Zona Blu è un giovane collettivo di artisti nato nel febbraio 2020, formato da Nicola Tineo, Viola Lo Monaco, Eduardo Luongo, Federico De Lorentis, Maria Vittoria Cavazzone, Ines Song, Micheal Lo Monaco, Maya Colella e numerosi collaboratori.
Il nome indica un’area demografica e/o geografica del mondo in cui la speranza di vita è notevolmente più alta rispetto alla media mondiale. Le riflessioni sulle qualità poetiche della natura e del paesaggio umano e sui linguaggi dell’arte e della cultura contemporanee, ne definiscono l’identità proteiforme di laboratorio sincretico, incubatore culturale, atelier aperto e luogo di nascita di idee creative.
Per meglio scoprire questo progetto abbiamo dialogato con il collettivo.
Zona Blu è un collettivo venutosi a formare molto recentemente nell’ambito della laurea magistrale all’Accademia delle belle arti di Brera. Ci raccontate chi siete? Quando e perché avete dato vita all’associazione?
Abbiamo iniziato con precedenti esperienze nell’organizzazione di serate di musica elettronica, aggregazioni ai centri sociali ed esperienze di associazionismo, che ci hanno portato a coadiuvare le personalità artistiche all’interno di queste dimensioni, sia nel panorama della musica elettronica, sia per quanto riguarda l’aspetto visivo attraverso le esposizioni, fino alla creazione di un gruppo di artisti.
Non abbiamo avuto precedentemente l’esigenza di creare una sede perché ci appoggiavamo a questi spazi con i quali collaboravamo. Successivamente questa esigenza si è palesata, volevamo creare uno spazio con un focus sull’arte contemporanea.
Le prime problematiche sono state di carattere economico, c’era la necessità di formare un gruppo per poter prendere uno spazio. Se ne è parlato per qualche anno tra alcuni di noi.
La sede di Zona Blu è stata per due anni semplicemente una abitazione/studio per chi la frequentava, nell’ottica di creare un’entità tutelata a livello istituzionale per dare spazio sia agli artisti emergenti sia alla sperimentazione e convogliare la musica elettronica e l’arte visiva che sono i due pilastri della cultura contemporanea. I soci fondatori siamo io, Nicola Tineo e Viola Lo Monaco e abbiamo aperto l’associazione anche con Eduardo Luongo, Ines Song, Maria Vittoria Cavazzone, Maya Colella, Federico De Lorentis e Michael Lo Monaco.
Quindi avevamo un gruppo eterogeneo tra scultori, pittori, fotografi e artisti terapisti.
L’intenzione è stata fin dal principio quella di far diventare l’arte un’esperienza catartica, una sorta di vera terapia dell’anima, di renderla fruibile il più possibile e spezzare i meccanismi elitari che per troppo tempo l’hanno caratterizzata.
Da questo sodalizio Zona Blu ha aperto le porte al pubblico ed è diventata anche sede di residenze artistiche per due volte all’anno tramite “open call”. Zona Blu è uno spazio espositivo, dove si cerca di esporre anche opere e progetti non istituzionalmente riconosciuti.
Gruppi locali come Tramonto Volume, Retribe, Cloudwatchers, Lavorazioni Carni rosse e Millesuoni hanno la possibilità di esibirsi con l’intento di creare una commistione tra club e spazio espositivo, ovvero un sincretismo tra il contemporaneo musicale, che è un punto di incontro della cultura giovanile per eccellenza e quella che è la cultura artistica visiva, senz’altro più di nicchia.
Che cosa significa per voi abitare uno spazio?
La logica dell’abitare uno spazio che è anche uno spazio espositivo nasce da una ricerca, che si basa sulla riflessione dello spazio espositivo in sé, quindi un’indagine su nuove modalità di svolgere le mostre e sulla possibilità di integrarvi la realtà quotidiana.
Non a caso il nome Zona Blu indica delle aree geografiche nel mondo dove la qualità della vita è migliore, la filosofia dell’arte terapia si è legata molto a questo modo di concepire lo spazio espositivo; l’arte terapia diventa davvero un mezzo per apportare dei miglioramenti nello stile di vita del singolo. Lo status quo del mondo dell’arte attuale si rivolge o comunque rende partecipe una nicchia ristretta di persone, questo è dovuto in parte alla sua stessa mercificazione che la rende consequenzialmente elitaria ed è proprio ciò che l’arte terapia combatte nel tentativo di comunicare a tutti il proprio tempo ed il proprio mondo.
Questa riflessione indaga i modi di rendere l’arte accessibile, di portarla nelle strade e aumentare la sua capacità di interazione con il pubblico.
Come diceva James Jones: “le arti sono sempre state importanti per la salute di una nazione, ma non l’abbiamo ancora capito”. In ogni era l’arte è stata l’approccio più immediato e fondamentale per capire il mondo, una volta che un messaggio è accessibile a tutti, tutti possono comprenderlo o almeno hanno la possibilità di farlo. L’arte è considerata un bene superfluo, poiché rimane subordinata a delle problematiche anche di carattere economico, ma dovrebbe essere un bene primario, in quanto tutti sono legati al visivo e al sonoro, che sono due canali fondamentali per connettersi al mondo.
Uno dei vostri progetti è Situ Festival; che cos’è per voi l’arte sacra e che cosa vi ha spinti a proporre un festival site-specific all’interno delle chiese? Qual è stato l’impatto sul territorio?
Il progetto è nato sempre dalla volontà di proporre spazi espositivi diversi. Cercare delle chiavi di lettura insolite. Militello è un piccolo paese che però ha 32 chiese, che connotano quello spazio.
In antichità esse fungevano il ruolo di “galleria”, era un’arte su commissione certamente, ma ne favorivano comunque la massima espressione e la necessità ideologica e intellettuale di riconfrontarsi con la parte più spirituale di sé stessi, in opposizione alla visione capitalistica e digitale odierna. L’intento è stato favorire una riflessione in senso spirituale, partendo da quella di chi ha potuto lavorare all’interno di questi spazi.
Una volta gli artisti non potevano dichiarare esplicitamente quello che pensavano, lo facevano attraverso dei simboli codificati, delle allegorie. Oggi c’è molta più libertà, l’artista può esprimere in maniera sincera la sua visione della spiritualità e fare i conti con uno spazio espositivo che non è un “white cube”, vuoto e incontaminato, ma deve entrare in armonia con luoghi che hanno già un loro vissuto estetico molto forte.
Qual è stato secondo te l’impatto sul territorio?
Situ Festival ha sicuramente avuto un duplice effetto. Uno estraniante per la popolazione abituata a dei canoni visivi e stimoli culturali appartenenti a una struttura sociale diversa, e uno ammaliante per la sua capacità di attrarre ed incuriosire.
La residenza si è sviluppata come un vero e proprio processo di educazione tra il pubblico e l’artista che lavorava, il tutto accentuato dai laboratori d’arte terapia svolti nei luoghi di ritrovo del paese, che hanno di certo alimentato una interazione ancora più forte con gli abitanti. Ovviamente c’è stata un’affluenza anche da altre città, ma sicuramente la parte più interessante è stata vedere come la struttura sociale di Militello fosse colpita da un lato in senso positivo dall’evento e dall’altro sia rimasta comunque in un certo senso sospettosa e diffidente.
Senza ombra di dubbio si sono instaurati dei meccanismi di curiosità, di sviluppo e apertura mentale, una diffidenza iniziale si è evoluta in uno spettro di emozioni più ampie, molto positive.
C’è stata una vera contaminazione tra modi di pensare e abitudini agli antipodi, molto interessanti da un punto di vista antropologico.
Uno dei vostri ultimi progetti è stato Performa24, potete raccontarci di cosa si tratta?
Questo progetto è stato un po’ ispirato da Situ Festival, infatti una delle performance dell’evento, fatta dal gruppo di una dozzina di persone chiamato Assabinidica, ha attraversato il paese di Militello partendo dal centro storico e ciascun componente sollevava un lenzuolo composto da varie parti ricamate assieme. I performer sono diventati un unico organismo, le loro vesti rosso purpureo contrastavano con il candore bianco di questo lenzuolo, il tutto ha ammaliato gli spettatori, creando un vero e proprio fil rouge tra loro, gli artisti, la città ed il suo intero patrimonio culturale. Questo ci ha portati a volerci soffermare maggiormente sul concetto di arte performativa, in quanto è un linguaggio capace di innestare una forte e profonda interazione con il pubblico. Di conseguenza abbiamo coinvolto un altro collettivo che ha partecipato alla manifestazione, Daylight, per impostare un progetto di performance come atto unico diffuso per tutta la città di Milano, della durata di 24 ore. Gli ambienti presi in considerazione per l’evento sono sia studi, sia spazi espositivi sia luoghi pubblici.
Di recente avete attivato un sodalizio con Tufano Studio. Quali sono i progetti condivisi e perché avete dato vita a questa collaborazione?
Tufano Studio è lo studio di un’artista da cui prende il nome. La cooperazione tra i nostri spazi è nata da vari punti in comune. Tufano è un artista che ha lavorato tra la fine degli anni Settanta e gli anni Novanta, appartenente a quella generazione di artisti denominata “Fluxus”.
Il mondo in cui lui concepisce questo spazio è molto simile a quello in cui noi concepiamo la nostra sede. Tufano Studio è esso stesso una casa, un’associazione che si presta ad ospitare anche altri artisti. Questa visione così simile di rendere l’arte fruibile a 360 gradi è stata senz’altro il fulcro di questa collaborazione, tanto è vero che una frase che Tufano usa molto nel suo lavoro è “fare arte facendo fare arte”. Da qui nasce questo scambio di mostre semestrale all’interno dei relativi spazi; l’inaugurazione è avvenuta con Climax, progetto che riflette sulla società contemporanea con un focus sul periodo pre e post pandemico. Attualmente proponiamo la mostra Surplus di Federico De Lorentis, che ci porta ad analizzare il concetto di superfluo; lavoreremo con Tsamani Tovar Nino, Yara Piras, Francesco Sgarlata, Roberto Mondin, Ines Song ed Eduardo Luongo che creeranno un palinsesto mensile all’interno del progetto “i lunedì da Tufano”.
A cura di Maria Dalle Vedove
Instagram: zonablu_
Caption
Collettivo Dayligh – Performance del collettivo Daylight durante Situ Festival, SITU Festival 2021 – Courtesy Situ Festival, ph Michael Lo Monaco
Collettivo Dayligh – Performance del collettivo Daylight durante Situ Festival, SITU Festival 2021 – Courtesy Situ Festival, ph Michael Lo Monaco
Climax – Mostra realizzata all’interno del palinsesto “i lunedi da tufano“, 2022 – Courtesy Zona Blu
Zona Blu, Perimetro Fluido, Walk-In Studio, 2021 – Courtesy Zona Blu, ph Nicola Tineo