Potranno mai le macchine essere senzienti? Oppure intelligenza artificiale, ingegneria genetica e ricerca scientifica e tecnologica saranno in grado di creare un’ibridazione tra l’uomo e le macchine (come già alcune esperienze raccontano)? Alan Mathison Turing – inventore dell’informatica e dell’intelligenza artificiale – negli anni Cinquanta si interrogava sulla possibilità della macchina di pensare, analizzando la questione in un leggendario articolo pubblicato sulla rivista Mind: Computing Machinery and Intelligence.
Riccardo Giacconi (1985, San Severino) prova a rappresentare qualcosa di questa prospettiva nella mostra Storyboard, prodotta in collaborazione con UNA galleria, fruibile presso il milanese Spazio Leonardo fino al 21 ottobre 2022.
In un futuro distopico-cinematografico le possibilità di ibridazione uomo-macchina sono state raccontate (Blade Runner, Io Robot, Ex Machina, Minority Report, Star Trek: Picard, etc.) ma non sempre con gli esiti positivi di NDR114-Andrew Martin, il robot positronico del film L’uomo bicentenario di Chris Columbus del 1999, tratto da un libro di Asimov. L’umanoide non è solo intelligente ma sviluppa una coscienza in grado di farlo innamorare – della figlia dei suoi proprietari Miss Amanda e della nipote di questa, Portia – fino al punto di sostituire le proprie parti metalliche assumendo un aspetto umano, e facendo richiesta al Congresso Mondiale per diventare membro della specie a tutti gli effetti.
In un presente storico caotico che implode a causa dell’agire umano, si fanno spazio teorie non così lontane dalla produzione cinematografica. Una macchina (LaMDA – Language Model Fot Dialogue Applications, da un progetto di ricerca sull’intelligenza artificiale di Google) è in grado di interloquire con l’uomo in “maniera particolare”, innescando il dubbio nella mente dei ricercatori sulle possibilità e opportunità di essere non solo intelligenti, ma di avere anche una coscienza artificiale. Secondo Blake Lemoine, informatico che lavorava al progetto di intelligenza artificiale di Google – ora sospeso dall’azienda per violazione dei vincoli di riservatezza aziendale, avendo rilasciato una dichiarazione al Washington Post sull’argomento – potrebbe essere una strada da perseguire attraverso studi più approfonditi.
Nella nostra conversazione con Giacconi, avvenuta in occasione dell’inaugurazione della sua mostra, parliamo della prospettiva futuristica che “è ancora in una fase misteriosa, poiché gli scienziati sostengono che le nuove forme di intelligenza artificiale non sono ancora tracciabili”. L’artista ci illustra la sua ricerca e l’interesse per due forme di animazione. “La prima è una forma arcaica che mette in campo esseri non umani” come le marionette che ne riproducono le fattezze, talvolta in maniera aderente alla realtà, seppur poi hanno bisogno dello stesso uomo per muoversi sul palco. “La seconda è una forma più contemporanea che riguarda il campo della robotica e dell’intelligenza artificiale”, aprendosi a questioni post umane e transumane. A questo proposito ci anticipa anche un prossimo progetto proprio nel campo della robotica, che presenta alcune affinità con le marionette.
Da un punto di vista tecnico marionette e robot presentano similitudini con gli umani, eppure non possono prescindere da essi. Vi è una sorta di dipendenza o interdipendenza, per cui nei primi l’apparente umanità assume i contorni di una rappresentazione arcaica e primigenia, avvolta in uno strato epidermico di emotività e sentimento. Nella seconda vi è un approccio futuristico, freddo al primo impatto poiché la materia è fatta di elementi metallici, apparentemente respingenti. In entrambe, emerge la volontà umana a rappresentare sé stesso sotto altre forme – pensiamo al teatro, al cinema, all’arte – per divertissement, necessità o per finalità diverse. Tuttavia, si profila nella storia evolutiva il desiderio di un superamento della natura umana per raggiungere una non-umanità, o un’anti-umanità che pone la discussione intorno a aspetti etici (e non solo) della ricerca transumana. Il dibattito socio-antropologico-storico non può solo considerare questioni fondanti in relazione cioè alle specie tra umani e non umani ma deve includere in questo panorama figure ibride che sono il risultato della ricerca tecno-scientifica e della quarta rivoluzione industriale (un complesso aggregato di saperi e tecnologie tra fisica, biologia, digitale, genetica, etc.). Una definizione che sebbene risalga al 2014, trova la sua affermazione con il World Economic Forum proponendosi obiettivi “promettenti o potenzialmente pericolosi” [Klaus Schwab, fondatore e direttore esecutivo].
Se la prospettiva storica porta con sé l‘entusiasmo della ricerca, soprattutto negli ambienti più progressisti, l’angosciante ignoto riservato alle specie viventi – saremo ancora umani? o umani eterodiretti? – alimentano sentimenti sviscerati anche nel corso delle ultime manifestazioni artistiche internazionali (la Biennale d’arte curata da Cecilia Alemani).
Il circoscritto contesto di ricerca di Giacconi concede però una visione ancora giocosa, tra rimandi al design degli anni Settanta come le tende di plastica all’entrata dei negozi, colori pop che infiammano gli ambienti immacolati dello spazio, e il metateatro che mette in scena il teatro di figura e la rappresentazione visiva contemporanea.
Le quattro opere in mostra sono il prodotto di una narrazione umana e tecnologica. Il linguaggio visuale fatto di segni e simboli è il risultato del generatore di testo artificiale InferKit. Tecnicamente è un modello linguistico basato su una rete neurale artificiale (ANN) capace di produrre dei testi. “Uno strumento non di recente produzione” aggiunge Giacconi, rispetto ad altri in grado di sviluppare un linguaggio più realistico come OpenAI [1].
L’artista ha inserito input esterni che hanno dato luogo all’elaborazione di sequenze di segni. Partendo dall’incipit del saggio di Heinrich von Kleist Sul teatro di marionett: “Mi domandò se di fatto non avevo trovato molta grazia in un qualche movimento danzante delle marionette”, la macchina ha originato il testo. Giacconi non conosce anticipatamente l’esito della sua azione di addizione, tanto che racconta come talvolta il risultato sia bizzarro, violento e imprevedibile. Alcuni elementi richiamati nel testo come l’albero, la chiesa, le mani legate, diventano immagini sulle tele di plastica colorata come in Storyboard #2 (Elements). La superficie è suddivisa in quattro porzioni di tenda, come fossero quattro finestre attraverso cui guardare la storia che scorre. Una contaminazione visivo-verbale restituita anche dal testo prodotto dalla macchina ricomposto su una tenda con fondo giallo.
La tecnica utilizzata fa uso di tessere di plastica che ricordano i pixel del linguaggio informatico. Pezzi separati che al pari di un puzzle possono essere assemblati in una combinazione di forme e colori. Ancora una volta Riccardo Giacconi segue un parallelismo tra la realtà tecnologica del linguaggio informatico del pixel e quella dell’opera tangibile. In entrambe la struttura è costituita da una griglia che prende forma secondo informazioni suggerite.
L’artista sfida l’enigma della casualità utilizzando anche strumenti matematici per produrre figurazioni. In Storyboard #4 (Cellular Automata) l’astrazione delle immagini è il frutto delle elementary cellular automata. Si tratta di strutture che basandosi su regole matematiche producono automi cellulari, griglie costituite da celle che possono avere caratteristiche diverse. Fu il fisico e matematico Stephen Wolfram, nel corso degli anni Ottanta, a definirle e catalogarle. Tale modello ha moltissime possibilità di applicazione, per esempio in fisica o biologia.
Storyboard #1 (Heads) evoca il mondo delle marionette mostrando quattro teste che dividono le superficie della tenda colorata. Un ambiente che ha imparato a conoscere bene attraverso lo studio e la realizzazione di un film, Diteggiatura (2021), che indaga il mondo di Carlo Colla & Figli (una delle compagnie più importanti nel settore). Un’opera cinematografica risultato del bando Artists’ Film Italia Recovery Fund di Schermo dell’Arte, presentato a Venezia in occasione della serata degli autori 2021.
Nel film il punto di vista è quello delle marionette, la cui rappresentazione materiale incarna un nuovo soggetto in cui riconoscere la finzione umana. Sembrano uomini ma non lo sono, e anche la storia narrata è frutto di un sapere non umano, perché generata dall’intelligenza artificiale. Due suggestioni provenienti da Heinrich von Kleist (Sul teatro di marionette, 1810), e da Alan Turing (Computing Machinery and Intelligence), sono inserite del sistema di elaborazione del testo. Nel primo libro i protagonisti sono due personaggi privi di identità, senza volto e senza nome, dove “L’uomo è una marionetta appesa ai fili del destino”. Nel secondo il potenziale pensiero della macchina è analizzato attraverso quello che viene chiamato il gioco delle imitazioni. L’esito di queste visioni umane e artificiali con InferKit è letto nel film dall’artista e performer Silvia Costa.
Tra imitazioni e ibridazioni Giacconi disegna una piccola parte di un ampio scenario che deve essere ancora scoperto. Nella previsione in cui oggetti e macchine potrebbero assurgere a una sorta di umanità virtuale provvisoria, è ancora una volta l’uomo a modellare le sue stesse imitazioni, che siano essi pezzi di legno o macchine antropomorfe. Siamo ancora in una fase sperimentale in cui le potenzialità della ricerca possono avere implicazioni positive: pensiamo al loro uso nella scienza medica, o in vari settori dell’industria. Eppure, nell’ignoto spazio di un futuro prossimo si delinea un paesaggio in cui l’uomo moderno è stato surclassato dal post umano e dal transumano. Vi è una tendenza sostenuta da un’ideologia e un fondamentalismo delle tecno scienze che ambisce a programmare nuovi modelli di società in cui fabbricare sistemi sempre più automatizzati, androidi e umanoidi dalle molteplici funzioni e utilizzi; e riprogrammare quel che resta dell’uomo. Lo scenario più plausibile, al di là di ogni distopica suggestione proveniente dalla letteratura o dalla cinematografia, vede un’uomo che perderà porzioni di libertà e di autodeterminazione in favore di una informatizzazione degli oggetti e dei corpi.
Elena Solito
[1] Open AI, laboratorio di ricerca co-fondato nel 2015 da Elon Musk, sviluppatore di GPT-3 un generatore di testo in grado di elaborare un linguaggio naturale.
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Caption
Riccardo Giacconi, Storyboard – Installation view. Spazio Leonardo, Milano, 2022 – Courtesy l’artista e UNA, ph. Cosimo Filippini