Mvaḥ Chā è il titolo della mostra personale di Namsal Siedlecki (Greenfield, 1986), realizzata a cura di Marcello Smarrelli e fruibile fino al 30 novembre presso la Fondazione Pastificio Cerere, a Roma.
L’artista presenta i risultati del progetto Crisalidi, realizzato nel 2019, grazie al sostegno di Italian Council, durante il suo periodo di residenza avvenuto a Kathmandu, in Nepal.
Protagonista è un nucleo di tredici sculture in bronzo, già esposte al Museo di Patan che, in parte, entreranno a far parte della collezione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato.
Da sempre la ricerca di Namsal Siedlecki è orientata alla sperimentazione sulla materia, nutrita dai numerosi viaggi compiuti intorno al mondo, grazie ai quali ha avuto l’occasione di interfacciarsi con molteplici culture artistiche.
La mostra Mvaḥ Chā racconta l’indagine dedicata alla tecnica della fusione a cera persa, conosciuta, per la prima volta, durante il suo viaggio in Nepal nel 2017.
Qui Siedlecki ha avuto l’opportunità di visitare sei fonderie diverse, tra le più importanti di Kathmandu, rimanendo fortemente colpito dalla particolare e insolita tecnica utilizzata dagli artisti nepalesi per la realizzazione delle sculture votive destinate ai templi religiosi.
Il Mvaḥ Chā – letteralmente “fango giallo” – consiste in una miscela a base di argilla, sterco di vacca e pula (l’interno del chicco di riso), materiale che genera una differenza rispetto alla tecnica a cera persa occidentale che prevede, invece, l’utilizzo del gesso e del mattone triturato.
Sin dall’inizio dell’esposizione, il visitatore viene introdotto al tema in maniera sottile e stimolante; varcata la porta d’ingresso si nota la presenza di un unico oggetto che occupa l’intera parete sinistra: una lamina di grafite sul muro.
Si tratta di una sorta “d’indizio” che rimanda al materiale di cui è costituito lo strumento creativo cardine degli artigiani nepalesi, l’unico in grado di resistere alle temperature più alte durante la fusione del bronzo. Essa viene compiuta mediante un materiale fangoso, necessario nella fase intermedia della realizzazione della scultura, attraverso cui si ottiene l’involucro che prelude a quella che sarà poi l’opera finale.
Namsal Siedlecki ha scelto di servirsi proprio di questi “depositi interi di forme”, dagli artigiani nepalesi ritenuti meri scarti, considerandoli pregni di un significato intrinseco, da disvelare.
Superata la zona d’ingresso, attraversato una sala buia e priva di oggetti, il pubblico viene sorpreso dall’improvvisa visione di morbide e scure masse indeterminate che spiccano in contrasto con le pareti completamente bianche. Forme sospese che mostrano di essere nel pieno di una metamorfosi lasciata fluire. L’artista riflette sul concetto di trasformazione, che per gli artigiani nepalesi si origina dalla pura astrazione per la quale non è servito uno studio, anzi, tutto è avvenuto in maniera inconsapevole.
Spostando lo sguardo verso una prospettiva artistica di matrice occidentale, è interessante notare come il processo che ha condotto la scultura da un assetto figurativo a uno pienamente astratto è stato lungo e tortuoso, giunto a compimento solo nei primi del Novecento.
Sono occorsi secoli per raggiungere l’astrazione in ambito scultoreo (pensiamo ad artisti come Henry Moore, Hans Jean Arp, o Constantin Brâncuși), mentre in Oriente, inconsapevolmente, è proprio a partire dall’astrazione, esistente lì da millenni, che si origina il seme della futura scultura sacra. Ciò che Namsal Siedlecki ha scelto di fare è stato di eleggere ad arte quelle masse deformi, interrompendo in qualche modo “il suicidio dell’oggetto”. Ciò è avvenuto attraverso un gesto ben definito, quello di posizionare i diversi frammenti su dei plinti – simbolo chiave per identificare una scultura – conservandone però sempre la natura primigenia. Mirata è stata la volontà di selezionarli di misure e altezze diverse, disponendoli seguendo un moto ondulatorio che sembra richiamare un paesaggio urbano, simile a quello caratterizzato dai grattacieli della città di Kathmandu
.L’artista ha assurto a opere d’arte elementi che sino a quel momento non avrebbero mai ricevuto alcuna dignità artistica, in quanto concepiti solo come media per giungere a un risultato ulteriore: quello del puro oggetto divinatorio.
Essendo in origine frammenti di future sculture sacre, in maniera quasi ironica ma intuitiva, l’artista antepone alla sala che le ospita un oggetto che richiama le fattezze di un forno fusorio di piccole dimensioni, contenente merendine, frutta, soldi, alcolici.
Si tratta della riproduzione delle offerte che, di consueto, vengono rivolte alle statue votive durante le visite ai templi. Siedlecki invita il pubblico a offrire all’opera prescelta qualcosa, divenendone, inconsciamente, parte integrante. L’offerta si astrae così da essa, conferendo la possibilità di scelta al fruitore tanto della scultura “da ingraziarsi”, quanto dell’offerta da rivolgerle, avviando un istante di vera e propria ritualità.
L’artista ha selezionato una per una le diverse forme, conferendogli una propria dignità artistica, mentre il pubblico è invitato a “eleggere” l’offerta che ritiene opportuna, definendo fino in fondo l’identità dell’opera.
È una mostra complessa, che stimola il visitatore a un’analisi volta al di là della mera ammirazione degli oggetti presenti, attraverso una rilettura dicotomica fra tradizione orientale e trasfigurazione contemporanea.
Una volta varcata la soglia, se si giunge in maniera consapevole all’interno della mostra, è possibile vivere un’esperienza a tratti mistica, che segue le linee della trascendenza sotto la guida di forme seducenti, intrise di significato.
Gilda Soriente
Namsal Siedlecki
Mvaḥ Chā
22 settembre – 30 novembre 2020
Fondazione Pastificio Cerere – Via degli Ausoni, 7 – Roma
Instagram: fondazionepastificiocerere
Caption
Namsal Siedlecki, Mvaḥ Chā – Exhibition view, Fondazione Pastificio Cerere, Roma – Courtesy l’artista e Fondazione Pastificio Cerere, ph Andrea Veneri
Namsal Siedlecki, Mvaḥ Chā – Exhibition view, Fondazione Pastificio Cerere, Roma – Courtesy l’artista e Fondazione Pastificio Cerere, ph Andrea Veneri
Namsal Siedlecki, Mvaḥ Chā – Exhibition view, Fondazione Pastificio Cerere, Roma – Courtesy l’artista e Fondazione Pastificio Cerere, ph Andrea Veneri
Namsal Siedlecki, Mvaḥ Chā – Exhibition view, Fondazione Pastificio Cerere, Roma – Courtesy l’artista e Fondazione Pastificio Cerere, ph Andrea Veneri
Modelli in cera durante la lavorazione, India – Courtesy Namsal Siedlecki, ph Namsal Siedlecki
Deposito di matrici in attesa di essere fuse, India – Courtesy Namsal Siedlecki, ph Namsal Siedlecki