Spesso per definire la produzione artistica contemporanea vengono utilizzati aggettivi quali “ostica”, “elitaria” o, senza un reale aggancio al significato stesso del termine, “astratta”. L’opera di Michele Spanghero è tragicamente schietta, sfugge alla banalità di queste definizioni e non necessita di alcun supporto verbale o scritto.
Il titolo Ad lib. richiama alla mente due contesti semantici specifici, quello musicale e quello medico. Nel primo caso identifica la possibilità di ripetizione a piacere di una porzione di spartito, secondo il gusto del musicista, nel secondo invece si riferisce all’arbitrarietà nella scelta di mantenere attiva l’assistenza artificiale per individui in stato vegetativo, o non in grado di decidere per se stessi. Queste due definizioni smettono di essere distanti nel momento in cui si comprende che si tratta di praticare una scelta, nella fattispecie, un’interruzione. Nell’opera di Spanghero, musica e vita sono legate dalla presenza di due strumenti, l’organo e il ventilatore meccanico, che funzionano in simbiosi; la respirazione indotta dal macchinario medico permette lo spostamento d’aria che, spinta nelle canne dell’organo, produce un suono.

Nella sala espositiva, illuminata da pochi fari che puntano le opere, si avverte solo l’alternarsi di due suoni, quello del respiratore e quello emesso dall’organo; basta un secondo per comprendere il loro legame. Non è un vero e proprio respiro, ma non è nemmeno musica, è un mantra sonoro che trascina lo spettatore in un contesto spirituale che non potrebbe essere più legato al dato reale. La riflessione dell’artista parte da un evento di cronaca, il caso Englaro, che sottopone interrogativi di massima importanza su questioni delicatissime, sottolineando il legame della contemporaneità con la macchina spesso in contrapposizione con il naturale decorrere dell’esistenza umana, senza tralasciare riferimenti a questioni di fede.
L’effetto prodotto dall’installazione è estremamente efficace e, sebbene comprensibile in poche decine di secondi, invita a rimanere nella stanza, crea un effetto straniante e scava nella memoria personale trasportando il fruitore in uno spazio e in un tempo diverso. La pace della sala espositiva, accompagnata dal rumore dei due strumenti, viene interrotta da un presagio funebre, poiché il suono non è che la procrastinazione del silenzio. Una riflessione mi viene spontanea uscendo dal palazzo che ospita l’esposizione, in una Treviso avvolta dalla nebbia mi soffermo a pensare quanto possa essere pesante l’assenza di suono che avvolge la sala una volta spento il ventilatore. Quasi come se ci si debba soffermare, prendere respiro e in un attimo spegnere.

La curatela di Chiara Ianeselli prevede, infine, la contrapposizione fisica e di Ad Lib. con un reperto proveniente dalla Fondazione Sergio Poggianella. Si tratta di uno specchio sciamanico bronzeo utilizzato per curare i credenti, con il quale, attraverso il recupero dell’anima perduta, si garantiva il benessere fisico. Scienza e credo, dunque, si contrappongono lasciando lo spettatore nel mezzo.
Mai come in questo caso l’opera sovrappone il dato reale al risultato di un processo creativo, e sfata i miti, spesso mal fondati, che considerano l’arte contemporanea lontana dall’accaduto. Michele Spanghero con questo lavoro si avvicina all’essenza primaria delle cose e ne trasmette il valore. Visitabile fino a domenica 11 dicembre nella sede di TRA – Treviso Ricerca Arte, Ad libitum è un’esposizione che richiederà pochi minuti del vostro tempo, ma che riecheggerà in voi ben oltre la soglia di Ca’ dei Ricchi.
Federica Colle
MICHELE SPANGHERO
AD LIBITUM
A cura di Chiara Ianeselli
22 ottobre – 11 dicembre 2016
TRA – TREVISO ARTE RICERCA – Ca’ dei Ricchi, Via Barberia, 25 – Treviso
Immagine di copertina: Michele Spanghero, Ad libitum – courtesy TRA – Treviso Ricerca Arte