Le maschere di Diego Marcon

Cantare la tragedia. 

Basterebbero queste poche parole per narrare l’opera di Diego Marcon (Busto Arsizio, 1985).
L’artista è bravo e ce ne siamo accorti già da tempo, al Museo Madre di Napoli nel 2021, alla Biennale di Venezia nel 2022 e in tutte quelle occasioni in cui, fino a oggi, abbiamo avuto la possibilità di osservare il suo lavoro.
In fondo, che cosa dire ancora. Il suo lavoro è composto per lo più da video brevi e gustabili. Da annoverare tra le poche opere di una certa generazione che più le guardi e più chiedono di essere guardate. Poco relax, poca serenità, una speranza umana quasi vana. Omicidio, malattia (reale e presunta) e il canto di Ludwig (2018), il desiderio della morte.

Dio come son stanco / mi sento proprio giù / vorrei tirar le cuoia / e non pensarci più. / Eppur. Così canta il bimbo dondolante, ritmato dall’andatura ubriacante di una nave in mezzo alla tempesta. Lampi e tuoni sembrano scandire l’andirivieni della piccola figura che si ripete sempre nell’oscurità perpetua.

Ebbene, in occasione dei vent’anni della Fondazione Trussardi e con la curatela di Massimiliano Gioni, nella cornice del Teatro Gerolamo, un teatro per marionette noto anche come Piccola Scala, dove iniziò il percorso itinerante della Fondazione, l’artista originario di Busto Arsizio è tornato a cantare con la mostra Dramoletti (05 – 30 giugno 2023). Alla sua maniera, con un titolo che riprende Thomas Bernhard, e con un belcanto, armonico e profondo, seducente, parte integrante dell’opera video e, ciononostante, fuori dagli schemi del sentimento, se così si può dire. Poiché il tutto, l’opera e le parole che tentano di accostarvisi paiono, di fatto, un azzardo. Può la tragedia dare voce a qualcosa di bello? Può il desiderio della morte o l’atto stesso della morte omicida essere l’ornamento di un fraseggio armonico?

La risposta è tutta in opera. Nell’atto burattinesco di personaggi mascherati, oppure maschere essi stessi, sotto i quali, tuttavia, come insisteva il buon Luciano Fabro in una delle sue lezioni tenute all’Accademia di Brera, si annida la consonanza di un accordo. In un periodo di guerra, parlando ad allievi che per la prima volta si ritrovavano a confrontarsi con una tale fatiscenza, l’invito del maestro portava a scavare sotto la crosta di una ferita rimarginata. Qualcosa ancora stava accadendo sotto la superficie, “sotto la crosta dell’arte”.  Come uscirne? Come trovare, ora che la guerra è tornata, almeno quella che credevamo essere scomparsa per sempre, l’impeto illogico e non calcolabile di una resistenza, il tentativo che unifica omogeneamente l’opera fin qui conosciuta di Diego Marcon, che nella plastica e nel digitale vuole scovare una traccia di verità? L’estro vocale e brutale a un tempo della proporzione umana che “si nasconde nel difetto, nell’oscurità, nell’eccesso, nel patologico e nel malvagio persino”.



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L’animazione digitale, creata in CGI, dell’opera Ludwig, indica la via, mostra il fianco dell’immagine illuminata da un fiammifero. La musica incontra nel suo insieme la melodia italiana e il lied tedesco, tra il lamento e l’accordo, tra il dramma esplicito e le note che, malgrado tutto, restituiscono la purezza di un equilibrio. L’immagine è nitida e in ultima analisi affascinante. Ed è qui l’inganno, o forse il cortocircuito che tanto si può ritrovare in The Parent’s Room (2021), altra opera cardine nella produzione di Marcon. Le maschere, infatti, le protesi di cui sono rivestiti i vari attori, ripresi singolarmente lungo tutto il video, e il loro canto alternato a momenti più o meno lunghi di silenzio e attesa, fanno da contraltare al rapporto tra buio e immagine che invece in Ludwig accompagna la narrazione filmica. Siano creazioni digitali, animazioni o attori umani, i protagonisti rimangono “persone”, come dicevano i Latini. Una parola che deriva da “per-sonàr”, e che anticamente indicava le maschere portate sulla scena dagli attori nei teatri dell’Antica Grecia e dell’Italia. Strumenti veicolo d’espressione, e oggetti attraverso i quali la voce risuonava, parola o canto che fosse, per meglio essere udita dagli spettatori.

Le opere di Marcon, poi, sono interpretate da personaggi solitari, al pari dell’animazione Il Malatino (2017). Un breve video, anch’esso in loop, che mette in mostra la degenza di un bambino febbricitante. Una sorta di Pinocchietto, più delicato, ma non meno esplicito rispetto a quanto Maurizio Cattelan ci aveva abituati con Daddy, Daddy (2008). Quando il personaggio creato da Carlo Collodi appariva alla stregua di un pupazzo dal potenziale suicida e autodistruttivo. In Untitled (Head Falling) (2015), a sua volta, l’immagine colorata e incisa sulla pellicola 16 mm si reitera nel tempo, cade e si muove. Si silenzia, si mitiga rimarginandosi. Marcon muove i suoi passi nel lutto di ciò che sta per scomparire e nel cordoglio di ciò che è già scomparso. Si stanzia in un ideale limbo che condivide contemporaneamente il pieno e il vuoto, il vitale e il mortale. 

The Parent’s Room quando termina, ricomincia, torna a ricucire l’inizio e la fine. L’atto compiuto e il suo canto con il silenzio e l’attesa di un merlo (unico personaggio dell’opera creato in CGI) che poggiandosi sulla finestra comincia il suo fischiettio. Poche note da cui si avvia l’intensità armonica della narrazione tragica. Montata nel loop di un eterno inizio, insieme desiderio e condanna, e di un “tempo vuoto”, come lo aveva chiamato Eva Fabbris. Nel buio, nell’attesa e nella ripetizione. Tra la volontà di non esserci, quale evento mortale della sparizione, e il volerci essere ancora, nuovamente.

Luca Maffeo


Instagram: die.marcon

Instagram: fondazione_trussardi

Instagram: teatrogerolamo


Caption

Diego Marcon, Ludwig, 2018 [still], Video, CGI animation, color, sound, loop of 8’14’’, Credit: © Diego Marcon, Courtesy Sadie Coles HQ, London.

Diego Marcon, The Parents’ Room, 2021 [still], Digital video transferred from 35mm film, CGI animation, colour, sound, loop of 6’23’’, Courtesy the Artist and Sadie Coles HQ, London, Produced thanks to the endowment from the Italian Council, 2019, Collection of Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – Museo Madre.

Diego Marcon, Il Malatino, 2017 [still], 16 mm film, colour, silent, dur: 23 min, looped, Credit: © Diego Marcon, courtesy Sadie Coles HQ, London.

Diego Marcon, Untitled (Head falling) (02), 2015 , 16mm film, colour, silent; fabric ink, permanent ink, and scratches on 16mm clear film leader, loop of 10’’ each, Courtesy the Artist and Sadie Coles HQ, London.

Diego Marcon, The Parents’ Room, 2021 [still] – Installation View at Teatro Gerolamo, Milan, 2023 – Digital video transferred from 35mm film, CGI animation, colour, sound, loop of 6’23’’, Courtesy the Artist and Sadie Coles HQ, London, Produced thanks to the endowment from the Italian Council, 2019, Collection of Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – Museo Madre.

Diego Marcon,Untitled (Head falling) (01), 2015 – Installation View at Teatro Gerolamo, Milan, 2023 – 16mm film, colour, silent; fabric ink, permanent ink, and scratches on 16mm clear film leader, loop of 10’’ each, Courtesy the Artist and Sadie Coles HQ, London.