Ha inaugurato lo scorso 14 dicembre Transfer, seconda mostra personale di Leonid Tsvetkov – a cura di Lucrezia Cippitelli – presso la Ex Elettrofonica; Tsvetkov, classe 1980, aveva già esposto nella galleria romana in seguito a una residenza all’American Academy di Roma nel biennio 2013/2014. La mostra – dal titolo Disturbances, a cura di Manuela Pacella – era il capitolo conclusivo di una riflessione, avviata durante il periodo di residenza, sul tema dei rifiuti e su come questi ultimi influenzino e determinino la nostra percezione della città; partendo da uno studio del quartiere di Testaccio e quindi del Monte dei cocci1, Tsvetkov si interessava all’incredibile impatto che i rifiuti possono avere sulla determinazione di un paesaggio urbano, entrando a farne parte al pari di rovine o monumenti. L’opera prodotta durante questo periodo di residenza, Downfall, consisteva in una serie di calchi di imballaggi di vario tipo esposti in un primo momento all’interno dell’Accademia e successivamente inseriti nel contesto più ampio della città, fra siti archeologici e monumenti, generando un cortocircuito percettivo dovuto alla coesistenza di quelli che potrebbero essere reperti di epoche e civiltà lontane tra loro.
L’allestimento di Disturbances negli spazi della Ex elettrofonica era a sua volta caratterizzato dalla presenza di calchi in cemento di recipienti usa e getta distribuiti all’interno dello spazio espositivo come delle colonne, elementi che invadono il paesaggio urbano della Capitale, caratteristiche dei siti archeologici con la loro presenza svettante e verticale, ma spesso prive della loro funzione architettonica.
Leonid Tsvetkov, da sempre interessato all’idea di scarto, di residuo e a come quest’ultimo vada a insinuarsi in un contesto, elabora nuove storie e singolari geografie dei luoghi che percorriamo, costringendoci ad andare oltre le apparenze della forma per poter accedere al contenuto dell’opera.
Con Transfer, l’artista russo porta sui muri della galleria nuove forme; protagonista indiscusso è il corpo, evocato attraverso calchi di oggetti che appartengono al mondo della medicina e che vengono disposti nello spazio espositivo come ex voto o come ordinati ideogrammi, il cui significato resta nascosto.
Ancora una volta l’interesse per lo scarto, reso palese attraverso la visione distaccata e oggettuale del corpo umano, soggetto di desiderio e quindi di consumo. Sulle pareti della galleria calchi di modelli anatomici e utensili evidenziano lo status mutevole del corpo umano, la cui percezione è condizionata da un insieme di modelli ai quali si vuole ricondurre la sua identità ideale, da tempo al limite tra naturale e artificiale. I calchi invadono le pareti dello spazio espositivo come degli insoliti reperti archeologici; ogni elemento è testimone silenzioso della condizione attuale di un corpo che è mosaico, ibrido; il corpo è uno strumento di comunicazione al pari del linguaggio e non a caso il titolo della mostra “Transfer” fa riferimento proprio al concetto di metafora, quindi al linguaggio e a come quest’ultimo condivida con il corpo alcune caratteristiche: gli elementi costitutivi dell’uno e dell’altro vanno a sommarsi per creare scenari complessi, nei quali l’apparenza è solo il frutto superficiale e quindi più visibile di una stratificazione.
In Disturbances l’interesse di Tsvetkov era focalizzato verso oggetti che, depositati dall’uomo in un luogo, modificano per sempre il paesaggio urbano, divenendone parte integrante; in Transfer il paesaggio è sostituito dal corpo, ma il campo d’azione dell’artista riguarda ancora una volta l’attività dell’uomo e come quest’ultima modifichi il contesto entro il quale opera. La percezione che abbiamo di un concetto – che sia corpo o luogo – è in continuo mutamento e l’artista gioca proprio su questo aspetto labile, mutevole, della realtà che ci circonda.
Nella seconda sala troviamo dei lavori che sono costituiti da fogli di rame sottoposti al processo di elettrolisi, grazie al quale assumono forme che richiamano paesaggi, ma anche reperti di pitture antiche; ancora una volta l’attenzione verso l’aspetto residuale della materia. Il paesaggio, il territorio, il contesto vengono qui evocati da tinte rassicuranti, forme piacevoli che sono però il frutto di un processo di trasformazione, che porta al dissolvimento della materia originaria, di cui resta questa traccia effimera.
Tsvetkov sembra operare da un futuro non precisato, in un altrove che gli permette di evidenziare alcuni aspetti della nostra contemporaneità con il rigore di un archeologo. Visitando Transfer si ha l’occasione di condividere con l’artista questo sguardo distaccato sul nostro presente, ricercandone i resti; davanti a queste opere ci si sente fragili, deboli e si cercano le tracce dell’umano nella presenza di questi oggetti che ci sopravvivono.
Alessandra Cecchini
1 Testaccio, il ventesimo rione di Roma che si estende nella zona pianeggiante a sud dell’Aventino e a est del fiume Tevere, deve il suo nome al Monte dei Cocci (testae in latino), così chiamato per la grande quantità di cocci accumulatasi nel corso degli anni, durante il trasporto delle originarie anfore al porto di Ripa grande. In epoca romana le anfore venivano utilizzate come recipienti per trasportare l’olio che veniva smistato al porto fluviale, non potendo essere riutilizzate per contenere alimenti, una volta svuotate venivano gettate in una zona vicina al porto, adibita a discarica ; questi cocci accumulandosi nel tempo hanno dato vita a questa collinetta artificiale, chiamata appunto Monte dei cocci o Monte di Testaccio.
Leonid Tsvetkov
Transfer
a cura di Lucrezia Cippitelli
15 dicembre 2018 – 21 Febbraio 2019
Ex Elettrofonica – Vicolo di Sant’Onofrio, 10-11 – Roma
Caption
Leonid Tsvetkov, Transfer – Dettaglio installazione – Courtesy Ex Elettrofonica
Leonid Tsvetkov, Transfer – Installation view – Courtesy Ex Elettrofonica
Leonid Tsvetkov, Untitled, 2018, copper sheet oxidized through an elecrolysis process, cm 12×30 – Courtesy Ex Elettrofonica