Ragni. Mattia Pajè verso sera

Si è da poco conclusa Tempo Reale, XVII edizione di Ipercorpo, Festival Internazionale delle Arti dal Vivo, realizzato a Forlì negli spazi di EXATR, ex deposito per corrieri costruito in città negli anni Trenta. La sezione dedicata alle arti visive – curata come di consueto da Davide Ferri – presentava due particolarità: l’assenza di una vera e propria mostra e la scelta di uno spazio di grande fascino. Non un vero e proprio progetto espositivo ma un programma di interventi di quattro artisti – Alfredo Pirri (1957), Sergio Breviario (1974), Adelaide Cioni (1976), Mattia Pajè (1991) – uno per ogni giornata, visibile al crepuscolo per la durata di un’ora: di qui, Verso sera, titolo della sezione. Per scrivere qualche riga sul lavoro di Mattia Pajè, la seconda caratteristica, quella relativa al luogo, gioca un ruolo fondamentale. Teatro, letteralmente, della rassegna è stata l’ex Arena Apollo, adiacente a EXATR, costruita all’inizio del Novecento in stile parzialmente Art Déco e inizialmente dedicata a spettacoli estivi e proiezioni cinematografiche, per poi rimanere inutilizzata: un ambiente estremamente suggestivo poiché, di fatto, nascosto alla vista sebbene si trovi alle porte del centro cittadino, che emana un’atmosfera silenziosa e densa come se ci si potesse trovare in un rudere abbandonato all’interno di un giardino segreto e, allo stesso tempo, in un edificio dall’energia vitale ancora pulsante. L’opera pensata da Pajè per l’occasione può convivere bene con questa impressione iniziale, una percezione di abbandono che, con una forza inspiegabile e opposta, diviene carica di senso. Di certo, il 4 ottobre intorno alle 19.00, ciò che si vedeva entrando all’ex Apollo non era quello che ci si aspettava, se lo si pensa come luogo della messa in scena, della centralità, della frontalità: non si notava nulla, tutto sembrava essere come prima, cioè deserto, inabitato, lasciato a se stesso. Tuttavia è raro che tali luoghi lo siano veramente, non lo sono mai, vengono inevitabilmente occupati, colonizzati: in questo caso da minuscoli ragni argentei, cinquanta in totale, disseminati dall’artista lungo tutto il perimetro a disposizione.



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È evidente l’intenzione di Pajè di ragionare nei termini della più rigorosa analisi, quasi una verifica, dell’ambiente a disposizione lasciandolo, da una parte, nudo e libero di essere fruito per ciò che è, una seducente memoria, e invece, dall’altra, saturandolo. È proprio quest’ambivalenza tra pieno e vuoto, presenza e assenza a fornirci le coordinate per avvicinarci all’opera; un gioco di opposti dove l’oggetto estetico viene determinato e quasi inglobato dallo spazio in cui vive e non il contrario; dove l’inversione di scala – procedimento ricorrente nel lavoro dell’artista, ricorda Davide Ferri – muta la percezione della scultura in un lieve luccichio. Il processo di verifica dello spazio va inteso in senso letterale: “Bisogna pensare come se si fosse dei ragni” mi dice Pajè, vedendomi strizzare gli occhi alla ricerca di qualche bagliore. È ciò che lui ha fatto, ciò che l’osservatore deve sforzarsi di fare. Scandagliare l’area che si ha attorno, tra erba incolta, muri diroccati, tronchi cavi. Dove si può nascondere? Perché nella fessura sotto la tettoia e non in quella crepa sulla parete?

Ciò che l’artista dimostra è un’affinità profonda con lo spazio espositivo – una costante in una ricerca più che mai eterogenea – che in maniera giocosa cerca di voler trasmettere all’osservatore. Del resto, proprio attraverso la partecipazione dello spazio si esprime al meglio il significato di Ragni, che è un intervento performativo: ovviamente non nel senso inteso dalla generica categoria storico artistica, quanto nel fatto, proprio dell’opera come complesso, di produrre nello spettatore un effetto determinato, di imporgli un percorso e una serie di movenze e azioni che sono esattamente contrarie a quelle che un luogo come quello dell’ex Apollo poteva prevedere. Così, lo sguardo dal centro si sposta alla periferia, i corpi dall’interno si muovono verso l’esterno ricercando con gli occhi le minuscole sculture collocate, perlopiù, nella zona un tempo dedicata al pubblico. Un perpetuo movimento centrifugo che, forse in maniera involontaria, avvicina la ricerca di quiete e la fruizione dell’opera “qui e ora”, proprie della sezione Arte, allo sfondo performativo e in movimento del festival.

Enrico Camprini


Verso sera ⎪ Mattia Pajè

A cura di Davide Ferri

4 ottobre 2020

Tempo Reale, XVII edizione di Ipercorpo, Festival Internazionale delle Arti dal Vivo – EXATR, Palazzina ATR, Via Ugo Bassi 16 – Forlì

www.ipercorpo.it

Instagram: ipercorpo

Instagram: mattiapaje


Caption

Mattia Pajè, Ragni, 50 sculture in argento, cm 4x2x2 (cad.), 2020 – Ipercorpo 2020, ph. Gianluca Camporesi