Lido Contemporaneo nasce nel marzo 2021 da un’idea di Caterina Angelucci e Luca Zuccala.
Associazione culturale aperta alla ricerca e alla diffusione dell’arte contemporanea, sviluppa un ricco programma di mostre e residenze collaborando con realtà istituzionali come il Comune di Fano – Assessorato alla Cultura e Beni Culturali.
A conclusione della mostra “itinerante” Fortuna instabile quasi possibile abbiamo dialogato con Luca Zuccala, firma del Corriere della Sera e curatore, che con Andrea Tinterri ha ideato il progetto espositivo.
Fortuna instabile quasi possibile nasce dalla residenza Lido La Fortuna, vuoi raccontarci questo progetto triennale volto a promuovere e sostenere il lavoro di giovani artisti internazionali?
Ritrovato una sorta di equilibrio dopo il primo mese di shock pandemico, nella primavera 2020 con Caterina abbiamo sentito l’urgenza di dedicarci e di “ritornare” alla ricchezza sopita della “provincia” per costruire qualcosa di concreto e non autoreferenziale a livello “locale”. Concetto abbastanza banale se non fosse che il luogo eletto fossero le alte Marche, precisamente la marca fanese: quel territorio che da Fano e l’Adriatico si propaga verso l’Appennino toscano, solcando il Fiume Metauro sulle orme della Via Flaminia. Un “ritorno” in senso ampio: come “idea” nel mio caso, come (anche) origine e “origini” per Caterina e tutte le componenti dell’Associazione Culturale Lido Contemporaneo, nate tra Pesaro e Fano: Giulia Giommi, Martina Palazzi, Bianca Ugolini, Federica Valentini, Francesca Caserta. Figure non necessariamente legate al mondo dell’arte, ma la cui diversificata provenienza professionale ha rappresentato un valore aggiunto, almeno come visione e “dimensione”. Ci interessava operare in quella realtà completamente avulsa alla pratica contemporanea, concentrandoci su un progetto da elaborare sul posto, che potesse portare, lasciare, donare un qualcosa, un quid, a quelle terre e alla loro comunità. E intercettando al contempo un’altra urgenza: il sostegno e la promozione di giovani artisti italiani e internazionali (preferibilmente estranei dalle molte cricche che compongono il magico mondo del contemporaneo, e già maturi dal punto di vista della propria ricerca e del proprio linguaggio), rimasti più che mai ai margini della filiera del sistema dopo il tragico avvento del Covid e il relativo lockdown. Quindi: accendere le energie sopite di una terra ricchissima di storia e culture attraverso la ricerca degli artisti sul campo – Lidia Bianchi, Silvia Bigi, Oscar Contreras Rojas, Jingge Dong, Rachele Maistrello, Sophie Westerlind; fondere mondi lontani e contaminare la terra, la materia, lo spirito del luogo, di visioni “altre”. Questo in primis il nostro volere, il tutto realizzato intessendo un dialogo rispettoso con il territorio. Ti ringrazio per aver sottolineato la durata triennale del percorso della Residenza Lido La Fortuna (il nome deriva dalla fusione della parte sabbiosa della spiaggia della città, il Lido, e dalla considerazione più o meno mitologica di Fano come Città della Fortuna). Una condizione sine qua non per la nascita e la crescita del progetto è stata proprio la condivisione lungimirante con l’Amministrazione locale per un fare osmotico di crescita a lungo termine. Nessuna cosa spot, una botta e via, ma un lavoro certosino e dialettico con la comunità, le identità e la cultura del posto per una prospettiva partecipata inclusiva comune.
La mostra è stata e sarà itinerante; si svilupperà anche quest’anno in tre tappe: Fano, Pergola, Milano. Che rapporti genera il progetto con i territori in cui è ospitato?
L’idea, anche qui come primo obiettivo minimo e indispensabile, era di attuare la cosiddetta Restituzione, ossia la mostra post-residenza, in varie località concependo l’esposizione, e quindi il lavoro con la comunità del luogo, su vari livelli. Tutte (le comunità) e tutti (i livelli) di qualità eccelsa, tutte con un sostrato, una dimensione e una realtà connotativa differente. Quindi una sfida sempre diversa per ogni luogo espositivo scelto. La prima tappa a Fano è stata realizzata in uno dei posti iconici della storia della città: la Rocca Malatestiana. Per missione e volontà non abbiamo utilizzato gli ampi saloni contraddistinti da vaste pannellature bianco asettiche, ma ci siamo insediati nei luoghi dove la stratificazione storico-culturale era più marcata e “vissuta”: la galleria delle prigioni, le cellette, le cappelle più o meno sacre del Forte. Così come a Pergola. La seconda tappa, ospitata tra la bellissima realtà locale di Casa Sponge, diretta da Giovanni Gaggia (al quale va la nostra gratitudine per il supporto e il sostegno fin dalle prime battute del progetto) e la nuova realtà di Mezzaria nella bucolica frazione di Montesecco. Qui la “sfida” era doppia. Concepire la mostra su due piani diversi: la casa-museo altamente connotata di Casa Sponge e il vasto spazio luminoso, una ex fattoria, nel paese ospitante. Il terzo e ultimo episodio, nella sede italiana della prestigiosa casa d’aste parigina Artcurial a Palazzo Crespi a Milano, diretta da Emilie Volka, si è sviluppata invece in due saloni comunicanti modello white-cube. Un allestimento più lineare, sicuramente più semplice da elaborare, che ha voluto confrontarsi con una realtà leader del mercato dell’arte globale (si tratta, tra l’altro, della prima mostra fatta nella sede italiana della maison) dando così la possibilità agli artisti di godere di una visibilità maggiormente istituzionale nella più importante città italiana per quanto riguardo il mercato. L’obiettivo è comunque sempre quello di tessere profonde relazioni con i luoghi dove vivono e gravitano le residenze, Fano e il nord delle Marche in toto, per coltivare e attivare le energie (più o meno sopite) del luogo. Indagare attraverso lo sguardo privilegiato di artisti provenienti dalle più disparate latitudini del mondo, una terra ricca e generosa come quella in questione. Un punto di vista “straniero”, quindi congenitamente ricco e luminoso, che possa filtrare il proprio universo con quello con il quale si trova a (con)vivere, illuminandolo di nuove vie, tracciando nuovi sentieri, stimolando nuove connessioni.
Facciamo un passo indietro: come nasce Lido Contemporaneo e quali fini si pone?
Lido Contemporaneo nasce ufficialmente come Associazione nel marzo dello scorso anno, 2021, anche se il progetto, come raccontavo prima, è stato concepito qualche settimana dopo l’avvento del lockdown, quindi esattamente l’anno prima, 2020. Il fine principe, come già detto, è arricchire e balenare una luce altra, diversa, particolare, inedita, esterna sul territorio coinvolgendo la comunità in toto. Come ha ricordato Caterina in uno degli appuntamenti aperti al pubblico di confronto, presentazione, dibattito con la cittadinanza, una delle più grandi soddisfazioni del progetto è stato il riscontro identitario di alcuni visitatori di fronte alle tele e alle impressioni fotografiche degli artisti. Il riflettersi sincero e consapevole della propria vita raccolto e condensato affiorato nell’opera. Catturare con uno sguardo nuovo la cultura della terra dipinta, agendo con “amore” e rispetto. Altro esito felice: non c’è un artista che non sia tornato e non si sia innamorato del posto in cui ha lavorato durante quelle due settimane espanse. Il futuro prossimo? Dal 16 al 29 maggio terremo la seconda edizione della Residenza. Nel 2023 la terza. Nel 2024 la quarta, con Pesaro appena eletta Capitale della Cultura Italiana. E così via per i prossimi anni per fare della Residenza Lido La Fortuna un appuntamento fisso e imprescindibile del panorama artistico e culturale fanese, marchigiano, italiano.
Fortuna instabile quasi possibile ha presentato opere realizzate durante una residenza; come le influenze reciproche hanno agito sugli artisti e quale la volontà curatoriale dietro la mostra?
Il titolo ha preso spunto dalla lezioni svoltesi durante la Residenza con archeologi, storici dell’arte, biologi marini, critici della letteratura, agronomi: un ventaglio multiforme di figure professionali che potessero illustrare a trecentosessanta gradi le peculiarità del posto. Nel caso specifico si tratta di uno spunto fecondo e ispiratore della professoressa Anna Maria Ambrosini Massari, figura di prim’ordine del panorama storico-artistico italiano, che in una delle tavole rotonde si è soffermata sulla poetica di Eliseo Mattiacci (nato a Cagli, a pochi chilometri di distanza nell’entroterra) e del suo Equilibrio precario quasi possibile. Il cuore del progetto era proprio incentivare -fornendo tutti gli stimoli e spunti possibili in due settimane sul posto, ma proseguiti e dilatati anche nei mesi successivi per fare in modo che gli artisti elaborassero e decantassero il tutto- il dialogo tra comunità interna (scambio di pratiche, linguaggi, sensibilità) ed esterna, dal contadino allo chef stellato, dal professore universitario all’abitante del borgo. In qualità di curatori, le nostre volontà (mie, di Caterina e di Andrea Tinterri) sono state quelle di far conciliare le istanze e le produzioni scaturite nei giorni di lavoro in un progetto espositivo coerente, modulato da sede a sede e ricamato per ogni luogo scelto, per fare in modo che le opere si fondessero tra di loro in un ampio racconto globale di pensiero e poetiche che potessero toccare il maggior numero di sensibilità possibili. L’obiettivo era condensare, raccogliere e illustrare le liquidi e multiformi istanze della ricerca contemporanea, specchio della condizione instabile e precaria dei tempi che viviamo, nei ritmi lenti e stratificati della provincia marchigiana.
Dalla direzione artistica di State Of alla vicedirezione di ArtsLife, dall’appuntamento fisso del lunedì col Corriere della Sera fino alla nuova avventura di Lido: quale la tua visione sulle più recenti generazioni di artisti?
Premetto fin da subito che per quanto sia stupido e limitante etichettare l’arte contemporanea, il mio sguardo privilegia linguaggi più tra virgolette tradizionali come la pittura, in primis per i miei studi (cerco di occuparmi di quello che conosco meglio) e da qualche anno la fotografia contemporanea – quindi spuria, processuale, espansa, contaminata – per la quale a breve, il 24 marzo a Scalo Lambrate di Milano, con Andrea Tinterri lanceremo un nuovo progetto-piattaforma sia critica sia commerciale che raccoglierà un ventaglio eterogeneo dei più significativi esponenti di questo linguaggio nel panorama italiano. La nuova creatura si chiama Galleria Indice e nasce con la volontà di compensare una lacuna enorme all’interno del sistema, che ancora non ha colto le infinite potenzialità dell’immagine fotografica a livello di promozione critica e culturale. Sia la pittura che la fotografia godono di ottima salute nel complesso anche in Italia, il problema – che a ora non sembra avere soluzione – si concentra da decenni principalmente nel passaggio dell’opera dallo studio (artista) alla “rappresentazione” commerciale, le gallerie. Questo vale per qualsiasi espressione contemporanea. Sono troppo poche le realtà serie che operano in Italia, ossia che credono, investono, promuovono con intelligenza, consapevolezza e serietà il lavoro degli artisti. C’è una mancanza strutturale alla radice, accentuata da logiche miopi a livello politico e amministrativo. Non ne verremo fuori mai, almeno nei prossimi anni. Resta il fatto che finalmente la pittura riacquista il credito che per molti anni le è stato snobisticamente tolto e se ne esplorano le molteplici potenzialità senza pesi e zavorre di “maestri” e movimenti sulle spalle. Senza timori reverenziali e con un mercato che fa il suo gioco ovviamente, fomentandone la cosa. Stesso discorso, seppur più circoscritto, per la fotografia, sia classica sia contemporanea, correlato da un mercato in fortissima crescita. Il problema alla fine però rimane sempre lo stesso. Pochissimi nostri artisti escono fuori dai confini nazionali – sia come studio, ricerca, lavoro, bagaglio esperienziale – e riescono ad emergere dal pantano delle realtà locali, in primi dalla pseudo capitale europea Milano con tutte i suoi ridicoli elitarismi e spocchie chic che da fuori conta pochissimo o nulla. Pochi si sporcano al di fuori delle Alpi e si mettono in gioco in centri, questi sì, apicali come Parigi, Londra, l’Europa in generale e l’America intera. Penso abbia ragione Bonami quando dice che gli artisti italiani sono degli artigiani, con scarsa visione, immaginazione e capacità di “risolvere problemi”. Aggiungi che il sistema Paese è il nulla che ben sappiamo ed è facile capire perché siamo totalmente tagliati fuori dal mercato e da tutto. È così, c’è poco da fare.
A cura di Marco Roberto Marelli
Instagram: lidocontemporaneo
Caption
Fortuna instabile quasi possibile, 2021 – Courtesy Lido Contemporaneo