«Mi ha sempre sorpreso che i miei contemporanei, convinti di avere conquistato e trasformato lo spazio, ignorino che si può restringere a proprio piacimento la distanza dei secoli». Così scriveva Marguerite Yourcenar nei suoi Taccuini di Appunti, quando aspirava a ingannare le epoche che la separavano da Adriano Imperatore e narrava l’esperienza di una «magia senza metafore», di una «magia simpatica» mediante la quale è possibile «trasferirsi con il pensiero nell’interiorità di un altro (o di un luogo)». «Il tempo non c’entra per nulla», affermava la poetessa francese, poiché la realtà dei fatti la portava a sperimentare, nel suo presente, la conoscenza di una vicenda vissuta altrove che, tuttavia, “immaginava” nell’hic et nunc della sua contingenza. Di fronte a Villa Adriana a Tivoli, il tempo si era concentrato, aveva acquisito la compattezza di un reperto arduo da inquadrare una volta e per tutte. La pietra stava lì, di fronte a lei, con i decori e gli ornamenti, i mutamenti, le stratificazioni e le frammentazioni dovute alle intemperie dei secoli. Era possibile, dunque, nonostante lo spessore della distanza, tentare la via di un nuovo rapporto fondato sull’attualità di un valore estetico, sul valore di un lavoro artistico che oggi Nicola Lorini (Como, 1990) presenta nella mostra For All the Time, For All the Sad Stones , ispirandosi alla collezione degli Anatolian Weights and Measures del Pera Museum di Istanbul.
Senza bisogno di un eccesso di analisi, l’esposizione dell’artista comasco – visitabile fino al 24 novembre 2019 – prende spunto dalla consistenza delle opere e dalle trame inconcluse del sapere, dalle quali riemerge una molteplicità di storie, di scritte e di immagini. Partendo dai recenti tentativi di calcolo del peso specifico di Internet e dalla celebre frase For All People for all time -con la quale, nel 1799, il Marquis de Condorcet offriva al pubblico il sistema metrico – Lorini crea una video-installazione comprensiva di lavori scultorei e di un soundscape che lega, in maniera fluida, l’intero ambiente espositivo. Le immagini dei reperti, sulle quali si concentra con forza maggiore il video di 7 minuti e 22 secondi, si espandono fino a trovare punti di incontro con le opere create utilizzando materiali come la sabbia, il silicone, l’alluminio e le ossa di cervo. Eppure, non vi è distinzione, come non vi è alcuna riprova di un’assoluta identità di un lavoro in paragone a un altro. Negli intenti di Lorini ogni “oggetto” si rende visibile nel suo agglomerato di pregressi e di retaggi. L’artista svela un accumulo di informazioni, ora condensate nella specificità di un’opera.
Tra le immagini che scorrono sullo schermo seguendo il ritmo del suono, un serpente scende dal cielo, o forse salta. Ancora non è chiaro quale sia il nesso attraverso il quale i Pueblo del Sud degli Stati Uniti assimilano il viscido rettile alla forza del fulmine. Probabilmente è un simbolo derivato dall’andamento strisciante e ondulatorio che, unito al carattere e alla forma sagittata dell’animale, genera un acceso rimando visivo alle facoltà del fenomeno naturale. Gli indigeni lo mordono vivo, stretto tra i denti, durante le danze tribali, ed è qui che il circuito si complica, poiché «all’improvviso», diceva Warburg, «vidi un Laocoonte con i suoi due figli alla mercé dei serpenti», per il quale «però c’era salvezza. In che modo? Grazie al bastone di Asclepio, che si ergeva dinanzi a lui con il serpente miracoloso». Di pari passo, la sabbia come materiale di lavoro poetico introduce a diverse vie interpretative. Destinata a spostarsi nel tempo, come frutto di un’erosione o come scelta di una manipolazione, è il terzo elemento del pianeta più utilizzato dall’uomo. In quanto alle ossa di cervo, la scelta ricade in primo luogo sull’astragalo, un piccolo osso presente nella zampa del mammifero, la cui forma è richiamata da molti dei pesi esposti nella collezione del Pera Museum.
Nell’insieme di un display post-antropocentrico, Nicola Lorini concepisce la sua video-installazione soggiogando il tempo, le origini, le funzioni e ogni sorta di struttura gerarchica. Mediante l’intreccio poroso di forme scultoree “aperte”, l’artista indica direzioni di scoperte possibili. Un movimento tra le opere, un itinerario che «è allo stesso tempo» – affermava Wim Wenders in un discorso per Pina Bausch – «un gesto, un passo in avanti, il fenomenologico procedere, lo spostarsi da un luogo a un altro… il salto da motion a emotion». Un viaggio di cui la coreografia è ancora tutta da interpretare.
Luca Maffeo
Nicola Lorini
For All the Time, For All the Sad Stones
05 settembre – 24 novembre 2019
Pera Museum – Meşrutiyet Caddesi No:65, Tepebaşı – Beyoğlu – İstanbul
Instagram: nicolalorini
Instagram: peramuzesi
Caption
Nicola Lorini, For All the Time, For All the Sad Stones (dettaglio), 2019 – Sabbia, cemento, silicone, tappeto, tessuto sintetico; dimensioni variabili – Courtesy l’artista e Pera Museum.
Nicola Lorini, For All the Time, For All the Sad Stones – Exhibition view, Pera Museum, Istanbul 2019 – Courtesy l’artista e Pera Museum.
Nicola Lorini, For All the Time, For All the Sad Stones – Exhibition view, Pera Museum, Istanbul 2019 – Courtesy l’artista e Pera Museum.
Nicola Lorini, For All the Time, For All the Sad Stones (dettaglio), 2019 – Sabbia, cemento, silicone, tappeto, alluminio; dimensioni variabili – Courtesy l’artista e Pera Museum.
Nicola Lorini, For All the Time, For All the Sad Stones, 2019 – Video HD, colore, suono, durata: 07’ 22’’ – Courtesy l’artista e Pera Museum.