Off Topic è una conversazione che si focalizza su un’unica tematica, tralasciando le opere o le mostre. Lo scopo è quello di raccontare non solo un* artista ma anche l’apparato teorico e l’immaginario che soggiace alla sua produzione.
La condizione dell’essere umano nel sistema economico capitalista è il punto di partenza dal quale Pietro Ballero (Torino, 1992) sviluppa i propri lavori. Partendo dal consumo, l’artista analizza le modalità in cui l’individuo viene plasmato, disegnando il ritratto di una società in balìa del tempo inafferrabile. Per comprendere quale sia l’influenza del sistema economico sulla nostra condizione, abbiamo deciso di parlare di insicurezza e timidezza.
In Introfada: Lotta antisistema del militante introverso di Hamja Ahsan la società viene letta secondo una differente dicotomia: l’estroversismo e l’introversismo. Il testo, nel suo essere molto radicale, racconta la fondazione di uno stato per persone timide, autistiche e introverse, contro l’estroversismo imposto dall’economia e dal sistema politico, per garantire una tutela a chi ha diverse necessità e indole. Tra le varie teorie inserite all’interno del libro, vorrei soffermarmi su quella del “Trendy Club”: lo stato ideale dell’umanità liberata dove impera la condizione estroversa. Questo club, che sembra assomigliare agli “iperoggetti” descritti da Timothy Morton, accoglie solo il mainstream, escludendo tutte le identità underground, non conformi e outsiders. Questa dinamica influenza ogni aspetto della vita dell’individuo e, nel caso del mondo dell’arte, condiziona la produzione e le modalità del nostro stare (o meno) nel sistema.
Percepisco il trendy club in ogni ambito, ha spazi definiti di cui avverto i confini in maniera concreta. Allo stesso tempo, credo che l’introversione e l’estroversione siano solo modalità che vengono messe in atto in base al contesto e al momento che si sta vivendo. Se una persona mi chiedesse se sono introverso o estroverso, non saprei dare una risposta netta. In un ambiente neutro, famigliare posso essere assolutamente estroverso e capace di essere quasi egocentrico, mentre in altri momenti tendo a misurare ogni comportamento mio e di chiunque altrə. Se da una parte l’introversione e l’insicurezza, attivando un senso di paura e di inadeguatezza, tendono a proteggerci dalle minacce esterne, dall’altra demarcano una sorta di distanza dall’altrə. Probabilmente è solo una mia fatica, qualcosa che devo ancora affrontare.
L’introversione è sicuramente un sistema di difesa, ma altera la percezione dell’esterno. Credi che il punto di arrivo sia quello di essere estroverso?
Non lo so, credo che sia più complesso di così perché le dinamiche relazionali che si creano con le altre persone non sono definibili a priori. Quando ho finito il master a Venezia, sono tornato a Torino perché è una città attiva culturalmente, dove avevo l’impressione che il sistema dell’arte fosse florido. Ho preso uno studio e mi sono messo a lavorare. Questo non basta però, perché il mondo dell’arte si basa anche sull’evento, dove si creano delle occasioni costruttive non solo per creare rapporti, ma anche per conoscere pratiche diverse e personaggi interessanti. Alla prima occasione di poter partecipare a qualche opening o situazioni simili, mi assaliva la voglia di scappare o di non parteciparvi proprio: trovavo delle scuse o facevo una breve visita per vedere le opere in una data mostra, ma non mi fermavo nemmeno un attimo in più a chiacchierare con le persone. Nel mondo dell’arte spesso faccio fatica a sentirmi completamente a mio agio perché ho la sensazione di dover performare per sentirmi adeguato, nonostante io abbia provato a essere più estroverso. Il sistema economico capitalista impone di vedere il profitto in ogni situazione, anche nelle relazioni e nei rapporti che si creano, influenzando il comportamento del singolo il cui pensiero è rivolto verso un possibile guadagno. Vorrei poter coltivare una sorta di resistenza. Mi piace credere che ci siano altre tipologie di relazione, nonostante una certa misura di strumentalità sia connaturata.
Questo mi ha sempre messo a disagio. Siamo cresciuti in parallelo alla creazione di una cultura globale, che ha generato delle false aspettative. Le multinazionali americane peroravano il sogno americano al suono degli slogan di Adidas e Nike “Just do it”, “Impossible is nothing”. La mia mente si è formata anche su quei claim ed è stata bombardata da frasi motivazionali. Per un po’ di tempo ho pensato davvero fosse semplice, che avrei potuto fare e avere qualsiasi cosa solamente facendo, ma la realtà ha generato in me molta insicurezza. Credi che il pensiero motivazionale, la pubblicità, gli slogan e la vita scintillante dello star system abbia contribuito a fomentare le nostre insicurezze?
Ne sono convinto, perché condivido con te la stessa esperienza. Anche io sono stato contagiato dalla convinzione che “se davvero ci credo, posso farlo” e tutte le altre frasi retoriche. Ad esempio, ti dicono che per fare l’artista devi percorrere una strada difficile, dura e senza sicurezze, ma allo stesso tempo c’è quella convinzione che però niente è impossibile, perché se senti che quella è la tua vocazione, allora in qualche modo sarai in grado di realizzarla. Poi ci si rende conto che il mondo è più complesso e non è fatto solo di successi ma, anzi, soprattutto di insuccessi e fallimenti. Nella mia esperienza il fallimento non è di per sé una cosa negativa, anzi molto spesso ha un potenziale generativo, nonostante sia difficile rendersene conto in quanto porta con sé una dose alta di sofferenza. Detto questo, la retorica dello slogan credo che abbia condizionato molte persone della nostra generazione. Nel lavoro che ho presentato a Spazio Su Buono a nulla, ho utilizzato il testo degli spam che intasano la mia casella di posta elettronica, concentrandomi sugli slogan motivazionali e su quelle frasi che ci condizionano e ci alterano: “Cambia la tua vita oggi! Il futuro è nelle tue mani”, “Perdi peso in 21 giorni senza fatica”, “è la tua più grande occasione”. Nel contesto socio economico nel quale viviamo viene creato il bisogno di dover soddisfare qualcosa o qualcuno, o di essere sempre performante, perché puoi essere capace di portare a termine ogni impresa. Però, poi ci si chiede “E se non riuscissi a fare questa cosa, sarei accettato comunque?” “Cosa succederebbe se non ci riuscissi?”, “Chi sono io nel momento in cui non ce la faccio?” Perché, di solito, l’impronta che viene data alle nostre imprese ci fa credere che esse determinino chi siamo noi.
Lo crediamo perché viviamo in una società che ha introiettato la competizione neoliberista. Nonostante il mondo sia cambiato a causa della decrescita del benessere economico, del 11 settembre, della grande accessibilità a internet, gli standard sono rimasti inalterati, forzandoci a vedere il pianeta in costante evoluzione e crescita. I grandi fallimenti mondiali dell’inizio del Duemila, come quello di Lehman Brothers, non hanno influenzato minimamente le modalità di rappresentazione del mondo nelle pubblicità e simili. In questo contesto, ci sono dei modelli per la nostra insicurezza, timidezza e introversione?
Più che cercare un modello che possa rispecchiare l’insicurezza e darci una direzione diversa, dovremmo basarci sulla logica d’insieme, di un gruppo di persone. Se guardiamo il singolo ci sarà sempre una dinamica di potere da dover affrontare, un qualcosa a cui aspirare, una spinta a trasformare la nostra personalità. Dovremmo tendere al comunicare nonostante l’insicurezza e la timidezza, a un modo per comunicare a una collettività. I social network – nonostante abbiano come presupposto quello di evidenziare il singolo, sviluppando possibili risvolti negativi per la nostra condizione psico-emotiva – sono potenziali armi per istanze diverse da quelle neoliberiste. Infatti, riferendosi alla nascita di internet, rete largamente accessibile, si può notare come il presupposto fosse quello di lavorare come una collettività, con scopo sovversivo. Poi il pensiero economico ha preso il sopravvento, creando un altro internet, quello di Google e Facebook, trasformandolo nell’ennesimo paradiso del profitto.
La trasformazione di internet è stata raggiunta sempre applicando le norme neoliberiste. Qui, e anche nel mondo reale, l’identità del singolo viene messa in primo piano, diventando un modello per la creazione del profitto. Per questo le aziende che utilizzano la rivendicazione dei diritti civili e della diversità generano un profitto elevato – che spesso non è speso a favore delle identità utilizzate per crearlo.
Sfortunatamente, qualsiasi cosa urgente e giusta nel mondo può essere contaminata dal desiderio di generare profitto. Terry Eagleton, in Le illusioni del postmodernismo, sostiene che il liberismo sia contraddittorio in quanto le stesse condizioni intese a promuovere il viver bene servono solo a pregiudicarlo: “Finché i diritti individuali includeranno basilarmente i diritti di proprietà […] lo Stato liberale genererà proprio l’ineguaglianza e lo sfruttamento che contrastano quel viver bene che intendeva promuovere. Non tutti, infatti, saranno in possesso dei beni primari occorrenti per aprirsi una propria strada verso la felicità. Alcuni saranno privi delle necessarie risorse materiali e spirituali, compresa quella stima altrui che può fondatamente considerarsi una componente essenziale del benessere umano”. In questo contesto bisogna cercare di far parte di posizioni differenti, rivendicando il singolo all’interno di una collettività. La pubblicità ti dice che sei un individuo diverso da tutti gli altri e che puoi far rendere la tua diversità. Siamo tutti d’accordo – no, forse proprio tutti no – sul fatto che la diversità vada protetta ed evidenziata, ma allo stesso tempo è importante cercare di capire che nei fatti non siamo poi così diversi e possiamo far parte di una collettività, anche se siamo riservati o meno estroversi.
A cura di Gianluca Gramolazzi
Instagram: pietro_ballero
Caption
Pietro Ballero, È amore vero, 2021 – Neon, poster, 270×30 cm / 200×300 cm, site-specific installation – Courtesy the artist and Blam
Pietro Ballero, LOL, 2019 – Fine arts prints, inflatable baloons, gift wrap ribbons
variable dimensions, Conserveria, Turin – Courtesy the artist and Associazione Culturale Azimut, ph. Marco Ronca
Pietro Ballero, You Still Have Time, 2019 – Celebration paper banner, 60×120 cm – Courtesy the artist, ph. Lin Chun Yao
Pietro Ballero, Thank you, come again!, 2019 – Virtual diary, more than 398 receipts, instagram from Jannuary 1th to December 31th, 2019 – Courtesy the artist
Pietro Ballero, Buono a nulla, 2020 – Flyers, trolley, schoolbag, variable dimensions, Spazio Su, Lecce, IT – Courtesy the artist and Spazio Su, ph. Grazia Amelia Bellitta