Se il paesaggio è simbolico. La natura attraverso Linda Carrara

«La natura, spontaneamente e forse senza intenzionalità, fa ciò che l’artista ama indagare» ha scritto la pittrice Linda Carrara, marcando l’affezione per ciò che ha visto e appreso nella sua terra, nel luogo delle sue origini. «Sono nata a Villa d’Adda, sulle rive di quel fiume che sgorga dalla terra in Val Alpisella, a Sondrio». Così ha esordito richiamando a sé pittori e pittrici che con lei potessero contribuire all’esposizione di una sua mostra. Da qui un titolo, Se il paesaggio è simbolico (Galleria Boccanera, Milano), il quale assume i tratti di un’ipotesi, un patto e una convenzione che genera, giacché mette insieme, unisce e tentativamente conchiude (Sýmballo).

La natura è rapporto, si potrebbe dire al di fuori della tiritera faziosa che divide le parti tra chi la difende a spada tratta e chi la rigetta a ruolo marginale. Eppure, ripensandoci bene, la vexata questio dell’uomo e della natura è vecchia storia, a tal punto che già alla fine del Quattrocento a Venezia si percorrevano vie differenti che ribaltavano, ad esempio, le visioni prospettiche fiorentine; poiché l’uomo della Serenissima, ha osservato Pierluigi De Vecchi, «non è centro e ordinatore di un universo che domina razionalmente, ma fibra di un tutto con cui vive in armonia». Un ideale che più di altri ancora oggi vuole appartenerci, malgrado le speculazioni e nonostante le tentazioni che vorrebbero il paesaggio inamovibile e lasciato per se stesso, come se con l’essere vivente non centrasse più nulla. 

Leonardo Da Vinci lo aveva scritto. Aveva annotato della «bramosa voglia di vedere le varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura». Una provocazione questa, volta più che altro al tentativo non di definire cosa sia la natura e, nel suo specifico, il paesaggio, ma interessata a imparare ciò che del medesimo paesaggio non si può comprendere. Il paesaggio ci rende critici, poiché è di per sé simbolo (Sýmbolum), un segno dal quale si presume o si desume; dal quale, ancora meglio, dice l’etimologia, si argomenta. Tanto è vero, continuava Leonardo, che «se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di varii misti», con attenzione «potrai li vedere similitudini di diversi paesi» e «vi troverai ogni nome e vocabolo che tu t’immaginerai». Leonardo era forse il più moderno di tutti. Moderno per noi che della nostra contemporaneità ancora fatichiamo a tracciare le linee essenziali, e moderno per il pittore che dal segno inizia e, con lo strumento del mestiere, mostra argomentando. L’esposizione, quindi, diviene in se stessa l’ipotesi di uno scenario composto di segni eterogenei, argomentata sì, ma con gli occhi, le mani e il metodo dell’artista. 

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Le cinque tele verticali di Linda Carrara, disposte una sopra l’altra, concorrono a denotare La vertigine del paesaggio (2022), dalle grafie più raffinate fino alla pura gestualità. Un intero vocabolario che insorge e gioca con le profondità, i piani sovrapposti e gli orizzonti alti e bassi delle vedute. Movimento e alterità rivelano le superfici, poiché ogni cosa in pittura si genera in superficie e, al contempo, dal gesto e dal segno la superficie è generata (Sulla superficie; Sulla superficie II, 2019).  Oltre la copia posticcia della natura, ciò che conta sono le “varie macchie” descritte da Leonardo, le quali determinano l’opera d’arte come fonte originaria che indagando se stessa, indaga il mondo.
Sorprende l’intuizione della pittrice e l’istigazione che l’esposizione nel suo insieme porta con sé. Cos’è che nasce con l’opera d’arte, quando non si tratta più di un calcolo o della concrezione di un’idea? Quando ogni elemento di essa pare insorgere prepotentemente dal mezzo stesso?

La pratica di Lorenzo di Lucido sembra varcare il limite, e se qualcosa si può riconoscere nei suoi dipinti è per via di una consequenzialità di segni giustapposti l’uno sull’altro senza soluzione di continuità. L’immagine è trovata, intuita forse, e di conseguenza, rivelata una volta ancora. Un quadro a cui segue di norma un altro quadro (2020), oppure Falena notturna (2021), così come le sculture in cera d’api e fuse in alluminio di Fabio Roncato, se da un lato convogliano l’immaginazione e ne lasciano intendere le profondità visive, dall’altro ci ricordano che un atto artistico è un atto di profonda vulnerabilità (Momentum; Momentum IX, 2020). L’immagine incidentale e l’immaginazione come accadimento che sfiora la verità del mondo, la verità incognita della quale non si distrugge il mistero, ma che inevitabilmente si manifesta con sintesi e armonia. La memoria dell’infinitamente piccolo nelle opere di Giuseppe Adamo è dovuta alla variazione tonale, al movimento trasparente e fluido della stesura materica e cromatica (Deal; Basolato, 2022). Un evento e un episodio, ma anche un sentiero che oscilla tra la libertà creativa e l’avventura più estrema, come nel caso di Silvia Giordani, delle sue rielaborazioni di oggetti raccolti in un archivio virtuale. Immagini che si astraggono e, mediante processi specifici, si rimescolano evolvendo in stesure piatte che annullano l’identità dei luoghi, e mettono in crisi il loro rapporto con lo spazio, ma per tradurre e indicare nuove geografie, nuove forme (Barena, 2020; Erosion, 2022). Allora, la grammatica della pittura e la grammatica della natura, che siano in qualche modo connesse? È possibile che l’una ci riveli qualcosa dell’altra, posto che l’antica distinzione tra astratto e figurativo, tra concreto e immaginifico capiamo non avere più senso d’esistere? La forma è una dinamica, la figura fissata nel tempo della sua evoluzione, risolvibile e irrisolta, che suggerisce anziché definire. Si dirada, come in un paesaggio, come nelle visioni che Vera Portatadino ritrova e rimugina dispiegando e unendo nel momento istantaneo di un’immagine. La forma delle cose che verranno (The Shape of Things to Come, 2023), mescolanza di indizi cosmici (Space Soup, 2018), un elemento qui e uno là, nell’insieme del paesaggio che «possediamo all’interno», diceva Giuseppe Penone: «Un paesaggio da percorrere, tastare, conoscere con il tatto, da disegnare punto per punto come il battere del bastone del cieco decifra lo spazio che lo circonda».

Luca Maffeo


Instagram: boccanera_gallery

Instagram: linda.carrara


Caption

Se il paesaggio è simbolico, 2023, Installation view, Boccanera Gallery, Milano – Courtesy Boccanera Gallery Trento/Milano. Ph. Luca Meneghel.

Linda Carrara, Sulla superficie, 2019 – Se il paesaggio è simbolico, installation view, Boccanera Gallery, Milano, 2023 – Courtesy Boccanera Gallery Trento/Milano. Ph. Luca Meneghel.

Se il paesaggio è simbolico, 2023, installation view, Boccanera Gallery, Milano – Courtesy Boccanera Gallery Trento/Milano. Ph. Luca Meneghel.

Fabio Roncato, Momentum IX; Momentum, 2020 – Se il paesaggio è simbolico, installation view, Boccanera Gallery, Milano, 2023 – Courtesy Boccanera Gallery Trento/Milano. Ph. Luca Meneghel.