Off Topic è una conversazione che si focalizza su un’unica tematica, tralasciando le opere o le mostre. Lo scopo è quello di raccontare non solo un* artista, ma anche l’apparato teorico e l’immaginario che soggiace alla produzione artistica.
Le sculture di Luca Petti (Benevento, 1990) si strutturano a partire dall’osservazione del mondo animale e vegetale, per sviluppare una riflessione sui loro rapporti, ma anche sulle dinamiche che caratterizzano il contemporaneo. Così, abbiamo parlato di Antropocene.
Per quanto non ci sia una data certa dell’inizio dell’Antropocene, la scoperta dell’America, con la successiva globalizzazione e la nascita di un mercato unico, ha avviato un processo di sfruttamento naturale da parte dell’uomo. L’importazione e l’esportazione di insetti, animali e piante hanno influenzato lo sviluppo successivo di molte altre specie: per esempio, le piante di pomodori, inserite in maniera importante nella tradizione italiana, in realtà sono state importate dal Sud America. Questo ha necessariamente creato un cambiamento nel nostro ecosistema.
All’inizio degli anni 2000 è stato dichiarato che l’Olocene, era geologica caratterizzata dalla stabilità, si era concluso, lasciando il posto all’Antropocene: l’era dell’uomo, in cui questa specie, priva di predatori, è al vertice di ogni catena alimentare. L’invasione degli ecosistemi da parte di specie aliene è sempre avvenuta, anche prima dell’arrivo dell’essere umano. Infatti, con lo spostamento delle zolle, piante e animali sono entrate in contatto con altre decretandone l’estinzione. Questo processo avveniva però in molti millenni; con l’uomo i tempi si sono ridotti notevolmente, non permettendo la creazione di nuovi equilibri tra specie. In America, negli anni in cui è stata scoperta, ci fu un’epidemia derivata da una malattia portata dai topi europei. La stessa cosa è successa anche in Australia e in tutti i posti “scoperti” dal Quattrocento in poi.
Lo stato australiano è oggi molto attento all’introduzione di animali e cibi dall’estero. Basti pensare al famosissimo docu-reality Airport Security.
Ormai l’Australia è compromessa e le norme attualmente vigenti sono quasi inutili. La distruzione del continente è cominciata con il colonialismo inglese. Infatti, dopo la scoperta dell’America – prima da parte di spagnoli e portoghesi, e poi inglesi – si è accentuata la rivalità tra queste nazioni. La faida si alimentava sia con nuove conquiste, sia con nuove scoperte tecniche, non rivelate agli avversari. Ad esempio, gli spagnoli avevano appreso una tecnica Azteca che estraeva il colore rosso dallo schiacciamento della cocciniglia, un parassita che si trova su determinate piante di fico d’india. Gli inglesi hanno appreso la scoperta solo nel Settecento, così hanno importato la pianta con il parassita nelle loro colonie in Australia. L’insetto, però, non è sopravvissuto all’ambiente, mentre la pianta, non avendo predatori, è cresciuta e si è espansa sul territorio tanto che il governo australiano ha indetto un bando per trovare delle soluzioni per distruggerla. Hanno così cercato (inutilmente) diverse soluzioni attraverso animali, insetti, gas, alterando di conseguenza le catene alimentari e distruggendo l’equilibrio ambientale. Bisogna tenere a mente che l’ecosistema australiano era unico al mondo: solo qui sono sopravvissute specie che altrove non hanno avuto modo di evolversi come i marsupiali. Tra questi, i Diavoli della Tasmania hanno subito un drastico spopolamento a causa di un tumore facciale. Lз scienziatз hanno trovato nelle cellule adipose degli esemplari infetti elementi chimici cancerogeni che si ritrovano all’interno di gas utilizzati come ritardanti di fiamma in molti oggetti d’uso, ma non è stata ancora trovata una correlazione con la malattia.
Il rischio estinzione di certe specie avviene per diversi motivi, dettati dai nostri consumi.
L’essere umano tende a sfruttare solo poche specie per l’alimentazione, siano esse piante o animali, riducendo la biodiversità. Si pensa che essere vegani non comporti un problema ecologico, ma anche quello innesca diverse reazioni sugli ecosistemi del pianeta poiché si disbosca per far spazio a coltivazioni, che variano continuamente in base alla domanda. Visto l’aumento del consumo di bevande e cibi di soia, sono state tagliate le palme, che avevano piantato per l’olio, per seminare ettari di soia. Rispetto all’introduzione di animali in contesti differenti, la piantumazione è un atto più invasivo perché porta a uno squilibrio e a un’alterazione delle sostanze presenti nel terreno. Le piante assorbono e rilasciano sostanze diverse nel suolo, siano esse legate alle caratteristiche biochimiche del vegetale, oppure a sostanze somministrate dagli umani per mantenerle in vita e fruttuose. Le grandi coltivazioni vengono irrorate di ormoni e antibiotici che hanno come conseguenza la creazione di un disequilibrio, visibile sia nel presente attraverso chi si nutre di tali esseri vegetali, sia nelle generazioni future delle piante. Se un animale si nutre di erba medica e frumento, cibi che hanno assorbito sostanze chimiche, queste torneranno successivamente nella verdura che mangio tramite il concime. È tutto ciclico.
Le api stanno diminuendo anche perché non riescono a resistere in ambienti in cui vengono utilizzate sostanze chimiche. Questo comporta ovviamente una riduzione dell’impollinazione e della riproduzione naturale delle piante. Le api sono tra le specie indispensabili per la sopravvivenza della vita sulla Terra ma devono fronteggiare sfide sempre nuove date dall’essere umano. Un nuovo problema per le nostre api autoctone è un parassita che si chiama Varroa, al quale non sono riuscite ad adattarsi. Allo stato attuale delle cose, un alveare in natura non riesce a sopravvivere per molto tempo. Secondo te c’è una possibilità per riequilibrare le relazioni tra specie?
Si, non introducendo nuove specie, e lasciando passare il tempo, si raggiungerà un equilibrio che comprende anche le nuove specie importate nei territori. Come dicevo prima, l’uomo non è stato l’unico a causare estinzioni. Ci sono stati ritrovamenti fossili di specie che hanno predominato su altre, durante la deriva dei continenti. L’unica cosa che si può fare per tornare in un ambiente sano è creare ciclicità. Nel mercato globale, la produzione è talmente fluida che in un attimo abbiamo un computer nuovo senza pensare che si possono creare, grazie al riutilizzo e allo smaltimento, nuovi cicli. Se il produttore di lavatrici ritira l’usato e con quei materiali produce una lavatrice nuova c’è sia un risparmio sia un guadagno. Non ci sarebbe più lo sfruttamento del sottosuolo, visto che i materiali necessari possono essere recuperati e riutilizzati.
Lentamente le industrie stanno provando a creare ciclicità e a utilizzare gli scarti: a Kalundburg, in Danimarca, è stato creato “Kalundburg Symbiotic”, un distretto industriale dove ogni azienda cede i propri scarti ad altre nell’ottica di ottimizzazione delle risorse ed energia. Anche l’industria sta cominciando a comprendere la dinamica della ciclicità e il bisogno di sostenibilità negli anni. Mi sembra un buon punto per far crollare il capitalismo per la creazione di qualcosa di diverso.
Le industrie che si sono sviluppate dall’Ottocento a oggi hanno creato una quantità di siti di estrazione inimmaginabile, che continuano a essere attivi nonostante l’enorme quantità di materiali disponibili. Oltre questo però creano danni ambientali altrettanto grandi: ad esempio, l’inquinamento marino e idrico le cui problematiche a lungo termine non sono state ancora stimate. È spaventoso pensare che lз scienziatз non sappiano ancora cosa questo comporterà per la specie umana, mentre nei pesci e in altre creature gli effetti sono già visibili: il tonno e altre grosse specie sono pieni di mercurio, a causa degli scarichi industriali.
Si pensa che il mare, essendo così grande e trasparente, non abbia problemi di questo tipo. Quando si è in spiaggia, in punti in cui l’acqua è trasparente, non si pensa che ci possa essere dell’inquinamento. La trasparenza non è indice di pulizia perché non tutte le sostanze tossiche si riescono sempre a vedere, come gli idrocarburi.
Se entro il 2030, dicono lз scienziatз, non si diminuirà l’utilizzo degli idrocarburi, si arriverà a un punto di non ritorno. Altri punti di non ritorno sono già stati raggiunti, come lo scioglimento dei ghiacciai causato, oltre che dall’effetto serra, anche dal cambiamento delle correnti marine. Il surriscaldamento globale comporta problemi su ogni essere vivente: per dirla in modo semplice e retorico, qui non ci sono più le mezze stagioni e ciò comporta un problema sia per le piante sia per gli animali. Le piante vanno in riposo vegetativo nei mesi invernali, riuscendo a sopravvivere al freddo. Chiaramente quando ne escono, non possono tornarci e il continuo alternarsi di freddo e caldo fa si che la pianta muoia. Questo è parte del processo di tropicalizzazione che sto trattando nella mia ricerca. Se non ci saranno delle modifiche nel comportamento umano, basta poco per rendere tutti gli sforzi vani.
Durante i primi periodi di pandemia l’utilizzo di plastica vergine è aumentata non solo per i presidi medici ma anche per le attività di delivery. È problematico educare le persone perché non vogliono cambiare le proprie abitudini.
È un cambiamento collettivo enorme quello che si chiede, a meno che il sistema economico e le modalità di produzione non cambino. L’essere umano, per quanto abbia un intelletto più sviluppato, è pur sempre un animale e conserva degli istinti.
Nonostante l’istinto, bisogna privilegiare prodotti ecosostenibili e per questo ci deve essere anche da parte del consumatore un acquisto più responsabile.
E come fai a fare un acquisto responsabile? Ad esempio, se il consumatore sa che per le colture biologiche non vengono utilizzati pesticidi o antibiotici, tuttavia non sa cosa abbiano mangiato gli animali che hanno prodotto il concime per quelle colture. L’agricoltura sostenibile per me deve essere un ciclo continuo tra terra, animali e piante, ma non sempre questo modello è sostenibile economicamente, soprattutto rispetto ai cicli di iperproduzione in cui siamo inseriti. È sicuramente vero che l’agricoltura sta cercando di migliorarsi, tornando a culture cicliche (maggese) e piantando specie che si aiutano a vicenda. Ci si è resi conto che l’agricoltura intensiva ha reso sterili alcuni terreni, privandoli di nutrimenti e ricambio. Per trovare metodi alternativi, si è sviluppata l’agricoltura idroponica, ma così non si migliorano la qualità del terreno, poiché non viene lavorato se non per appoggiare la struttura della serra. La fondamentale rigenerazione della terra può avvenire solo se ci sono le piante.
A cura di Gianluca Gramolazzi
Instagram: lucapetti_
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Luca Petti, SYMBIOTIC RELATIONSHIPS (Installation view) – Metallo floccato con polvere di tessuto colorato, dimensioni 160x113x100 cm, 2019 – Courtesy l’artista, ph Rui Wu
Luca Petti, Specie elastiche per crepe dinamiche, 2021 – Ferro zincato tropicalizzato, bismuto, 110x20x20 – Courtesy l’artista
Luca Petti, NEL TENTATIVO DI TORNARE A NUOTARE (Installation view) – Alluminio specchiato e vernice trasparente a polvere, dimensioni 100x100x85 cm, 2020 – Courtesy l’artista, ph Rui Wu
Luca Petti, LPS (details) – Acciaio armonico e materiale tassiodermico, 200 cm x 10 cm x 20 cm, 2014 – Courtesy l’artista