L’idea suscitata a prima vista dalla mostra di Marco Raparelli, visitabile fino al 13 dicembre presso Ex Elettrofonica a Roma, è quella di uno sguardo veloce su una collettività colta istantaneamente nelle sue varie manifestazioni, A una lettura più attenta dell’esposizione e del suo titolo, Tutto quello che si muoveva intorno a noi era il vento, emerge come dietro una trascrizione rapida e vignettistica ci sia una registrazione ben più ragionata. Nonostante la società scorra intorno all’artista come un vento senza sosta, egli rimane fermo, concentrato su una documentazione spietata delle nostre incoerenze, ossessioni e stranezze, delle banali preoccupazioni e debolezze umane, affinché non vengano portate via e nascoste velocemente da una ‘folata d’aria’.
Tra gli strumenti impiegati c’è una tipologia di disegno caratteristica dei comic books in bianco e nero: un tratto caricaturale volutamente ‘scorretto’ e non accademico, che evita ogni sorta di decorativismo e realismo, per filtrare, invece, la realtà dal punto di vista dell’artista. A dar forza al suo pensiero e al rapporto comunicativo con l’osservatore concorre la scrittura, parte integrante della mostra e della produzione di Raparelli; un ulteriore livello di lettura presentato in un inglese da chat, immediato e accessibile a tutti. Sono questi i mezzi più efficaci per un attento sguardo sulle varie sfaccettature di un’umanità, solo apparentemente collettiva, sorpresa e smascherata nelle sue bizzarre abitudini quotidiane.
La presentazione di immagini ironiche e al tempo stesso tragiche, ciniche e dissacranti verso alcuni stereotipi della società odierna, è chiara fin dall’entrata nelle teste tridimensionali appese al soffitto, perfettamente tonde e con lo stesso sorriso forzato, fumettistico. Sono tutte esattamente identiche se non fosse per le buffe capigliature e il colore della pelle; ironicamente, il contrario della normalità dove, invece, dovremmo differenziarci proprio per l’espressione facciale e non, come qui, per la nostra razza o acconciatura. Puntando il dito verso tutti noi, Raparelli svela che dietro le apparenze con cui vogliamo inutilmente distinguerci dal prossimo siamo tutti parte della stessa umanità, dello stesso omologato, ridicolo e contraddittorio ‘essere umani’. Human is a state of mind è, non a caso, il titolo del libro in uscita insieme alla mostra.
Il sarcasmo riguarda anche la funzione della tela, alterandone la percezione e rendendo ridicola la creazione dell’immagine, come in Is this not a canvas? Not really no, o nell’opera con la scritta “Scenography for your selfie” davanti a cui l’artista autorizza a farsi una fotografia. Andando a guardare lo scatto, una frase presente sulla tela, prima leggibile dal fruitore solo al contrario, diventa fin troppo visibile: “You look like shit”, recita. Nello stesso senso va inteso il foglio interamente occupato dall’arguta dichiarazione “Sorry no image available”. Il disincanto cinico verso convenzioni comuni da cui liberarsi con un sano ‘menefreghismo’ prosegue nella domanda “Do you like Art?”, con le opzioni “Yes/No/Maybe”, nel tagliente sfogo “I don’t care about your fucking blog” e nell’elenco “Things I hate: list, sarcasm, stalker, you”. Quando, successivamente, Raparelli ci chiede perché essere sessisti e omofobi se si può semplicemente essere calmi, intuiamo che il suo biasimo riguarda anche questioni sociali drammatiche, presentate con la consueta vena ironica: Half of the world is starving and the other half is trying to lose weight ne è una chiara testimonianza.
Nelle opere successive, dove oltre alle parole anche il disegno contribuisce allo spirito della mostra, prosegue la presa di posizione contro il declino e la sporadicità della lettura in epoca social. Dopo l’efficace slogan “Reading is sexy”, la considerazione “I read more books now” è subito negata da alcuni personaggi chinati sui propri tablet: “Save us God from your followers” è la relativa richiesta d’aiuto. Un duro umorismo sull’attuale era digitale seguito ancora da temi socio-politici: scherni verso poliziotti, un podio in cui la working class soccombe al terzo gradino e la sintomatica espressione “We love pasta and freedom of speech”. Seguono quattro disegni in cui un vento simbolico sposta dei panni stesi, un ombrello e una foglia d’albero che ricompare come ritaglio a fine serie. Negli acquerelli, invece, figure goffe sono abbinate a un tratto lieve nel mare sullo sfondo: tra chi fa il bagno in una ciambella e chi fa il morto a galla il senso di sospensione è inevitabile. Tragico e ridicolo si completano nell’immagine di un uomo che mentre legge cade nel nulla, in una figura obesa (chiamata “Anxiety”) che grava su un corpo filiforme (“Calm”) e in un corteo di buffe figure; sembrano solo dei turisti eppure gli si dà l’appellativo di “Contemporary Art”. Sull’ultima parete l’attacco più emblematico: mentre nel 1977 il personaggio disegnato lanciava molotov, oggi fissa assorto il suo smartphone.
Nonostante il biasimo emerso dalla mostra, Marco Raparelli non parte da una volontà critica, ma si limita a illustrare una collettività che ogni giorno, davanti al suo sguardo, pur cercando di muoversi, rimane ancorata a banali abitudini. Non è da lui che nasce la polemica ma dalla stessa realtà che ha di fronte: all’artista basta registrare lo spettacolo amaro di una società che, di continuo, ci presenta l’essere umano in quanto tale, nei tic e nei drammi della sua vita quotidiana. “Join Us” scritto in un’opera esposta (oltre che sulle magliette indossate dallo staff di Ex Elettrofonica durante l’inaugurazione) non è altro che l’invito ad aggregarci a questa buffa, quanto reale, umanità; o, meglio, a prendere atto e ad accettare, senza vergogna, di esserne parte anche noi.
Mario Gatti
Marco Raparelli
Tutto quello che si muoveva intorno a noi era il vento
26 ottobre – 13 dicembre 2019
Ex Elettrofonica – Vicolo di Sant’Onofrio 10 – Roma
Instagram: ex_elettrofonica
Caption
Marco Raparelli, Tutto quello che si muoveva intorno a noi era il vento, 2019 – Installation view at Ex Elettrofonica – Courtesy Ex Elettrofonica Roma, ph. Mario Gatti
Marco Raparelli, 1977-now, 2019 – Drawings on paper – Courtesy Ex Elettrofonica Roma, ph. Mario Gatti
Marco Raparelli, Tutto quello che si muoveva intorno a noi era il vento, 2019 – Installation view at Ex Elettrofonica – Courtesy Ex Elettrofonica Roma, ph. Mario Gatti