Marco Ceroni (Forlì, 1987) vive e lavora a Milano. La sua pratica artistica, che unisce pittura, scultura e azione performativa, nasce dall’osservazione/attraversamento dei luoghi anonimi delle periferie ai margini delle grandi città e dalla manipolazione e decontestualizzazione di oggetti quotidiani, arredi urbani e detriti metropolitani. Le sue ambientazioni installative rilevano e amplificano il potenziale immaginifico di frammenti di realtà apparentemente insignificanti e rileggono in chiave creativa gli aspetti più empaticamente percettivi del paesaggio contemporaneo.
Tra le mostre personali e collettive recenti: The Great Learning a cura di Marco Scotini (Triennale Milano), Make People Smile (Adiacenze), Nesxt, Good Night, and Good Luck (A plus A), Teatrum Botanicum (PAV, Torino), Perfezioni (77), Open-VIR (Viafarini), L’opera irraggiungibile (Artissima), Temporary Monuments (Srisa), The space in beetween us (Villa Vertua), Disumanesimi (Biagiotti Progetto Arte), Day Dream Factory (DOCVA).
Da quanto tempo fai l’artista e quali differenze noti tra i tuoi esordi e oggi?
Da quando ho deciso di intraprendere questa attività lasciando altri lavori. Le differenze che noto da allora? Più capelli bianchi e meno ore di sonno.

Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Tutto quello che faccio parte da fascinazioni per qualcosa che mi circonda. Dettagli della quotidianità che attraversiamo che si astraggono aprendo mondi paralleli.
Tutto nasce là fuori. Mi piace amplificare contraddizioni e creare discontinuità nelle escrescenze di realtà che rielaboro.
Ho da poco inaugurato una personale, Late Night Show, a Bologna da GALLLERIAPIÙ. Il programma ora è studiare i prossimi passi.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Sono di Faenza ma vivo a Milano da cinque anni e mezzo. È l’unica città in cui vivrei ora in Italia.
Mi piacciono i suoi bar.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Una guerra di posizione. Chi si logorerà prima?
Che domanda vorresti che ti facessi?
Fermo o frizzante?
Intervista a cura di Emanuela Zanon per FormeUniche