Postread(Y) intende svilupparsi come un arcipelago di contenuti connessi sulla piattaforma Forme Uniche. Oltre a raccontare la produzione di testi che riguardano il mondo delle pubblicazioni d’artista e dell’editoria contemporanea, offre uno spazio di lettura per estratti o anteprime di progetti editoriali, dal carattere transdisciplinare.
L’ospite di questo “numero” è il progetto curatoriale Roma Nuda, “uno spazio installativo” che si è sviluppato tra il dicembre del 2020 e il gennaio del 2021, accompagnato da una produzione editoriale, visiva e letteraria, nella forma di un libro e di un dvd. Il progetto che ha dato vita a questa ricerca è Miniera, nato dall’incontro tra Giuseppe Armogida e Marco Folco, realtà che ha dato alle stampe il suddetto volume.
Il testo svolge una narrazione di luoghi dediti al contemporaneo, non soltanto strettamente connessi alla pratica di arti visive, restituendo una mappatura dell’esperienza artistica capitolina degli ultimi anni. Attraverso sessanta conversazioni con attori della scena artistica e culturale, che intervengono attivamente in ambiti differenti come arte, suono e ricerca sul concetto di spazio, il testo offre una visione aggiornata sullo stato delle pratiche culturali esercitate da generazioni differenti.
Poco prima della seconda ristampa, attesa per aprile 2022, ospitiamo qui un estratto dal testo, la conversazione con Jacopo Rinaldi.
Roma nuda. 60 conversazioni sull’arte, pp. 385-388*
JACOPO RINALDI
Nel tuo lavoro è sicuramente centrale la questione dell’archivio. Penso ad All the World’s Memory, Harald Szeemann in his archive, Intervallo, Futurismo triste, My office today… Come ha chiarito Derrida, l’archivio non è un semplice deposito di tracce, ma è il perpetuarsi delle tracce nel loro produrre sia effetti permanenti di senso sia cancellazioni, oblio, rimozione. Cosa ti ha portato a lavorare su questa nozione?
Ho iniziato a lavorare sull’archivio con il mio lavoro sulla Fabbrica Rosa, lo spazio in cui lavorava il curatore e teorico Harald Szeemann. In quel momento non mi interessava guardare ai documenti, ma alla struttura stessa di un archivio: la sua architettura, i suoi spazi e il suo funzionamento. Quel lavoro mi è servito a costruire una sorta di teoria dell’archivio, che ho potuto sviluppare con la mia tesi specialistica. Tutti i miei lavori successivi a quel periodo risentono, nel bene e nel male, di quell’impostazione teorica. Il mio interesse per l’archivio come spazio fisico ha aperto la mia ricerca anche ad un secondo aspetto, che per me è molto importante e che riguarda il tempo. Quello che cerco di evitare è di trattare l’archivio con la stessa reverenza che si ha verso un sito archeologico. Il rischio che si corre nell’usare dei materiali del passato è quello di mettere in mostra dei reperti che difficilmente possono parlare al presente. Penso che un uso diverso dell’archivio possa aiutarci a comprendere il presente meglio di tanta cronaca contemporanea.
Però in Futurismo triste hai costruito una teca per il Manifesto del Futurismo, come se fosse un reperto da conservare.
È esatto. Penso che una delle teorie più radicali sull’archivio sia quella del Futurismo italiano. Il loro manifesto proclama di dare fuoco alle biblioteche, chiedendo inoltre, a chi li succederà, di fare lo stesso con loro. Con Futurismo triste ho realizzato una teca con all’interno una copia del manifesto. Questo mi permetteva di trasformare il testo in un reperto. Anche il manifesto più incendiario può essere tradito dal semplice posizionamento in una teca. Questo ti può dare la misura di quanto possa essere potente il ruolo esercitato da istituzioni come i musei, le biblioteche, gli archivi. Quel mio lavoro ha anche a che fare con la nozione di tempo, a cui facevo accenno prima. Ogni volta che si ha a che fare con materiali del passato c’è un rapporto con un’altra temporalità, ma cosa può raccontarci il passato sul tema del futuro? Con il titolo Futurismo triste volevo provare a raccontare come sia difficile oggi avere uno slancio simile verso il futuro.
L’ambiguità dell’archivio e della memoria emerge in All the World’s Memory, in cui crei un cortocircuito tra l’audio di un film di Alain Resnais, Toute la Memoire du Monde, e le immagini dei Google Data Centers.
Quel lavoro è di qualche anno fa. Era un periodo in cui il dibattito sull’uso dei dati personali da parte dei colossi digitali prendeva piede e per questo Google ha iniziato a realizzare dei video in cui raccontava i meccanismi di raccolta e conservazione dei dati all’interno della propria azienda. Con il mio lavoro ho provato a raccontare questo periodo accostando alle immagini di Google il sonoro del film di Resnais sulla Biblioteca di Francia. Si tratta principalmente di un lavoro di montaggio in cui le immagini e il suono si sovrappongono in una nuova narrazione. Questa nuova narrazione crea una serie di ambiguità e paradossi, quasi a voler seguire il principio secondo il quale la storia tende a ripetersi, ma come farsa.
Puoi parlarmi, invece, di com’è nato My office today?
Nasce da alcune lettere di Kafka in cui descrive il suo ufficio ed esprime il desiderio di volersi trasferire a Trieste, vicino al mare, nella sede centrale dell’azienda per cui lavora: le Assicurazioni Generali. Il mio lavoro consiste in una scritta su vetro che recita «mein Bureau heute» (il mio ufficio oggi) su tre finestre affacciate sul mare.
Alcune tue installazioni alludono in modo specifico alla storia italiana, in particolare alle vicende fasciste e al passato coloniale. Penso a Maradagàl, Intervallo…
Molte volte le storie che racconto riguardano il contesto in cui vivo. Spesso mi interessa lavorare a stretto contatto con le istituzioni che voglio coinvolgere e per questo è importante una vicinanza geografica. Intervallo, ad esempio, è nato dalla mediazione tra due istituzioni: l’archivio storico dell’Istituto Luce e le Ferrovie del Sud Est. Il lavoro consiste nella sostituzione delle tende di un treno con dei tessuti su cui avevo stampato un secondo di una bobina di un notiziario dell’Istituto Luce. Ho potuto realizzare questo lavoro grazie al fatto che vivo a Roma, dove ha sede l’Archivio Luce, e grazie ad una lunga residenza per artisti in Puglia, dove operano le Ferrovie del Sud Est. Al momento ho messo da parte alcuni lavori che necessiterebbero di una ricerca in altri Paesi. A volte provo a cercare qualche residenza per artisti all’estero per il solo desiderio di realizzarli.
Nel video Real Chernobyl intrecci la questione delle fake news con la crisi climatica.
In questo video racconto la storia di Thomas Garenq, un videomaker che ha falsificato il primo video su Chernobyl dopo il disastro. Ho sviluppato il mio video ricercando i luoghi delle riprese di Garenq e delle trattative con le televisioni. Durante la lavorazione, però, ho intrecciato la trama di questa storia con alcuni episodi della cronaca più recente.
Sapresti rintracciare un nucleo essenziale, un elemento comune in grado di collegare tutto il tuo itinerario artistico più recente?
Forse il nucleo riguarda più la pratica che l’opera in sé. Tutti i miei lavori di questi ultimi anni nascono da una comune pratica di ricerca, che poi spesso ha avuto sviluppi eterogenei.
Quali artisti ti hanno particolarmente influenzato?
Ultimamente sto guardando al lavoro di Jill Magid e a quello di Jonathas de Andrade. Ho amato molto Félix González-Torres, la fotografia di Luigi Ghirri, il lavoro grafico di Peter Saville.
Qual è, invece, il tuo rapporto con Roma?
Roma mi piace, ma è anche molto bello andarsene.
Su quali progetti stai lavorando in questo momento?
Sto lavorando sulla figura di Gaetano Bresci, l’anarchico italiano che sparò e uccise re Umberto I, e sul suo rapporto con la fotografia
*Roma nuda. 60 conversazioni sull’arte, a cura di Giuseppe Armogida e Marco Folco, progetto grafico di Giandomenico Carpentieri, Miniera, Roma, 2020.
Instagram: minieraroma
Caption
ROMA NUDA, Miniera, Roma, 2020 – Courtesy Miniera
ROMA NUDA, Miniera, Roma, 2020 – Courtesy Miniera
Jacopo Rinaldi, Intervallo, 2017. Stampe su cotone, dimensioni variabili – Courtesy l’artista e associazione Ramdom
Jacopo Rinaldi, Archivio Szeemann (Ripetizione, riproduzione, ristampa), 2017. Tecnica mista, dimensioni variabili – Courtesy l’artista.