricongiungerli secondo un linguaggio visivo che comunque richiamasse l’idea del quadro.
Anziché dipingere direttamente sul supporto, avevo questo desiderio di tornare a sporcarmi le mani un po’ come si faceva con la pittura d’azione, incorniciando un gesto all’interno dell’opera e riscoprendolo attraverso un processo pittorico.
I movimenti di torsione della tela e il suo assemblaggio sul telaio sono ben presto diventati meccanismi di costruzione, delineati da un metodo che vede ogni singolo elemento di tela sequenzialmente disposto secondo un ordine prestabilito.
Così facendo si ritorna al concetto di quadro, ma fuori dagli schemi dell’intelaiatura tradizionale. Il mio quadro assume un suo rigore geometrico ma da una forma ricostruita che io traduco con la metafora del muro, anch’esso elemento rigoroso che sorregge il quadro e che come il quadro si costruisce.
Le tue opere sono un frame visivo degli scorci più affascinanti e suggestivi di Parma, come gli affreschi del Correggio e la facciata del duomo. In ognuna di esse si respira uno charme da piccola Parigi, l’aurea da bohème cittadina che la città di Stendhal trasmette inevitabilmente. Tutto questo è reso grazie all’uso estremamente preciso e attento del colore. È fondamentale la scelta delle tonalità cromatiche nel tuo lavoro?
Da pittore il colore per me è tutto. Molti mi dicono che è il mezzo d’identificazione più fedele del mio lavoro. E io dico, certo! È vero! E proprio in occasione di Camera con vista ho pensato al colore come elemento cronologico del percorso della mostra.
A tal riguardo, quando con Ilaria abbiamo pensato all’idea per la mostra, lei ha suggerito questa trovata della camera dove ogni opera diventa una finestra su qualcosa. Qui si ricollega un concetto sacro della storia dell’arte: il quadro inteso come finestra di rappresentazione. Tutta la pittura, a partire dal Rinascimento, non è che uno sguardo da una finestra. Perciò, volendo trattare tematiche storiche, ho preferito un allestimento tradizionale, dove la disposizione dei quadri e i loro formati fossero a livello di una finestra, presentandosi come un’occasione per condurre lo spettatore verso un viaggio con vista dall’interno di una stanza.
Partendo in ordine cronologico, dal Duomo a Correggio, che sono i miei ricordi di Parma, la mia prima tappa, il percorso continua con Camera che è una visita al Mantegna nel Palazzo Ducale di Mantova e segue con il Parmigianino, visto a Bologna. Infine, Selva chiude il ciclo di questo viaggio con un omaggio all’Italia, cioè a Dante per i settecento anni dalla sua scomparsa. In tutto ciò abbiamo lo spazio di Display, sede della mostra, che diventa anch’esso uno scorcio dalla sua enorme finestra, che invita il pubblico a vedere la mostra.
Le opere nascono da un tuo vissuto personale? Quando noti paesaggi che ti lasciano in un qualche modo un segno, scatti delle immagini o ti annoti qualcosa per ricordati quel momento?
Io penso tutta l’arte nasca da un vissuto personale.
Provengo da una famiglia di artigiani, fin da piccolo sono stato abituato a una certa manualità nelle cose. Mio padre e mio zio sono dei sarti, veri maestri del cucito a mano; mia madre lavora molto a maglia e spesso fa la pasta in casa. Veder usare le mani nel fare le cose è stato un passaggio fondamentale per la mia crescita artistica.
Quando ho iniziato a lavorare con le tele attorcigliate, un mio amico con cui condividevo lo studio mi disse che quello che facevo con la tela era uno sfogo involontario della mia incapacità a saper cucire. Riflettendoci, ho pensato fosse vero perché io non so cucire, non ci sono mai riuscito.
Molti altri artisti sfogano il loro vissuto nell’arte. Mi viene in mente Burri, il cui lavoro fatto di tagli, cuciture e lacerazioni è stato sicuramente segnato dalla sua esperienza come medico.
L’esperienza del cucire l’ho vissuta indubbiamente come un trauma perché non sapevo farlo e mio padre mi rimproverava della mia incapacità, forse perché ci teneva a trasmettermi quel mestiere. Questo ha avuto delle ripercussioni sul mio lavoro perché da queste memorie ho saputo ricavarne un pensiero.
Invece, quando sono in giro sicuramente annoto tutto quello che trovo interessante. Così come ho fatto per questa mostra a Parma, che è stata concepita durante una serie di viaggi tra Lombardia ed Emilia.
Vedo il tuo lavoro come una stratificazione archeologica di ricordi che si intrecciano tra i vuoti della tela, ma in questa memoria non utilizzi raffigurazioni collettivamente definite o parole testuali. C’è un motivo?
Io volevo avere a che fare con la pittura e ho scelto appositamente di confrontarmi col quadro e le sue problematiche. Dal momento che ho deciso di seguire questa strada, la rappresentazione, la scelta dell’allestimento, il formato, la tela sono tutte cose che richiedono da me una soluzione diversa da quelle già proposte. La stratificazione di cui tu parli per me non potrebbe esistere testualmente, sarebbe banale e non direi niente di nuovo.
Io cerco di risolvere il quadro basandomi ancora una volta sugli elementi che questo mi offre. Gli spazi vuoti tra la tela non sono vuoti, perché bisogna riconoscere la presenza del muro dietro. Penso che il muro e il quadro debbano lavorare insieme ancora una volta perché visivamente hanno bisogno di un rapporto di convivenza reciproco. E dicendo questo riconosco il fatto che i quadri oggi si appendano anche per aria o al soffitto e questo l’ho fatto anch’io.
Però il muro ha una sua storia e sono consapevole che è stato già preso in considerazione in passato da molti altri artisti. Nella pittura disseminata di Pinelli, il muro si riattiva. Pistoletto forse è stato uno tra i primi a fare del muro un vero protagonista. Nel 1964 mette un plexiglass contro il muro chiamandolo appunto muro. Quest’ultimo veniva percepito attraverso il plexiglass diventando soggetto dell’opera. Quelle erano le prime forme di concettuale in Italia.
Anche i Wall of Canva non sono solo dipinti che richiamano l’idea di un muro, ma il fatto che si possa intravedere il muro tramite quella finestra è anche un richiamo allo stesso. Gli ultimi lavori che ho fatto e che ho esposto durante l’open studio della residenza a VIR, mostrano il muro ancora più dei Wall of Canvas e questo è un aspetto che può diventare ancora più interessante nei miei prossimi lavori.
Prossimi progetti? A cosa stai lavorando?
Ho appena terminato il mio ciclo di residenza a VIR ma ho deciso di restare a Milano ancora un altro po’. Infatti, ho trasferito il mio studio negli spazi di TreTre, un nuovo complesso di Viafarini gestito da altri artisti. Ben presto dovrò ricominciare a lavorare in vista di una collettiva a Napoli verso primavera. Però cercherò di prendermi tutto il tempo per ambientarmi bene, cercando le nuove opportunità che questa città può offrirmi. Detto ciò, non escludo del tutto un eventuale ritorno a Londra, città che mi ha artisticamente formato e dove ancora ho il mio studio.
A cura di Francesca Rossi
Instagram: bislacchi
Caption
Bislacchi, Camera con vista, 2021 – Exhibition view, DISPLAY, Parma, 2022 – Courtesy Mauro Carbonaro
Bislacchi, Camera con vista, 2021 – Exhibition view, DISPLAY, Parma, 2022 – Courtesy Mauro Carbonaro
Bislacchi, Camera con vista, 2021 – Exhibition view, DISPLAY, Parma, 2022 – Courtesy Mauro Carbonaro
Bislacchi, Camera con vista, 2021 – Exhibition view, DISPLAY, Parma, 2022 – Courtesy Mauro Carbonaro
Studio shot Via Farini, Novembre 2021 – Courtesy Bislacchi Studio